sabato 9 dicembre 2023
Oggi più che mai è oggetto di dibattito il come trasmettere valori e contenuti attraverso Instagram e TikTok. Ma il principio "se funziona qui funzionerà anche lì" è un rischioso errore di metodo
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Icone social - Sole Feyissa / Unsplash

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L’idea è: se funziona qui funzionerà anche lì. Così facendo, per pigrizia o eccesso di semplificazione, si dimentica che metodo non è il libretto di istruzioni intercambiabile e neutrale, un apparato che permette di manipolare contenuti random come le palle il giocoliere. Il metodo, la prassi, o come si voglia chiamare il percorso misto con cui diamo un senso a reticoli di scelte e alle relative azioni, è intimamente innervato da ciò che veicola, omogeneo unicamente al contesto in cui si genera. Per sua stessa struttura è una manifestazione ulteriore del significato, indipendentemente dal compimento di un percorso o dall’andare a buon fine del risultato che ci si prefigge, sempre suscettibile di variazioni. Gestire il metodo come un menu a la carte rischia di condurre verso conseguenze che possono finire per negare gli obiettivi prefissi. Procedere per analogia nel campo del metodo è prima di tutto un abbaglio logico, non importa quale sia la dimensione cui ci si riferisce, etica, estetica, sociale, in particolare quando si tratta di ambiti umanistici.

Oggi più che mai è oggetto di dibattito il come trasmettere valori e contenuti attraverso il vettore digitale. Un tema urgente, la cui urgenza fa da scudo a una approssimazione generale mimetizzata in narrative di copertina, campo d’elezione per fraintendimenti di massa a volte grotteschi, a volte pericolosi. Ci si accontenta di lontane verosimiglianze e slogan con cui dare la caccia alle streghe o osannare nuovi profeti. Il digitale è un mondo la cui struttura nasce come “imitazione” dell’analogico e come tale viene inteso e frainteso. Premesso che dal mio punto di vista l’imitazione in termini di concetto e pratica non è né possibile né auspicabile, diverrà sempre più cruciale prendere atto che il digitale è peculiare a se stesso e ci presenta dimensioni che sono altro dalla copia. Ciò che vi viene trasferito acquista caratteristiche diverse e ne perde altre.

Ora, ad esempio, sto scrivendo utilizzando una tastiera e verrebbe naturale pensare che io utilizzi semplicemente un surrogato della scrittura su carta per compiere lo stesso gesto. In sintesi l’assunto è che scrivo e basta, il mezzo (il metodo) non fa differenza per ciò che concerne i contenuti e l’apparato linguistico che insieme originano e attraversano. È un errore fondamentale, la mia esperienza ne è dimostrazione. Come ho più ampiamente analizzato nel saggio Il gesto digitale edito da Vita e Pensiero e “Avvenire”, se avessi avuto a disposizione solo carta e penna non avrei nemmeno iniziato a scrivere. Per qualche motivo, non interessante ai nostri fini, detesto le prassi del necessario artigianale cui sono fisicamente refrattario. Scrivo perché è stata inventata una tastiera i cui effetti sono la scrittura su uno schermo e un file. Questa scrittura mi è profondamente naturale proprio a causa del suo metodo/mezzo. Il mio pensiero si libera nella rarefazione di “zavorre” materiali e fluisce in modo differente.

È solo un esempio, ma credo restituisca in modo concreto ciò che intendo. Quando si immagina che, a fini sociali e pedagogici, sia sufficiente assumere le terminologie digitali e trasferirvi contenuti di disambiguazione e ricerca interiore si fraintende completamente cosa significa essere al passo con i tempi . Naturalmente è popolare, perché siamo abituati ad assecondare catene di consenso del tutto aleatorie. Ma sotto il “mi piace” niente, parafrasando un Vanzina particolarmente consono al tema senza tinte gialle. Che il digitale sia un passaggio ineludibile e sorprendente non vi è dubbio, che serva utilizzarlo per comunicare i contenuti cui siamo avvezzi da millenni anche, ma farlo in una sorta di rimando che mima ciò che nasce come imitazione, è una dissimulazione del tutto inefficace nel parlare intimamente ad ogni singolo uomo, incidere sulla sua esistenza. L’inseguimento del modello tiktoker da parte di politici, intellettuali e religiosi non è dimostrazione di una avanzata coscienza digitale. È semplicemente l’applicazione strumentale di una formuletta che svuota ciò che già parte debole nell’applicazione di un metodo che per sua natura non può veicolare nulla che non sia l’anestesia temporanea della ipnosi da scrolling.

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