sabato 1 giugno 2013
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​Fa un certo effetto sentir dire a un direttore d’orchestra che «più che le note o l’acustica questa sera conterà quanto riusciremo a far capire che la musica può diventare un evento di aggregazione». E non solo in termini di numeri – c’è chi spera di arrivare a quota 50mila presenze. Perché il concerto di stasera in piazza Duomo a Milano per Riccardo Chailly ha «prima di tutto un valore sociale». Il direttore d’orchestra milanese, alle 21.30, porta la Filarmonica della Scala fuori dal teatro per regalare alla città (l’ingresso è libero) una serata con le pagine più belle di George Gershwin – ma c’è anche il Bernstein di Candide – dalla Rapsodia in blu alla Cuban ouverture sino al Concerto in fa. Con lui, ancora una volta, il pianista jazz Stefano Bollani che Chailly ha lanciato come interprete classico affidandogli Ravel e, appunto, Gershwin. «Speriamo che non piova – auspica – ma anche sotto l’acqua noi ci saremo».Cosa significa, maestro Chailly, portare la musica classica in piazza?Significa vivere un evento dove la partecipazione di massa, esaltante e febbrile, fa andare oltre il significato delle note e guardare al valore sociale di ascoltare musica insieme. Mi piacerebbe che a Milano, la mia città, si ripetesse quell’alchimia tra musicisti e pubblico che da otto anni sperimento a Lipsia dove a fine estate suono sull’Augustusplatz con la mia orchestra del Gewandhaus. Una gioia che mi piacerebbe condividere con Milano nel segno di Gershwin, uno dei grandi autori del Novecento, che arriva immediatamente all’ascoltatore. Occorrono autori "semplici" e "immediati" per sfide del genere?Per proporre i grandi classici – a Lipsia abbiamo fatto Mendelssohn, quest’anno tocca a Verdi e Wagner – occorre che la città abbia dimestichezza con questo tipo di eventi: ecco perché quello di questa sera è bene che non resti un fatto isolato, ma possa diventare un appuntamento fisso per la Filarmonica e per Milano. Si potrebbe pensare per il futuro all’accoppiata Rossini-Verdi, ma anche al grande sinfonismo italiano di Puccini, Respighi, ma anche di Nino Rota o Victor De Sabata.Come catturare l’ascolto della piazza, luogo di passaggio e lontano dal "rito" del teatro?In piazza tutto si amplifica, non solo a livello di suono, ma di sensazioni: i maxischermi che rimandano le immagini dei musicisti permettono di essere in mezzo all’orchestra. Mi piacerebbe avvertire un senso di sussulto di una città che per un attimo si ferma e si lascia conquistare dalla musica. Avremo successo se a fine serata gli ascoltatori diranno «Peccato sia già finito», andando a casa con il desiderio di esserci al prossimo appuntamento.Andando in piazza, allora, la musica va alla ricerca di nuovo pubblico da portare in teatro?Non necessariamente. Milano, come molte città italiane, ha grandi spazi come piazze, appunto, palazzetti, stadi che potrebbero essere riempiti di musica. Penso alla Fiera dove in novembre con la Verdi porterò l’Ottava di Mahler per festeggiare i vent’anni dell’orchestra che ho guidato sino al 2005.Il suo è uno dei nomi che si fanno per la direzione musicale della Scala del dopo Lissner. Ma c’è anche chi la vorrebbe alla guida dei Berliner Philharmoniker.Voci che, certo, fanno piacere, ma restano tali. L’unica cosa sicura che posso dire in questo momento è che sono molto vicino al rinnovo oltre il 2015 del mio ruolo di Kappelmeister del Gewandhaus di Lipsia. Tornerò alla Scala il 1 maggio 2015 per la Turandot che inaugura il cartellone dell’Expo.
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