venerdì 10 giugno 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Cento anni di solitudine di una giacchetta nera. L’Aia, Associazione italiana arbitri, compie 100 anni: risale infatti all’agosto del 1911 il primo documento statutario delle temute, quanto solitarie, “giacchette nere”. Sì perché se il poeta Umberto Saba ha eternato la solitudine del portiere, e Nando Dalla Chiesa, parodiando il poeta triestino, quella dell’ala destra Gigi Meroni, nessuno si è mai soffermato sull’isolamento secolare vissuto da un protagonista assoluto del calcio come il «signor Arbitro». Solo contro tutti, a volte anche contro se stesso, avendo a disposizione due occhi e un fischietto per segnalare le irregolarità commesse dai 22 in campo nell’arco sempre ristretto della frazione di secondo. La tecnologia, l’auricolare collegato con i guardalinee, il quarto uomo, hanno ridotto la sua percentuale d’errore, ma questa è impossibile azzerarla. Un secolo di fischietti in giro per l’Italia, dove ogni domenica questi signori, che una volta vestivano solo di nero (oggi siamo arrivati alla divisa giallo choc e perfino fucsia), dirigono le sorti di 15mila partite tra il pianeta A e i satelliti remoti del dilettantismo.Una responsabilità enorme, con la mannaia dei tifosi pronta a scagliarsi sulle loro teste alla minima svista, che per antonomasia, subodora sempre di presunta malafede e fa gridare all’«arbitro venduto». In realtà di venduti se ne ricordano appena un paio in tutta la lunga e gloriosa storia degli arbitri nazionali: gli imprudenti Pera e Scaramella che negli anni ’40 incassarono assegni per aggiustare il risultato. La corruzione nel calcio non è mica storia di questi giorni. Nella nostra Repubblica fondata sul pallone è sempre esistita, ma nella vecchia nazione arbitrale c’è stato anche un “tiranno”, il signor Concetto Lo Bello di Siracusa, il quale era inavvicinabile, anche dai furbetti del palloncino di ieri. Irremovibile e tutto di un pezzo Lo Bello, così come il collega Cesare Jonni di Macerata che fece infuriare i milanisti dopo una sfida del ’52 e il giorno dopo il Corriere della Sera, inflessibile e per niente imparziale, come si addice a un buon arbitro, titolava: “Jonni, un cieco a San Siro”. «Non me lo ricordo quel titolo, ma l’arbitro è un essere umano, mica una macchina. Che poi anche quelle sbagliano no?...», ci disse tempo fa il saggio Jonni quando andammo a scovarlo nel suo rifugio marchigiano.Ecco, il calcio tritacarne, l’industria pallonara dei nostri tempi, con la famelica moviola utilizzata come macchina della verità nei barsport dell’orgia mediatica, ha finito per disintegrare un elemento peculiare di questo sport: l’umanità. Anche dietro gli occhi gelidi e sbarrati dell’insuperabile “marziano”, l’internazionalissimo signor Pierluigi Collina di Viareggio, si celava, quando dirigeva, un fondo di grande umanità. Quella che invoca nel centenario anche il presidente dell’Aia Marcello Nicchi. «Oggi, è sotto gli occhi di tutti quello che siamo: una classe arbitrale nuova, trasparente, tersa. Ci rimane solo da sfidare le macchine: i nostri arbitri di vertice hanno dimostrato il loro grande valore e gli arbitri di base li stanno seguendo». Vero. Come è vero che laggiù, nell’abisso del dilettantismo, in quei campi dove non esiste neppure l’illuminazione per le notturne, non ci si accorge che la sana passione per il calcio spesso sconfina in amore molesto. Si parla e si denuncia frequentemente, e a ragione, di razzismo negli stadi, oltre 500 casi in Italia negli ultimi dieci anni, ma si fa sempre riferimento al calciatore di colore oltraggiato dai vergognosi «buu-buu». Mai nessun cenno all’arbitro, il quale, oltre che per la sua delicata funzione “sociale” viene preso di mira anche per il colore della pelle.È accaduto nel 2007 al signor Slimane Ouakka di Rimini, mentre arbitrava una partita tra Argenta e Forlì: dopo gli insulti razzisti, aveva anche ricevuto uno schiaffo dal terzino della squadra locale. «Anche se tutti si aspettavano la vittoria per 3-0 assegnata al Forlì, il Giudice sportivo aveva deciso che la partita dovesse essere ripetuta», sottolinea il sociologo Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio sul razzismo e l’antirazzismo nel calcio. Il signor Mohammed El Hadi, di origine egiziana, arbitro della sezione di Rovereto ( Trento), stanco dei ripetuti cori razzisti da parte di un tifoso della Valsugana, ha interrotto la partita (San Rocco-Valsugana), del campionato di prima categoria trentina. «L’ho fatto perché mi sono sentito indignato e non in grado di proseguire la direzione dell’incontro», ha raccontato El Hadi. A Millesimo (Savona) è accaduto invece l’inverosimile: il guardalinee che proferisce insulti razzisti nei confronti del direttore di gara. L’assistente dell’arbitro è stato poi allontanato a fatica dai dirigenti e i giocatori del Millesimo, beccandosi otto mesi di squalifica da parte del giudice sportivo.Fa l’assistente di linea anche Luca Nissanka Calcopietro, di Ostia Lido (Roma), originario di Colombo, Sri Lanka, che nella partita di serie D, tra Teramo e Atletico Trivento, è stato insultato dai tifosi locali. La dirigenza teramana nei giorni seguenti ha riparato al brutto episodio scrivendo: «La società esprime disappunto e amarezza per i cori e gli insulti a sfondo razziale rivolti all’assistente, al quale, a nome dei propri tifosi, porge le più sentite scuse». Con le scuse è arrivata anche la squalifica del campo del Teramo: 2 giornate e 2.500 euro di multa. Avremmo voluto parlarne con Luca Nissanka Calcopietro della sua e delle altre vicende analoghe di arbitri fatti oggetto di episodi di razzismo, ma l’Aia ha posto il veto alla nostra intervista, smentendo uno dei principi cardine del presidente Nicchi che al suo insediamento, parlò di una maggiore apertura e «disponibilità» (parola chiave del nicchismo) della classe arbitrale nei confronti della stampa. L’unica vera apertura, dopo cento anni, ci è sembrata solo quella verso le donne-arbitro. La signora Silvia Spinelli, è l’unica “arbitra” tra i professionisti e quest’anno ha diretto una gara di Prima Divisione (Lucchese-Virtus Lanciano). Per ora però di arbitri di colore nel professionismo non se vedono. Del resto la colonialissima Francia, nel marzo scorso, solo a causa di uno sciopero nazionale degli arbitri ha concesso il privilegio al franco-camerunense Silas Billong, di dirigere un match di Ligue 1.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: