giovedì 30 novembre 2023
Il Papa invita a spostare l’interrogativo «Chi sono io?» a un più inclusivo e altruista «Per chi sono io?». Questo passaggio tocca il nucleo stesso del paradigma che guida le nostre azioni
Partecipanti a un corso di formazione per animatori del Progetto Policoro

Partecipanti a un corso di formazione per animatori del Progetto Policoro - Siciliani

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Nel 2021 papa Francesco, nel suo Discorso ai giovani del “Progetto Policoro” della Cei, tornò a riflettere sul significato dell’animazione di comunità, interpretandola essenzialmente e primariamente come un’azione consistente nel «dare animo». Un tale servizio, ricordava il Papa, si apre ad esiti ricchi di significato quando è accompagnato da un cambiamento di prospettiva, passando da un’autoreferenziale «Chi sono io?» a un più inclusiva e altruista «Per chi sono io?».

Questo passaggio da una visione all’altra tocca il nucleo stesso del paradigma che guida le nostre azioni. In effetti, nonostante molte evidenze ci dicano che il mondo di oggi è praticamente impensabile senza ricorrere alle relazioni, che siano di natura socioeconomica, culturale o ambientale, non si può negare come la mentalità corrente, intrisa di un individualismo sfrenato e di una tecnocrazia onnipervasiva, tenda spesso a eclissare il valore intrinseco del legame umano e dell’interdipendenza.

Ci troviamo, per così dire, installati nel paradigma della irrelazione, definibile come una tendenza a valorizzare l’indipendenza e l’autosufficienza a discapito delle connessioni e della reciprocità con gli altri. Tale modello trova una delle sue ragioni d’essere nella concezione dell’identità come un’entità autonoma, separata dal mondo esterno e dagli altri, una prospettiva che affonda le sue radici nel pensiero della modernità. Se ogni persona è vista come un’entità chiusa in se stessa, le relazioni con gli altri diventano transazionali piuttosto che empatiche, basate su scambi utilitaristici anziché su un autentico interscambio emotivo e intellettuale. In questa ottica, l’altro è percepito come un altro da sé, un’esternalità con cui si interagisce ma da cui ci si mantiene essenzialmente distanti.

Recentemente, alcuni segnali, come l’aumento delle iniziative di volontariato, la crescita di movimenti sociali basati sulla solidarietà, l’espansione di pratiche di economia condivisa e una maggiore coscienza planetaria riguardo alle questioni ambientali, dimostrano come venga affermandosi un modello alternativo, basato sulla relazione. Questo approccio trova una delle sue più significative matrici nel modello ebraico-cristiano, che pone al centro dell’esperienza umana la relazione con l’altro. Il pensiero di Martin Buber illustra in modo esemplare questa visione. Le sue parole, «Mentre divento io, io dico tu», enfatizzano l’idea che l’identità personale si formi e si arricchisca non in isolamento, ma attraverso l’interazione con l’altro. Il messaggio evangelico rappresenta il compimento di questo modello relazionale. Nei Vangeli, infatti, i concetti di servizio, di compassione e di dedizione agli altri emergono come elementi chiave, riflettendo l’idea che il vero significato della vita si trovi non nell’autoesaltazione, ma nel dono di sé agli altri.

Ovviamente, il mutamento del modello di riferimento, dal paradigma della irrelazione a quello della relazione, non è privo di resistenze. La prima resistenza nasce dalla tendenza innata a mantenere lo status quo; l’abitudine e il comfort di pratiche consolidate spesso sopraffanno il desiderio di cambiamento. La seconda resistenza si identifica nella percezione di rischio che accompagna l’abbandono di un pensiero individualista a favore di un approccio comunitario, che richiede apertura e vulnerabilità. Infine, la terza resistenza è di natura sistemica; le strutture sociali, economiche e politiche esistenti sono costruite e mantengono il paradigma dell’irrelazione, rendendo la transizione a modelli relazionali una sfida complessa che richiede cambiamenti profondi e a lungo termine.

In una tale trasformazione, gli animatori di comunità si rivelano figure chiave, guidando il cambiamento attraverso tre simboli fondamentali: interruzione, bivio e occhi. La loro prima missione è creare “interruzioni” nei consueti schemi di pensiero e azione, sfidando l’individualismo e l’isolamento, e stimolando riflessioni sulla vita e sulle relazioni. Questi momenti sono essenziali per sottolineare l’importanza delle connessioni umane e della reciprocità.

La seconda priorità si concentra sulla capacità di navigare i “bivi” culturali e sociali, promuovendo diversità, inclusione e dialogo, aprendo nuove prospettive di relazione e comunità. Infine, mantenere “occhi” aperti e sensibili alle dinamiche comunitarie è fondamentale: gli animatori devono ascoltare con empatia e intervenire strategicamente per rafforzare legami e solidarietà, valorizzando le molteplici forme di espressione e partecipazione sociale.

In questo processo, gli animatori di comunità, agendo come catalizzatori di un cambiamento profondo, guidano il passaggio da un’esistenza individualistica e frammentata a una realtà arricchita dalle relazioni e dalla condivisione. Il loro ruolo, trascendendo il valore puramente intraecclesiale, si estende al miglioramento dell’intera società italiana. Creando spazi di ascolto e dialogo, offrendo occasioni di riflessione ed empatia, e incoraggiando la costruzione di legami basati su solidarietà e rispetto reciproco, gli animatori di comunità disegnano le trame di un tessuto sociale più coeso e armonico. Il loro impegno e servizio meritano la nostra gratitudine, poiché, in questo processo di trasformazione e crescita collettiva, diventano veri «tessitori di una umanità solidale», intrecciando le diverse storie, culture ed esperienze in un mosaico umano che arricchisce e rafforza la società nel suo insieme.

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