venerdì 17 giugno 2011
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Una lontana linea d’alberi e­vapora nella bruma, che sale dall’orizzonte liquido, dietro scaglie di sole galleggianti. Un placido battere d’ali, quasi ral­lentato, sembra incapace di soste­nere l’airone che spicca il volo. Plana laggiù, tra le canne alte, frontiera di piani d’acqua chiazzati di tife, che raccontano il mutevole carattere del fiume. Nel basso fer­rarese il Po ha tracciato nei secoli scacchiere di paludi e d’acquitrini, tradite dalle vene principali del fiume, che pulsano oggi più a nord. Tradite anche dall’uomo, che ha prosciugato gran parte del­le antiche valli d’acqua. Scompar­sa l’immensa Valle del Mezzano, scomparse le Valli di Ostellato, le Valli di Comacchio, da secoli lega­te alla vallicoltura, sono l’ultimo grande regno d’acqua sopravvis­suto alle bonifiche. È una storia affascinante, in cui l’uomo ha strappato la terra all’ac­qua in una lotta secolare, «guada­gnando qualcosa e perdendo qualcos’altro», così sintetizzava Mago, un vecchio pescatore d’an­guille conosciuto qualche anno fa a Ostellato. «Le pescavamo con le mani nell’acqua bassa, le pescava­mo con le reti, con le fiocine, con le lenze, a cui annodavamo un a­mo dietro l’altro». Mago non lo di­ce, è sottinteso: le pescavano di notte, fiocinando alla cieca, le pe­scavano di frodo e la loro pesca e­ra illegale. Le valli, da sempre pro­prietà demaniali, erano una riser­va di pesca dello stato, che ne ap­paltava la gestione a una società di sfruttamento, operante in regime di monopolio assoluto. La vallicoltura, ossia all’alleva­mento estensivo di specie ittiche pregiate, in primis l’anguilla, si im­perniava sui 'casoni', stazioni di pesca senza acqua corrente né lu­ce né servizi, confinate nel cuore delle paludi, dove risiedevano i 'vallanti', gli operai delle valli, nel corso delle campagne di pesca. 'Servi della gleba' li chiama Mago, per le durissime condizioni in cui prestavano il loro lavoro, che si svolgeva in gran parte di notte. Il lavoriero era l’elemento essenziale della pesca di valle: un’opera in pali e graticciati di canne collocata sui canali di comunicazione tra l’interno delle valli e il mare, che imprigionava le anguille durante le 'smontate', le migrazioni not­turne verso il mare, preferibilmen­te nelle notti di maltempo. Mago era invece un 'fiocinino', lavorava in proprio, inseguendo i 'bisat' in acque libere. Erano in tanti come lui, dopo la guerra, senza lavoro e molta fame. Si ar­rangiavano come potevano, di na­scosto dai guardiani. Questi ultimi erano la terza figura dell’universo delle valli. Vigilavano contro la pe­sca di frodo, ingaggiando coi fioci­nini una lotta senza quartiere. Di giorno spiavano l’orizzonte dalle torrette dei loro casoni; di notte battevano gli specchi d’acqua sui velucepi, barche velocissime, prive di chiglia e perciò difficili da con­durre, utilizzate anche dai fiocini­ni, che con esse riuscivano perfino a scavalcare in corsa gli argini bas­si. Ma la disputa tra guardiani e bracconieri non si svolgeva solo in valle, investiva l’intera Comacchio: liti per strada, baruffe, insulti, inganni e furberie. La faida non di rado si compiva tra le mura delle stessa casa, quando al figlio di un fiocinino capitava d’essere assun­to come guardiano. Poi c’era i transfughi, guardie che passavano dall’altra parte, perché il lavoro del fiocinino era più rischioso ma ben più remunerativo: qualche notte di pesca fortunata rendeva quanto un mese di nottate di pattuglia. Echi di questo mondo scomparso possono essere colti grazie a un’i­niziativa del Parco del Delta del Po Emilia Romagna, «In barca nelle Valli di Comacchio», un’escursione in battello che, partendo dalla Sta­zione Foce fa tappa in alcuni caso­ni di valle, dove ci si può fare un’i­dea del lavoro dei vallanti e delle dure condizioni in cui si svolgeva. Comacchio è la capitale delle valli, sorta su 13 isole all’estremità della Valle Fattibello. Si visita a piedi, ma anche in barca, partendo dal­l’antica pescheria, a due passi dai Trepponti, il monumento simbolo della cittadina. Attraver­so l’intreccio di canali, ponti e riflessi colorati di facciate si può arriva­re fino alla calata della Manifattura dei Mari­nati, dove dal 1933 l’A­zienda Valli Comunali di Comacchio concen­trò la lavorazione del pesce, che oggi ospita il centro di documenta­zione sulla pesca di val­le. Sul lato opposto del­la calata c’è il Loggiato dei Cappuccini, che collega al santuario di Santa Maria in Aula Re­gia il centro storico di Comacchio, con la cat­tedrale di San Cassiano, la Torre dell’Orologio, la Loggia dei mercanti del grano e il Vecchio Ospe­dale San Camillo, sede del Museo delle Culture Umane del Delta del Po. Poco a nord di Comac­chio l’abbazia benedet­tina di Pomposa irrag­gia da oltre un millen­nio la sua luce tenace. Fondata nel VI-VII seco­lo, fiorì all’inizio dell’XI, divenendo un impor­tante centro civico e di amministrazione della giustizia, oltre che culla di spiritualità benedettina. Questa cittadella della fede ebbe, tuttavia, vita breve. Nel 1152 una disastrosa alluvione del Po distrusse l’econo­mia del monastero e con essa la sua funzione civica e religiosa. La soppressione si rese inevitabile. Abbandonato per secoli il com­plesso tornò in vita grazie a un re­stauro del 1920-30. Accanto alla chiesa, risalente agli anni tra il 751 e l’874 e splendidamente decorata da affreschi, pavimenti a tarsia e mosaici, svetta l’altissimo campa­nile del 1063, in forme romanico­lombarde, simbolo originale di Pomposa. Di fronte al complesso sacro è il palazzo della Ragione, del secolo XI, dove l’abate di Pom­posa esercitava la giustizia civile. Nonostante una parte degli edifici siano andati perduti, quello di Pomposa rimane uno straordina­rio insieme architettonico, che ri­flette un passato glorioso e un ruo­lo di faro e guida spirituale per la regione delle valli.
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