sabato 20 luglio 2013
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​Il quadro del razzismo nel calcio italiano che Avvenire ha tracciato due giorni fa nell’articolo “Quel razzismo da ultimo stadio”, assume tinte fosche e si materializza perfino in un murales «culturalmente e ideologicamente scandaloso». È il giudizio tranchant del sociologo Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio sul razzismo e antirazzismo nel calcio. «Trovo offensivo che nel Palazzo del Coni, per giunta nel Salone d’Onore, sia ancora ben visibile l’enorme dipinto degli anni ’20 del secolo scorso intitolato: “Apoteosi del fascismo”, opera di Luigi Montanarini. Un’opera celebrativa raffigurante un Mussolini in trionfo su un altare... Stiamo parlando di un regime che ha promulgato le leggi razziali, le quali hanno avuto conseguenze tragiche anche nello sport causando la deportazione nei campi di concentramento e la morte di atleti ebrei, colonizzati, italiani e neri. Ricordo che appena nominato presidente del Coni Giulio Onesti lo volle coprire con un panno, poi nel 1997 chissà per quale motivo è stato di nuovo reso pubblico...». Uno sfogo amaro di Valeri e forse un invito aperto all’attuale n.1 del Coni, Giovanni Malagò, a coprire nuovamente quel “murales”. «In Italia si parla sempre della necessità di una nuova cultura sportiva e allora ritengo che un nuovo corso dovrebbe partire da un gesto simbolico, ma importante, come quello di ricoprire quel dipinto. Oppure, in attesa che la Sovrintendenza esprima il suo parere, di allestire nello stesso Palazzo una mostra permanente sul razzismo nello sport durante il fascismo, come quella promossa dal Memorial della Shoah di Parigi che sta girando tutta Europa. Del resto, - continua Valeri - il Coni su questo tema qualche “colpa storica” ce l’ha: quando è stato istituito nel 1942, aveva come finalità, prevista dall’art.2 del suo statuto, il miglioramento fisico e morale della “razza”. Forse il popolo degli stadi non sa che quella nefasta parola discriminante è stata tolta solo nella legge di riforma del 1999, cinquant’anni dopo la caduta del fascismo... Lo sport italiano è stato nei fatti “incostituzionale”, dato che l’art.3 della Costituzione asseriva con fermezza che non potevano esservi discriminazioni in base alla “razza”. Semplice dimenticanza o mal celata nostalgia?». Le domande spetterebbero a noi  e quindi al responsabile dell’Osservatorio chiediamo: come si può sanare la piaga del razzismo nello sport? «Il presidente del Coni Malagò ha dichiarato di appoggiare la linea della “tolleranza zero” verso i razzisti, quindi gli proporrei di vincolare la distribuzione dei fondi che ha a disposizione, a quelle federazioni e a quegli enti che si impegnano a realizzare concretamente progetti contro il razzismo. Le federazioni, Federcalcio in primis, dal canto loro potrebbero dedicare qualche ora di “formazione antirazzista” inviando esperti e persone qualificate all’interno delle singole società». Il calcio, con i suoi 59 episodi di razzismo registrati sui campi dalla Serie A alla Seconda divisione nella stagione appena conclusa e il record di multe pagate (498mila euro) dai club per gli insulti a sfondo razziale delle loro tifoserie, rappresenta la pietra dello scandalo. «Anche nel calcio c’è un problema culturale che parte da un’altra “svista storica”. Passeggiando lungo i corridoi del centro sportivo di Coverciano, campeggia una grande fotografia della Nazionale campione del mondo del 1938 in cui si notano alcuni giocatori che fanno il “saluto romano”. Se un bambino vede quell’immagine, penserà che si tratta di un semplice gesto sportivo... Possibile che non c’era un altro scatto per ricordare quella squadra leggendaria?». Osservazione legittima, però va dato atto al calcio che specie dopo il “caso Boateng” si sia mobilitato sul fronte dell’antirazzismo. «Qualcosa è vero si sta muovendo. Per fortuna ci sono anche molte iniziative che hanno fatto e fanno del calcio un vero strumento di integrazione e di lotta contro il razzismo, in campo e fuori. Grazie anche alle pressioni scaturite dalla campagna nazionale “Gioco anch’io” si è arrivati alle modifiche all’art.11 del Codice di Giustizia Sportiva (nuove misure contro il razzismo), e soprattutto dell’art.40 delle Noif (modifiche sul tesseramento), che tiene conto dei cambiamenti della nostra società sempre più multirazziale, a partire dallo status dei figli degli stranieri, i cosiddetti “G2” come i nazionali Balotelli e Ogbonna, i quali però ci tengo a sottolineare che, pur essendo nati rispettivamente a Palermo e a Cassino, sono diventati cittadini italiani soltanto al compimento dei 18 anni. Queste modifiche comunque e la tanto agognata legge sulla cittadinanza sportiva saranno una messa alla prova per verificare se questo è un Paese razzista oppure no. Nel frattempo oltre al nostro sul calcio, sarebbe opportuno che il Coni istituisse un Osservatorio che tenga monitorato il fenomeno su tutto il mondo sportivo. Perché la lotta al razzismo riguarda ogni disciplina e non può essere ridotta a mero problema di ordine pubblico negli stadi di calcio. Le nuove norme più severe e restrittive rappresentano un deterrente e sono utili per colpire i violenti, ma prima di tutto va creata una vera e forte cultura antirazzista».
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