sabato 4 gennaio 2020
Bagno di folla per il ritorno del campione che incontra i tifosi e debutta in amichevole con un gol e un assist. «Sono qui per giocare subito e per l'adrenalina, non per soldi o per fare la mascotte»
Il 38enne campione svedese Zlatan Ibrahimovic saluta i tifosi davanti a Casa Milan

Il 38enne campione svedese Zlatan Ibrahimovic saluta i tifosi davanti a Casa Milan

COMMENTA E CONDIVIDI

Dalla “a” di adrenalina alla “z” di Zlatan. A Casa Milan l’adrenalina scorreva a fiumi ieri mattina, nelle parole di Ibrahimovic in conferenza stampa e nel mezzo migliaio di tifosi che di primo mattino era arrivato in pellegrinaggio a osannare il ritrovato campione. Disperato bisogno di un’anima, quella del popolo rossonero. Un’anima che, dopo i tanti naufragi stagionali e gli abissi di Bergamo con quel 5-0 da incubo, è arrivata in volo da Los Angeles, dalla galassia americana. Da svincolato e senza erba sotto i tacchetti da due mesi, al pronto ritorno in amichevole già ieri pomeriggio a Milanello con la Rhodense, squadra di Eccellenza. Del resto Ibra non è venuto al Milan «a fare la mascotte che balla in campo», la «vecchia gloria» o la «figurina ». Anzi, «sarò ancora più cattivo» annuncia, meno spaccone di un tempo, ma caratterialmente non meno deciso di quando il 29 agosto del 2010, al suo primo arrivo in rossonero in prestito dal Barcellona, proclamò di essere «venuto qui per vincere tutto».

Il suo è subito un “one man show”, davanti ai giornalisti e poco dopo sul piazzale di Casa Milan dove si presenta con la maglia 21 (quello che fu di Pirlo, numero scelto da suo figlio) per concedersi al tifo e all’effetto stadio di qualche petardo forse avanzato dal Capodanno o sparato in anticipo sull’atteso Milan-Sampdoria dell’Epifania. La prima di ritorno è anche il ritorno di Ibra, che con i blucerchiati vorrebbe evitare la semplice passerella, convinto com’è «di poter giocare da subito». Adrenalina, dunque. Parola chiave («quando senti l’erba, vedi l’atmosfera, 85mila ti fischiano o ti applaudono... Ma preferisco i fischi, così mi esce l’adrenalina. Io sono qui per l’adrenalina, non per i soldi») che Ibra ripete più volte, come la parola «massimale», in un italiano un po’ da rinfrescare ma già assai chiaro e convincente, al pari dei suoi propositi.

Subito messi in pratica nel pomeriggio a Milanello con un gol e un assist per Calhanoglu nel primo tempo, terminato 5-0. Ibra ha giocato al centro dell’attacco nel 4-3-3 voluto da Pioli, che all’intervallo ha fatto undici sostituzioni. La partita è poi finita 9-0, un test certo non molto impegnativo, ma l’effetto Ibra è stato una scossa per tutti, in campo e fuori. Anche il dormiente Piatek è uscito dal torpore realizzando una doppietta nella ripresa, così come Leao che ha segnato e confezionato un assist di tacco per Castillejo. Ma sono soprattutto i tifosi a respirare un’atmosfera diversa, come si è visto a Casa Milan. E come dicono i social del club rossonero che hanno registrato un’impennata di follower: 60mila like guadagnati su Facebook e su Instagram un +1.54% che fa del Milan, nella settimana dal 27 dicembre al 3 gennaio, il club più seguito d’Europa.

Ma, soprattutto, la contestazione del popolo rossonero dopo Bergamo sembra già dimenticata e saranno almeno 50mila (forse 55mila) gli spettatori lunedì a San Siro. Una batosta servita quantomeno a indurre Paolo Maldini e Zvonimir Boban a tornare alla carica. «Dopo l’ultima partita in Usa, mi aveva chiamato Maldini esponendomi le sue idee – racconta Ibra –. Ma ho parlato tanto con Boban dopo la partita con l’Atalanta ci sono state tante chiamate... Non è stata una decisione difficile venire qui, il Milan è casa mia. Quando arrivai qui dal Barcellona dissi che il Milan mi aveva dato la felicità di giocare a calcio, ora spero di restituire tutto perché voglio bene a questo club».

