mercoledì 6 maggio 2020
Il cantautore pubblica sui social un nuovo brano nato in quarantena, in milanese e anti-virus per guardare avanti: «Altro che trap e rap, nelle playlist mettete le canzoni di Jannacci e Gaber»
"L'Umarell" di Concato che ci osserva cantando
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«Ciao Enzino, dai vieni giù che facciamo un giretto». «Quale giretto? Non si può, è pericoloso ». È l’inizio del botta e risposta in milanese tra Fabio Concato e un celestiale Jannacci che chiude l’ispirato e meraviglioso frutto della quarantena di Concato, l’inedito L’Umarell. È il fiore di maggio sbocciato all’alba di questa Fase 2, ma cresciuto nel non infertile terreno della lunga notte del Coronavirus in cui anche il cantautore milanese (compie 67 anni il 31 maggio) si è chiesto mille volte cosa poter fare di utile e di importante, oltre che stare chiuso in casa ligio ai restrittivi decreti governativi. «Tempo fa un mio amico mi ha regalato un Umarell di colore rosso – racconta Concato, riferendosi alla famosa statuina che rappresenta quei pensionati che con le mani dietro la schiena stanno ore e ore a osservare i lavori in corso nei cantieri della loro città – che tengo nel mio studio, sul leggio della tastiera. Mi osserva quando suono, quando canto. Una settimana fa sembrava che volesse chiedermi che cosa stessi facendo per il dramma che stiamo vivendo, in che modo mi stessi adoperando per questa emergenza. Ma cosa dovrei fare in quarantena? mi sono chiesto, guardandolo. E così è nata L’Umarell che ora ho messo su Facebook e su Youtube».

E che si chiude come se si fosse ancora ai tempi del cabaret del Derby con una dedica, tra cielo e terra, all’amico Jannacci…

L’idea di cantare la prima parte della canzone in dialetto mila- nese mi ha fatto scattare l’impulso di ricordare Enzo. Io ero molto legato a lui, grande amico anzitutto di mio padre Gigi. Me lo ricordo a casa nostra quando veniva a suonare il piano, con mio padre alla chitarra. Ci manca tanto in giro uno come lui, che vado sempre a riascoltarmi sui dischi. Bisognerebbe che venisse ricordato di più, ma questo oblio non è toccato solo a Jannacci. Sono tanti i grandi artisti scomparsi che in radio e in tv si sentono e vedono poco o addirittura mai.

A chi pensa in particolare?

A cantautori della prima ora come Endrigo e Lauzi, ma anche a più recenti come Mango, un talento fuori dal comune. Per non dire di Gaber, che non viene mai trasmesso. Sarebbe bello che ogni tanto, tra uno stordimento e l’altro, nelle playlist inserissero anche canzoni che hanno fatto la storia della musica leggera, a partire dai testi.

Ce l’ha con il dilagare di rap e trap?

Mi spiace dirlo, ma vorrei vedere se tra quarant’anni o anche meno qualcuno canterà le canzoni che sono adesso in classifica. Io invece canto ancora quelle di Paoli e di Tenco, che hanno sessant’anni. Il punto è molto semplice. Oggi manca la ciccia, l’essenza della musica: melodia e armonia. Poi ci sono anche dei rapper che scrivono pezzi molto intelligenti e veri, ma quella che noi definiamo canzone è un’altra cosa. Risponde a canoni che hanno come primo requisito la cantabi-lità, la musicalità.

Perché ha deciso di cantare in milanese in un momento come questo di emergenza nazionale?

Io non ho nemmeno avuto paura di cantare in napoletano. Ho cantato una parte in milanese perché lo sono, ma la canzone è per tutti gli italiani e infatti nel video scorre in tempo reale la didascalia con la traduzione. Non vuole assolutamente essere una iniziativa di campanile, ma è solo che qui in Lombardia il Coronavirus ha colpito di più e questa canzone è soprattutto un regalo speciale a me e alla gente che ha fatto il proprio dovere in questo difficile periodo, in Lombardia come in tutta Italia.

