mercoledì 28 settembre 2016
​C'è una letteratura cinematografica che ha fatto di serial killer, boss mafiosi e maltiventi quasi degli "eroi".
Quel Cinema che esalta il male
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E puntualmente arriva una pellicola su Amanda Knox e l’omicidio di Meredith Kercher. Come accadde per O.J. Simpson e Pistorius, un omicidio si trasforma in un evento dove tutti pretendono di giocare un proprio ruolo. Per primi i tabloid, poi narratori e sceneggiatori, infine la grande ribalta dello schermo. È come se il male venisse scalzato dalla sua rappresentazione. E in fondo è sempre stato così. I racconti dei vecchi lupi di mare non attraevano gli avventori delle locande se non parlano di sangue, squali assassini, leviatani che sorgendo dalle acque ingoiavano i malcapitati. Della riproposizione della vita reale i grandi scrittori di noir ne hanno tratto una professione. Il re indiscusso del genere, James Ellroy, ha speculato cinicamente sulla morte della madre, Geneva Hilliker, assassinata da un omicida rimasto senza nome quando lui aveva nove anni.

Ellroy è stato capace di trasformare la sua personale tragedia in una macchina da soldi. Ha trasposto l’immagine della madre nelle sagome di donne altrettanto realmente uccise tra gli anni quaranta e novanta, toccando i suoi vertici narrativi raccontando la storia e il brutale assassinio della Dalia Nera, Elizabeth Short, una ragazza originaria di Boston approdata sul finire degli anni Quaranta a Hollywood in cerca di gloria cinematografica. Ellroy per scrivere il romanzo è partito dalle cronache dell’epoca. E il cinema gli è andato dietro tanto che Brian De Palma ne ha tratto il film Black Dahlia, una pellicola dai toni cupi e dall’atmosfera carica di ambiguità. La raffigurazione del male richiama il pubblico, stuzzica gli istinti voyeuristici di ognuno di noi, esorcizza le nostre paure.

Accadeva negli anfiteatri romani, accade oggi. Oggi però è come se le tenebre e il buio armato avessero effettuato un salto di qualità. I mostri, gli psicopatici, i killer da sogget- ti da mettere alla gogna o quanto meno alla berlina si sono trasformati in affascinanti miti postmoderni. È lontano il tempo in cui Fritz Lang, nel 1931, affidava la parte del mostro di Düsseldorf, film ispirato alla vicenda storica di Fritz Haarmann, soprannominato il “lupo mannaro”, a un bravissimo, ma repellente Peter Lorre. Il cinema moderno invece assegna la parte di Patrick Bateman, psicopatico personaggio di American Psycho, a un sex symbol come Christian Bale e non a caso è stata scelta Charlize Theron per il ruolo di attrice principale nel film Monster che rielabora la crudele e nefasta esistenza di Aileen Wuornos, uno dei rari casi di serial killer al femminile studiata dalla criminologia mondiale. Il male come ingrediente inevitabile del nostro essere quotidiano è alla base di numerosi film.

I fratelli Cohen, con Fargo, mettono in scena il male domestico, casalingo, dichiarando che avevano preso spunto da un omicidio perpetrato nel Connecticut dove un marito aveva ucciso la moglie usando una cippatrice. Ci sono casi dove il male di celluloide detta i comportamenti, se è vero che Bernardo Provenzano e Totò Riina rivedevano Marlon Brando nel Padrino per rettificare la loro gestualità. Così come dopo l’uscita di Fight Club, film delirante del ’99 di David Fincher tratto dal romanzo omonimo di Chuck Palahniuk, negli States proliferarono piccoli club dove la gente comune si massacrava in combattimenti al limite dell’ultimo sangue. 

 E anche in questi casi il ruolo della dannazione e della morte era impersonato da belli del cinema come Ed Norton e Brad Pitt (a lui anche il ruolo di Morte nel film Vi presento Joe Black). D’altronde i protagonisti del male, anche nella vita reale, non sono più concepiti al pari dei soggetti lombrosiani come il brigante Giuseppe Villella.

Sui giornali di cronaca attuali campeggiano immagini come quella del volto di Pietro Maso (assediato dalle fan durante la sua carcerazione), così come non è facile dimenticare gli occhi penetranti di Renato Vallanzasca (sul grande schermo lo ha impersonato Kim Rossi Stuart in Angeli del male), capo indiscusso della banda della Comasina capace di stregare avvocatesse e giudici penali.

Resta la considerazione che cinema, letteratura e fiction televisive rispondono solo al credo del botteghino e dell’audience. Il male incarnato nel mostro di Rostov, Andrej Cikatilo, il killer seriale giustiziato in Russia il 14 febbraio del 1994, ha trovato la sua collocazione nel palinsesto cine televisivo addirittura con una doppietta: al film Evilenko si è aggiunta la pellicola Child 44. La morte e in particolare la morte violenta è uno dei grandi temi dell’umanità ed è inevitabile che le arti si rifacciano alla vita, la imitino, la approfondiscano, a volte ne esaltino le ambiguità, la deformino.

Nel 2005 Vittorio Sgarbi curò una mostra dedicata al male nella casina di caccia di Stupinigi, a Torino. Erano raccolte trecentocinquanta opere, dal ’400 ai giorni nostri. Si andava da Mario Sironi a Enrico Colombotto Rosso, dai grandi fiamminghi ai writer, dal ritratto di Francisco Franco di Renato Guttuso al Supplizio della ruota di Piranesi. La tragedia dimostra di esercitare un fascino più potente del lieto fine.

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