martedì 19 maggio 2020
Il film "Volevo nascondermi" di Giorgio Diritti, con Elio Germano nei panni del pittore (vincitore dell'Orso d'argento per il migliore attore protagonista), è un racconto sull’arte come riscatto
L'attore Elio Germano impersona Antonio Ligabue nel film di Giorgio Diritti sul pittore

L'attore Elio Germano impersona Antonio Ligabue nel film di Giorgio Diritti sul pittore - .

COMMENTA E CONDIVIDI

Va al film di Giorgio Diritti Volevo nascondermi il 'Nastro dell'Anno' 2020, riconoscimento che il Direttivo dei Giornalisti Cinematografici assegna scegliendo tradizionalmente un'opera che merita una particolare sottolineatura di eccellenza, oltre il verdetto che annualmente premia i migliori dell'anno attraverso il voto di tutti gli iscritti al Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani che assegna i Nastri dal 1946. Il Nastro dell'Anno va a Palomar e Rai Cinema per la produzione, a Giorgio Diritti per la regia e ovviamente alla performance eccezionale di Elio Germano nei panni del pittore Antonio Ligabue, che riceveranno i premi, come ogni anno, alla fine di giugno, anche in quest'edizione particolare che si svolgerà a Roma. In questa occasione riceverà un riconoscimento speciale anche alla squadra che ha lavorato, dalla scrittura alle collaborazioni tecniche, fino al make up e all'hair styling. Volevo nascondermi, presentato con successo in concorso a Berlino - dove per la sua straordinaria interpretazione Elio Germano ha conquistato l'Orso d'Argento come miglior attore protagonista - riceve il Nastro dell'Anno perché, come si legge nella motivazione, è "un film che, con lo stile essenziale della semplicità, mette a fuoco la sofferenza e il talento personalissimo di un uomo che, attraverso l'esplosione della sua creatività irrefrenabile, riesce a riempire il vuoto della solitudine e superare il disagio dell'emarginazione e della malattia mentale. Ma, oltre il racconto di un personaggio così straordinariamente 'diverso', una riflessione sulle contraddizioni profonde di un mondo che - per dirla proprio con il suo straordinario protagonista - marcia a forte velocità in ogni direzione dimenticando 'tutti gli storti, tutti gli sbagliati, tutti gli emarginati, tutti i fuori casta', i Ligabue che sono in mezzo a tanta civiltà."

La recensione di "Volevo nascondermi"

Una “favola amara” su dignità e riscatto, sul valore della diversità e sull’arte come strumento per costruire la propria identità. Così Giorgio Diritti definisce il suo ultimo film, Volevo nascondermi, che porta sullo schermo la straordinaria vicenda umana del pittore naif Antonio Ligabue e che il 21 febbraio è stato presentato in concorso al 70° Festival di Berlino, dove il protagonista ha vinto il premio Interpretato da uno stupefacente Elio Germano, trasformatosi nell’artista anche grazie a un sapiente uso del trucco prostetico, il film prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra e ripercorre alcune tappe della vita di Ligabue, dall’infanzia poverissima - fu abbandonato dalla madre in Svizzera (ricostruita nel film in Alto Adige) e adottato da una famiglia più interessata al sussidio che al bambino, e poi respinto in Italia - agli anni di solitudine, freddo e fame in una capanna sul fiume fino all’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati, alla scoperta della pittura come mezzo di espressione, al riconoscimento sociale, al benessere e alla morte.

Soprannominato “el tudesc” e affetto da una grave forma di rachitismo che lo rende sgradevole alla vista, Ligabue dipinge il suo mondo fantastico di tigri, gorilla e giaguari restando sulle sponde del Po, collezionando motociclette, sognando un amore e una famiglia che però non arriveranno mai. Poetico cantore di un’Italia rurale che non esiste più, Giorgio Diritti traccia il personalissimo ritratto di un pittore tormentato e immaginifico che urla al mondo la sua voglia di esistere. Il regista bolognese ricostruisce il percorso dell’artista dipingendo Ligabue attraverso dei “quadri” dalle pennellate vivaci e decise, dense di meraviglia, capaci di restituire non solo il temperamento dell’artista lasciando intatto tutto il suo mistero, ma anche gli odori, i colori e i sapori del mondo che lo circonda.

Il cast conta anche, tra gli altri, Pietro Traldi, Orietta Notari, Andrea Gherpelli, Denis Campitelli, Francesca Manfredini. «Ci siamo sentiti liberi di percorrere un cammino emotivo, non solo narrativo – ha commentato Diritti – perché Ligabue ha molteplici livelli di fascinazione. A colpire è soprattutto il fatto che quando ha individuato la possibilità di esistere nell’espressione artistica, ci si è attaccato con tanta determinazione da farla diventare la sua ragione di vita. La sua è una storia in cui ciascuno di noi può rispecchiarsi. E se il dialetto di Guastalla diventa un modo per aggiungere autenticità al ritratto, Ligabue diventa lo specchio dell’ambiente nel quale viveva. E l’uso del grandangolo diventa il modo per mettere a confronto i grandi spazi con la piccolezza umana».

Nel tracciare il ritratto di Ligabue, Diritti non ha fatto riferimento ad altri film su artisti, anche se cita Turner di Mike Leigh. «Anche la dimensione visiva del film era espressione dell’opera del pittore. Lo sceneggiato televisivo di Salvatore Nocita, interpretato da Flavio Bucci, aveva un approccio diverso, io volevo che il protagonista emergesse grazie alla sua energia e alla sua determinazione. Ho lavorato più con la pancia che con la testa».

«Il trucco prostetico mi ha dato la possibilità di non preoccuparmi della somiglianza fisica con Ligabue di non dover fingere una deformità – ha detto invece Germano – e di concentrarmi sull’animo dell’artista. La preparazione è stata come sempre la fase più interessante per me, ho cercato materiali di prima mano intervistando chi l’aveva conosciuto, anche se alcuni dei ricordi e dei tanti aneddoti che mi sono stati raccontati appartengono allo sceneggiato televisivo. E quel poco materiale video e audio disponibile in Rete l’ho distribuito anche alla troupe. Abbiamo scelto un approccio di grande umiltà nei confronti di una creatura estremamente ricca e complessa, che ci insegna cosa sia la dignità e che ci invita ad avere rispetto per quella fragilità umana che oggi va poco di moda».

E a proposito del mondo interiore dell’artista, l’attore aggiunge: «Nei suoi quadri la vegetazione diventa giungla ostile, le battaglie tra gli animali selvaggi alludono probabilmente a quelle tra i suoi demoni interiori, mentre montagne e castelli rimandano alla sua infanzia. È affascinante come ci racconti se stesso e le proprie tensioni attraverso i paesaggi che dipinge». E se Degli Esposti fa notare che Ligabue forse non avrebbe potuto dare sfogo alla propria creatività se non fosse stato accolto da una società povera, ma inclusiva, molto diversa da quella di oggi, la co-sceneggiatrice Tania Pedroni aggiunge: «Il nostro obiettivo non era quello di costruire un racconto lineare, ma di farci accompagnare dagli stati emotivi di Ligabue. Non è stato sempre facile seguire una mente sofferente che non smetteva mai però di cercare un contatto con la realtà che lo circondava. Ligabue non ha mai smesso di chiedersi quale fosse il suo posto nel mondo e cosa avesse di speciale da offrire agli altri e sono proprio queste le domande che ci permettono di sentirci molto vicini a lui».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: