giovedì 30 settembre 2021
Il filosofo Floridi apre il ciclo di conferenze per il centenario della Cattolica: «L’informatica cambia molte cose e le istituzioni, come l’Unione Europea, devono misurarsi coi colossi del web»
Luciano Floridi

Luciano Floridi - archivio

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1921-2021. Per celebrare il suo centenario l’Università cattolica di Milano organizza un ciclo di conferenze dal titolo inequivocabile, «Un secolo di futuro: l’Università tra le generazioni». Nella sua aula magna, e anche per una platea online, grazie ai social @Unicatt si alterneranno filosofi, teologi, scienziati, economisti di fama internazionale per raccogliere un’importante sfida. Le loro lezioni offriranno alcune chiavi di lettura per interpretare le grandi trasformazioni imposte dalla tecnologia. Come affrontare le sfide che attendono le nuove generazioni: cominciando oggi con Luciano Floridi, le risposte verranno lungo l’anno accademico dalle lezioni di Jeffrey Sachs, Maryanne Wolf, José Tolentino de Mendonça, Antonio Spadaro, Pierangelo Sequeri, Michael Sandel, Gianfranco Ravasi. Ulteriori informazioni, comprese le date degli appuntamenti e le modalità di iscrizione, sono disponibili sul sito della Cattolica; le lezioni del ciclo saranno trasmesse in diretta sul sito di Avvenire seguendo questo link.

«Occorre galvanizzare le nuove generazioni sulle sfide del futuro. Per farlo serve una narrativa che porti a guardare al futuro per affrontare i problemi del XXI secolo ma non come se fossero del XX» sostiene Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford e di Sociologia della Cultura e della Comunicazione all’Università di Bologna. Autore di diversi libri tra cui Il verde e il blu: Idee ingenue per migliorare la politica, (Cortina), Floridi oggi, alle ore 17.00 in Largo Gemelli 1 a Milano, inaugurerà in Aula magna il ciclo di conferenze per le celebrazioni del centenario dell’Università Cattolica parlando di Tempi digitali. Per la costruzione di un futuro responsabile. Interverranno Franco Anelli, rettore della Cattolica, e la giornalista Monica Maggioni. L’incontro si potrà seguire anche sui social @Unicatt. Tra i temi che affronterà c’è la sovranità digitale.

Perché?

La sovranità che conosciamo oggi è un’eredità dell’epoca moderna. Si tratta però di una sovranità analogica pensata in termini di spazi fisici, di controllo del territorio. Nel momento in cui ampliamo lo spazio fisico in quello digitale la sovranità tradizionale salta, perché salta il confine fisico. Questo non significa che la sovranità tradizionale scompaia, ma va affiancata da quella digitale.

Quale differenza c’è tra sovranità digitale e sovranismo politico?

Il sovranismo politico non è una categoria necessariamente negativa ma è anacronistica. La convinzione, tipicamente moderna, che lo Stato sia l’unico agente a esercitare il controllo del territorio inteso come spazio fisico è vanificata dalla realtà. Oggi il controllo è esercitato anche da altre forze agenti. Pensi all’UE che non svuota di senso lo Stato ma lo rende partecipe di un sistema più complesso. Inoltre il territorio è solo una parte di ciò che deve essere controllato. Prendiamo la comunicazione online, questa non è controllabile da uno Stato. Forse solo la Cina riesce oggi a trasformare tutto in controllo del territorio ma dalla sua giocano i numeri e le dimensioni e soprattutto l’assenza di democrazia e liberalismo.

In che senso la vecchia sovranità è insufficiente?

L’infosfera è l’ibridazione di digitale e analogico, fisico e virtuale, online e offline. Il problema nasce quando gli Stati la gestiscono come fosse uno spazio fisico. Non colgono che ci sono degli spazi che non hanno proprietà fisiche. Prenda una scacchiera. Per quanto varino le sue dimensioni fisiche, la logica che la presiede resta la stessa: sono sempre 64 riquadri. Piccola o grande conserva uno spazio logico invariabile. In esso il numero di mosse che il re compie per percorrerne la diagonale è lo stesso che im- piega per coprire l’intero lato. Mentre sappiamo che nello spazio fisico la diagonale è più lunga del lato.

Quindi?

Se il controllo esercitato dalla sovranità tradizionale avviene sullo spazio fisico, il controllo della sovranità digitale avviene su informazione e processi, uno spazio logico. Ma lo Stato spesso lo ignora.

In che senso?

È accaduto con le app per il tracciamento dei contatti durante la pandemia. Lo Stato pensava di imporre i propri parametri a Apple e Google ma ha dovuto presto ricredersi e adattarsi alle loro condizioni perché gli hanno fatto capire che sono loro gli unici a poter decidere quando e se attivare o spegnere le app necessarie alla tutela della salute. Chiunque pensi che lo Stato debba recuperare la sovranità sbaglia. Non si tratta di recuperarla, perché la sovranità digitale non è mai stata in suo possesso. Occorre acquisirla.

Come?

L’Unione europea, per le sue dimensioni, ha una grande opportunità nel confronto coi colossi del digitale. Per esempio è riuscita a introdurre una svolta importan-te nella battaglia sul trattamento dei dati. Ha sostituito il concetto di confine con quello di provenienza dei dati. Il GDPR, il regolamento europeo sulla privacy, prevede che chiunque tratti dati di provenienza europea rispetti le leggi dell’Unione. L’UE riconosce che il dato è scollato dal territorio, e per tutelarlo lo incolla all’identità dell’individuo. Tu sei i tuoi dati, insomma, e quindi si parla di Luciano come di un data subject. È un primo passo verso la sovranità digitale.

Non è forse il caso allora di un nuovo contratto sociale?

Credo di sì ma temo che il contratto sia un concetto troppo analogico. Dobbiamo pensare che esista qualcosa che ci leghi alle generazioni passate, alle generazioni future e alla natura che ci circonda. All’idea di contratto preferisco l’idea di trust, che consente di comprendere come noi ci troviamo in esso fin dalla nascita. In un trust raccogliamo l’eredità del passato, dei cui benefici godiamo, e la trasmettiamo alle generazioni future possibilmente migliorandola. Un contratto genera dei proprietari, un trust ha degli amministratori e dei beneficiari. Su questi temi l’UE deve educare le nuove generazioni, anche utilizzando gli strumenti della retorica migliore, perché le buone idee vanno anche veicolate in maniera convincente.

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