martedì 2 febbraio 2021
Nel nuovo romanzo due storie al femminile in un centro per persone in difficoltà: «Sembra si sia perduto il senso di responsabilità, ma la pandemia mostra che i legami sono il tessuto dell’umanità»
La scrittrice Laetitia Colombani

La scrittrice Laetitia Colombani - Eline Nieszawer

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Il caso a volte predispone magnifiche opportunità, ad esempio ha fornito in modo imprevedibile lo spunto per il secondo romanzo di Laetitia Colombani, Il Palazzo delle donne (Nord, pagine 284, euro 16,90). La cineasta e scrittrice francese autrice del best seller da un milione di copie La treccia tradotto in 35 Paesi è nata a Bordeaux nel 1976, ma il cognome è corso, abita a Parigi e racconta volentieri il gioco del destino che l’ha condotta al nuovo romanzo: «Tre anni fa, mentre ancora scrivevo La treccia, andando a un appuntamento di lavoro mi è capitato di sbagliare strada e mi sono trovata davanti a un’imponente costruzione in stile primo Novecento che non avevo mai visto, quasi una cittadella alta cinque piani. All’ingresso c’era scritto 'Palais de la femme”, palazzo della donna, un’insegna che mi ha subito incuriosito e mi ha indotto a leggere la targa esplicativa, che faceva risalire l’inaugurazione al 1926, quando l’Esercito della Salvezza lo aprì per accogliere donne in difficoltà. Ho subito intuito il soggetto appassionante, ineludibile, mi è venuto il desiderio di saperne di più, di raccontare le storie di qualcuna delle ospiti. E appena La treccia è andata in stampa mi sono dedicata a questo nuovo progetto. Mi sono presentata alla direttrice del Palazzo e ho incominciato a frequentarlo, parlando con il personale e anche, con grande rispetto, con le ospiti che avevano voglia di condividere le loro tristi e toccanti esperienze». Anche La treccia mescolava tre destini di donne alle prese con le difficoltà della vita: l’indiana Savita che sacrificava i suoi capelli per far studiare la figlia, la siciliana Giulia che doveva salvare dal fallimento la fabbrica familiare di parrucche, la canadese Sarah prostrata dalle terapie contro il cancro. Nel Palazzo delle donne si alternano le storie di due protagoniste, vissute in epoche diverse: la fondatrice del Palazzo, Blanche Peyron, una donna eccezionale dimenticata dalla storia e l’avvocatessa Solène, una quarantenne dei nostri giorni, che ha investito troppo sulla carriera e finisce per cadere in depressione, ma darà un nuovo senso alla sua vita con un’attività di volontariato nel Palazzo, scrivendo lettere per le ospiti.

Cominciamo da Blanche, una sua scoperta, un nome sconosciuto che cela un’autentica eroina.

«Nata nel 1867 a Lione, era una fanciulla irrequieta, sempre in cerca di nuovi divertimenti, finché fu mandata dalla famiglia materna in Scozia dove per caso incontrò una marescialla dell’Esercito della Salvezza e, folgorata, si arruolò immediatamente dedicando tutta la vita alla battaglia contro la povertà e l’emarginazione. Come donna, trovò ostacoli di tutti i tipi: ad esempio, quando per sbrigare più velocemente le sue missioni volle imparare ad andare sul velocipede, ne fu impedita perché richiedeva un abbigliamento non confacente al sesso femminile. È una donna del passato che ha lavorato per le donne di oggi: ci sono più di quattrocento ospiti nel Palazzo, è importante sottolineare la continuità di questo legame. Il suo nome purtroppo è sconosciuto perché ai suoi tempi le donne non godevano di alcun diritto, tant’è vero che, nonostante sia stata lei la creatrice di questo rifugio per donne in difficoltà e i loro bambini e sia stata lei a promuovere l’eccezionale raccolta fondi necessaria ad acquistare e restaurare il grande albergo dismesso che sarebbe diventato il Palazzo, come lei volle chiamarlo, dovette intestarlo a suo marito».

Molto diverse le opportunità di Solène, eppure anche oggi per una donna non è facile conciliare famiglia e lavoro.

«Solène a quarant’anni si accorge che il tempo è volato: lasciata da un compagno che forse ha trascurato per dedicarsi alla carriera, dopo il suicidio di un cliente anche la sua vita sembra perdere senso. La sua crisi d’identità sarà superabile soltanto uscendo dall’isolamento affettivo attraverso una sorta di sorellanza con le donne incontrate al Palazzo. È il suo psichiatra a consigliarle di dedicarsi al volontariato per ritrovare se stessa: nell’infinito elenco di possibilità trovate su Internet viene colpita dalla richiesta di uno “scrivano” al Palazzo delle donne e attraverso la scrittura delle lettere entrerà in contatto con storie dolorose ma anche con donne coraggiose, che le serviranno da esempio e da stimolo».

Per questo il titolo originale del romanzo è Les victorieuses?

«Sì, può sembrare strano un aggettivo così trionfante applicato a donne povere ed emarginate, ma Solène impara ad ammirare la loro resilienza, la capacità di restare a testa alta pur nella precarietà, e le vede come indomite guerriere».

Blanche e Solène sono donne diverse, la prima ardimentosa, l’altra fragile, trovano il loro posto nella vita grazie al prendersi cura degli altri, una scelta attuale in questo tempo di pandemia, in cui soltanto uno sforzo collettivo potrà portarci fuori del guado.

«Nella nostra società individua-lista sembra si sia perduto il senso di responsabilità, eppure oggi constatiamo quanto sia fondamentale superare gli egoismi per assumersi la responsabilità di quanti ci stanno attorno. La solidarietà, l’empatia, i legami fra le persone sono il tessuto dell’umanità ».

Anche la scrittura, come si comprende nel suo romanzo, può contribuire a creare legami. E lo dimostrano i tanti libri in uscita, forse mai come in questo momento gli autori sentono il bisogno di condividere riflessioni ed esperienze. Anche lei è alle prese con un nuovo libro?

«Sì, e in effetti in questo modo risento poco dell’isolamento, perché comunque passerei le mie giornate davanti al computer, anche senza la pandemia. E oltre a un nuovo romanzo sto anche scrivendo una versione per bambini del Palazzo delle donne, con illustrazioni, perché è importante capire fin da piccoli il valore della solidarietà ».

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