In un passaggio dice: «Starà meglio questo povero pianeta / A me pare che sia scoppiato, non ce la fa più». Un tema a lei sempre stato caro...

Sì, per assurdo proprio durante questa quarantena abbiamo potuto ritrovare un passo più umano. Dal punto di vista dello stile di vita credo che arriveremo persino a rimpiangere questo periodo e certi aspetti dell’esistenza più rispettosi dei naturali tempi dell’uomo. So bene che non tutti la penseranno così, ma molti hanno davvero riscoperto l’intensità di percezioni dimenticate.

Che lei una domenica a metà marzo ha anche postato sui social.

Era mattina presto, sono andato nello studiolo attiguo a casa mia, ho preso la chitarra e ho cantato Domenica bestiale. Per strada non passava nessuno, com’era giusto che fosse, neanche quelli con la maglietta… come canto nel nuovo brano. Era davvero una domenica bestiale, in tutti i sensi. Allora mi sono detto: quando mai cantarla se non oggi? Non ho badato a com’ero vestito o a che mobilio ci fosse nell’inquadratura. C’erano la mia voce, la voglia di cantarla e la chitarra. Poi l’ho fatta mettere sui social ed è stata molto gradita.

Usa molto i social?

Macché, se fosse per me non sarei nemmeno riuscito a iscrivermi a Facebook. Non sono affatto social, mi aiuta una persona. Di smanettare francamente non ho mai molta voglia, faccio il minimo. Sono curioso per altre cose, ma non per i nuovi media e per la tecnologia.

Quando 35 anni fa, un po’ allarmato, scrisse Computerino aveva visto lungo…

Beh, si capiva già dove saremmo andati a finire. Ma da molti punti di vista la rivoluzione tecnologica è un bene. Io non la so usare, la tecnologia, ma è una cosa magnifica, apre mondi che prima erano inesplorabili. Qualsiasi cosa uno voglia sapere, la può trovare. Prima ti affidavi all’enciclopedia, se l’avevi, ma dovevi essere in casa. Come noi adesso…

Ed è arrivato L’Umarell a suggerire.

È stata l’ispirazione di un momento speciale. Carpe diem, insomma. Mi sono sentito chiamare da qualcuno che mi chiedeva qualcosa. L’Umarell è stato lo strumento per parlare brevemente, lontano da ogni retorica, di un momento che ci ricorderemo sempre. Per il lavoro che tanti hanno perso o potranno perdere. Altro che la mia canzone sanremese Oltre il giardino. Per non dire dei lutti, decine di migliaia di persone.

In un passaggio dice: «Sono andate via in silenzio come te / Senza un bacio, una carezza, una ragione / Senza un “sono qui e ti voglio bene”.

Spero che prima o poi vengano fuori le tante responsabilità, perché morire gratis non va bene. Adesso non è il momento, ma la magistratura intanto sta lavorando. Non è una questione di vendetta, solo di umanità e di buon senso. Se qualcuno ha sbagliato, ne deve rispondere, al di là della situazione di emergenza in cui ha agito. Si può chiedere scusa... Ma io in questa canzone ho solo cercato di dare il mio contributo come autore, senza alcuna retorica, con un pizzico d’ironia e con molto cuore.

Lo stesso che trent’anni fa mise in campo per i bambini maltrattati.

Infatti il pathos è lo stesso di 051/222525, anche se quel vecchio brano per Telefono Azzurro in alcuni punti era proprio un pugno nello stomaco. Finché parlavo dei manifesti della pubblicità cercavo di metterci un po’ di ironia, ma nelle strofe in cui entrava il dramma del bambino che fuggiva dalla furia di un adulto, cambiava tutto. Prima riuscivo a cantarla più facilmente di adesso, ora mi fa male. Forse perché diventando anziani si diventa più fragili e vulnerabili.

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