Corsi e ricorsi della storia. Anche se qui la filosofia di Vico non c’entra. Semmai è merito dell’elisir di lunga vita del 38enne campione svedese. «Non posso essere come quando avevo 28, 30 o 35 anni, ma uno che sa come giocare, invece che correre può tirare da 40 metri» scherza Ibra. Come sui gol segnati in carriera che non sarebbero 373, come qualcuno in conferenza stampa gli aveva attribuito, «ma più di 500, i numeri sono importanti». Non risparmia battute il grande globetrotter del pallone che in vent’anni di carriera ha vestito le casacche di ben nove società, dal natìo Malmö all’Ajax, dalla Juventus all’Inter, dal Barça al Psg, dal Manchester United agli statunitensi L.A. Galaxy, con due stagioni al Milan dal 2010 al 2012. Così, quando gli si ricorda che in rossonero con i suoi assist fece segnare più di 10 gol ad Antonio Nocerino «che si era trovato bene con lui», risponde tagliente: «Era lui che si era trovato bene con me».

Del resto, l’Ibra- centrismo è ora una necessità, non solo un vezzo da consapevole campione. Il Milan cercava un centro di gravità permanente e l’ha trovato mettendo in moto la macchina del tempo per farla girare a pieno regime. «Siamo orgogliosi di poter riabbracciare un giocatore unico, siamo ottimisti sull’effetto trasversale che potrà avere su squadra e ambiente, ma bisogna fare risultati – dice Boban, togliendo per un attimo la palla a Ibra –. Non dobbiamo dimenticare l’orrida e inaccettabile sconfitta di Bergamo. Dobbiamo sperare che cambi il corso di questa stagione, speriamo che Zlatan ci aiuti. Ma il Milan non si deve nascondere dietro la spalle larghe di Ibrahimovic».

Un figliol che si spera più che mai prodigo, ritornato sulla sponda rossonera di una Milano che potrebbe anche durare molto più dei sei mesi contrattuali. «Non si sa mai, quando hai un bel rapporto con tutti ci può essere questa possibilità. Finché sono in grado cerco sfide per dare risultati. Non sto qua perché sono Ibrahimovic, ma perché inizio da zero e voglio i risultati, io funziono così come persona. E se non faccio gol io, provo a fare assist per aiutare. È sempre il collettivo che conta, non faccio le cose da solo, altrimenti avrei scelto uno sport individuale. Se le cose andranno bene, potrei restare qua. Intanto voglio aiutare i miei compagni e sentire l’odore dell’erba finché sono in campo, che tanto mi mancava quando ero fuori».

Erba di casa mia, che è anche quella del derby, per uno che la sfida meneghina l’ha vissuta da entrambe le sponde. Con quattro scudetti vinti, anche se non equamente divisi. «Il derby è speciale, ne ho giocati tanti, in molti Paesi – sottolinea Ibra –, ma dico sempre che il migliore è Inter-Milan o Milan-Inter. Non so come andrà il prossimo derby del 9 febbraio, vedremo». E l’anno prossimo? «Non ho firmato per cinque anni – taglia corto –, penso solo ad oggi e poi a domani. Comunque nessuno all’età di 38 anni aveva mai firmato per un club come il Milan. Il Milan è sempre il Milan, anche se dopo l’addio di Berlusconi sono cambiate tante cose. Ma io sono un uomo sempre positivo, entro sempre al 200 per cento nelle cose. Se non avessi creduto in questo ritorno, non sarei qui. Dopo l’infortunio che ho avuto – aggiunge, riferendosi all’incidente al ginocchio di tre anni fa al Manchester con mister Mourinho – mi avevano detto che non sarei tornato a giocare, che sarebbe stato impossibile. Ma io ci ho creduto e ora voglio giocare finché posso».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: