giovedì 25 agosto 2016
​La sfida di un modello fondato sul riuso e lo scarto zero può assicurare uno sviluppo sostenibile per tutte le aree del pianeta.
L'economia circolare ci salverà
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Inquinamento e spreco di risorse figurano tra le problematiche globali che investono prepotentemente l’epoca attuale e trascinano con sé conseguenze imponderabili, ad esempio, sui cambiamenti climatici; ora più che mai, l’indirizzo politico dei governi, la cooperazione di organizzazioni e imprese private, nonché la presa di coscienza della società civile, si è fatta urgente in direzione di un impegno fermo e concreto per un futuro ecosostenibile di città più pulite, funzionali e verdi. Green economy, riciclo di rifiuti, responsabilità sociale d’impresa, economia circolare, risorse rinnovabili e sostenibilità: concetti troppo spesso abusati, ma altrettanto poco frequentati. Con il Cop 21, la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, 196 paesi hanno firmato un accordo, che entrerà in vigore nel 2020, se ratificato da almeno 55 nazioni, con cui si impegnano a garantire la massima riduzione di emissioni di gas serra. In quella sede, gli amministratori di 75 società ferroviarie internazionali sono intervenuti con l’intento di invertire il trend di crescita dei chilometri di strade asfaltate a scapito delle linee ferroviarie, mettendo sul tavolo delle trattative, da parte loro, la garanzia del dimezzamento entro il 2030 di emissioni di Co2, pari a 44 grammi per km e, come noto, nettamente inferiori ai 118 dell’auto, ai 140 dell’aereo e ai 158 del camion. Così come, secondo i dati raccolti dal Green Economy Report nei singoli stati, a parità di lunghezza, la costruzione e la gestione di una linea ferroviaria genera un’emissione di gas serra notevolmente ridotta rispetto a quella di una strada asfaltata. Nonostante tra i mezzi di trasporto quello ferroviario abbia il minore impatto ambientale – ulteriormente contenuto dall’elettrificazione stessa delle linee – si può lavorare per renderlo ancora più ecosostenibile. Altro banco di prova in forte rilievo per il successo della Conferenza si avrà rispetto ai prodotti abitualmente in arrivo da Stati Uniti e Cina con il previsto contrasto all’obsolescenza programmata dei prodotti, strategia industriale che costringe al continuo riacquisto di beni a forte componente elettronica e ammorba con materiali micidiali l’intera filiera ambientale legata allo smaltimento dei rifiuti. Che lo sviluppo di un’economia circolare sia funzionale alla lotta contro i cambiamenti climatici, e viceversa, lo indicano chiaramente i numeri forniti dalla Commissione Europea per l’ambiente, secondo i quali l’impatto positivo evidenziato non si limita alle performance ambientali misurate attraverso il bilancio delle emissioni dei gas serra ( Carbon footprint), ma anche attraverso altri indicatori quali il bilancio idrico ( Water footprint), delle risorse ( Material footprint) e del consumo di suolo ( Land Footprint). Ciò che emerge è un risparmio di acqua non consumata pari a 659.845 m³, 70.378 tonnellate di risorse non prelevate dall’ambiente e 336 ettari di territorio non sfruttato. Il progetto di società circolare rompe con il modo di produrre capitalistico sviluppatosi dalla rivoluzione industriale del settecento, con ripercussioni profonde sull’organizzazione sociale e i suoi valori. Questo perché l’espressione «economia circolare» è una sorta di qualificazione ombrello sotto la quale raccogliere ogni opzione, in termini di organizzazione dell’economia e della società, a partire dalle convinzioni morali, ora supportate dalla scienza, sull’inabilità della Terra a reggere i ritmi di sviluppo attuali e previsti per i prossimi decenni, di 9 miliardi di esseri umani. Si afferma che la società economica lineare dalla quale veniamo, fondata sul trinomio «produci, usa, getta» ( make, take, waste), debba transitare verso un sistema tale da far durare i prodotti quanto più possibile, sostituirli solo se indispensabile, ripararli invece di rimpiazzarli. Si tratta di inventare un percorso circolare che, puntando all’utopia dello scarto zero, deduca tutte le possibili conseguenze dal postulato fondamentale di Lavoisier: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Vale per i prodotti materiali e tecnici, come per quelli a contenuto biologico. Per i primi si tratta di concepire beni che incorporino il minimo di materie prime e siano facil- mente riparabili o scomponibili. La novità è nel fatto che per ricomporre gli equilibri del pianeta non si operi più soltanto alla fine della catena del processo di produzione e consumo, ovvero su smaltimento di rifiuti e scarti, ma si inizi al momento di progettazione e invenzione. Al contrario di oggi, i prodotti vanno concepiti per durare il più a lungo possibile e per essere facilmente recuperabili nella loro interezza o nei loro frazionamenti. A questo circolo virtuoso, i prodotti ad alta composizione biologica, come quelli alimentari, contribuirebbero al reingresso degli scarti nella biosfera attraverso i processi di concimazione biologica o all’elaborazione in altro modo: si pensi al cibo per animali, ai biocarburanti o a materiali edili e tessili. Remedia, uno dei più attivi sistemi collettivi non profit italiani per la gestione di rifiuti da impianti fotovoltaici, pile e accumulatori – Raee – nella pubblicazione di Green economy report declina il tema della lotta al cambiamento climatico al mondo della gestione dei rifiuti tecnologici: il rapporto, redatto in collaborazione con la Fondazione sviluppo sostenibile, fa il punto sull’impatto del sistema del riciclo di Raee a livello europeo e italiano. Nel corso del 2015 Remedia ha gestito oltre 39.800 tonnellate di rifiuti tecnologici, l’88,4% dei quali è stato avviato al recupero di materia e il 3,1% trasformato in energia, mentre solo l’8,1% è stato destinato a smaltimento finale in discarica e lo 0,4% a incenerimento. Secondo quanto stimato nello stesso rapporto sempre relativamente allo scorso anno, solo in Italia il riciclo di Raee ha permesso di evitare l’emissione di circa 550 mila tonnellate di Co2 e allargando lo sguardo all’intera Europa il computo sale a 2,9 milioni di tonnellate. Al positivo impatto sul clima si associa poi quello – determinante per il nostro Paese, di grande tradizione manifatturiera e povero di materie prime – sul risparmio di materiali vergini. In particolare, per quanto riguarda i rifiuti tecnologici raccolti e trattati da Remedia, l’analisi sui materiali evidenzia un recupero del 21% di plastica, del 20% di vetro, del 6% di altra categoria e del 53% di metalli, di cui ben il 77,7% rappresentati da acciaio e ferro, il 9% da piombo, il 6,3% da alluminio e il 6,2% da rame. Anche in questo caso, il recupero di materiali dai rifiuti tecnologici per un paese ha importanti ricadute positive non solo, come ovvio, sull’ambiente, ma in generale sull’economia: dall’elaborazione della Fondazione sviluppo sostenibile emerge infatti che nell’ultimo anno grazie a queste politiche la riduzione dei costi di importazione di materie prime si è attestata attorno a un valore complessivo di circa 16 milioni di euro e questo senza considerare i benefici economici indiretti per le imprese del comparto del recupero. Tuttavia, il 2015 è stato un anno tutt’altro che facile per l’immissione sul mercato di materiali riciclati. Come spesso denunciato da diversi organismi operanti nel settore, un’economia basata sul riciclo può funzionare in modo efficace e in una prospettiva di lungo periodo solo se associata ad un 'fisco verde' che incentivi l’acquisto di prodotti riciclati, cosa che in Italia, e non solo, ancora non sta accadendo.
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