mercoledì 1 ottobre 2014
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Teatro, traduzioni e poesia, l’intreccio creativo di uno spirito inquieto. Un corpo minuto e curvo, due occhi mobili e puntuti che sembrano voler bucare gli occhiali, il solito basco poggiato di sguincio sul capo: Guido Ceronetti, col suo tratto spregiudicato e anticonformista, si appresta a combattere la sua nuova battaglia. L’età non conta, è il pensiero a muovere, anche se talora espresso in forme eccessive da lasciare perplessi. Lo scrittore torinese, 87 anni, torna sul palcoscenico del Piccolo Teatro Grassi di Milano, stavolta, per stupirci e farci riflettere, come autore e interprete. Lo spettacolo, in scena dal 3 al 5 ottobre, si intitola Quando il tiro si alza. Il tema? La Grande Guerra. Perché? «Saremo in sei, io e gli attori del mio Teatro dei Sensibili, non abbiamo i mezzi per un racconto “fattuale” della guerra, cosa che peraltro non ci interessa: cercheremo invece, nell’anno del centenario, di svelarne un lato oscuro, assai poco frequentato». E qual è? «L’aspetto religioso...». Cioè? «Può sembrare strano... i ragazzi partiti da ogni parte d’Europa per partecipare al conflitto si persero, morirono, ma le loro famiglie li consideravano “viventi in altro modo”, li aspettavano invano, non avevano notizie ma attendevano una loro “resurrezione”: quei giovani erano una imitazione della Passione, erano come dei crocifissi, milioni di crocifissi... e che fossero atei o credenti non importava». Anime e spiriti che aleggiavano sull’Europa e che pesavano sulla coscienza dei governanti...«Sì, ma mi lasci dire che è stato anche un intervento diabolico a far scoppiare la guerra, un’immensa tragedia dalla quale poi sono scaturiti Hitler e Lenin, due incarnazioni del diavolo. Va anche detto, però, che nella Grande Guerra si svolsero combattimenti spirituali intensissimi i cui capitali hanno avuto riflessi nella letteratura, nel teatro, nel cinema».  Lei quella guerra non l’ha fatta ma quali ricordi se ne porta dietro?«Mio padre ha combattuto in Trentino, sul Carso e sul Piave. Ne parlava sempre a me e mia madre. Era stato ferito e pativa terribili reumatismi, ebbe il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto, prendeva una pensione di 60 mila lire... Quella guerra fu devastante, ha cambiato la storia e l’anima della gente».E invece, un suo “ricordo letterario” della guerra? «Le lettere dal fronte di Giosuè Borsi, un irredentista secondo il quale, alla fine di quell’esperienza, “la guerra è follia totale, non insegna proprio niente, nemmeno alla scienza, e l’unica verità sta nella grazia del Signore”». Ci spiega il titolo dello spettacolo, “Quando il tiro si alza”?«Ho preso come spunto il cosiddetto “brindisi di Fricourt”, un fatto storico: due giorni prima dell’offensiva anglo-francese sulla Somme, il 1 luglio 1916, gli ufficiali britannici del IX battaglione di fanteria dello Yorkshire, schierato davanti alle posizioni tedesche di Fricourt, si riuniscono per un brindisi nell’imminenza dell’attacco. Incaricato di dire una frase di circostanza, il capitano Harshwell scandisce lentamente: “Signori, a quando si alzerà il tiro di sbarramento...”.  Ma l’alzarsi del tiro delle artiglierie era il segnale dell’attacco delle fanterie. E il battaglione, la sera stessa, si ridusse da ottocento, a ottanta uomini. L’ho adottato, nella sua laconicità da epitaffio di Eschilo, per la sua nuda eloquenza che evoca l’enigmatica e miserabile vicenda umana».Eschilo, Sofocle, Marziale, Giovenale, il “Qohelet” e l’“Ecclesiaste”: le sue amate traduzioni, dal greco, dal latino, dall’antico ebraico...«Sono testi che mi hanno cambiato la vita. Eppure, di ebraico biblico avrei voluto fare di più. E il latino... sa che ho vissuto anni di nostalgia per la messa pre-conciliare?». Anche il teatro è poesia?«Il teatro è dare gioia, creare emozioni».Che rapporto ha, lei, con la Verità?«La domanda di Pilato è sempre buona... La verità non può morire, è “colei che non è nascosta”, magari è sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. Perciò non cerchiamola nel pozzo».Quale messaggio vorrebbe lanciare ai giovani?«Di stare lontani dalla menzogna, di non essere travolti dalla superfialità, anche se mascherata di cultura. Con loro noi adulti dobbiamo essere molto, molto responsabili, li aspettano prove dure.
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