sabato 2 settembre 2017
Il Premio Acqui Storia, nato per celebrare la memoria dell'eccidio del 1943, mette nella cinquina finale un saggio di Elena Ago Rossi che sconfessa la versione ufficiale. Ed è polemica
Cefalonia fa il contropiede agli storici
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Fondare un premio storico per celebrare un evento del passato e trovarsi travolti dalla ricostruzione che di quell’evento propone uno dei possibili vincitori del concorso. Sono i paradossi di Clio, musa dell’epica e della storia. A farne le spese oggi è il Premio Acqui Storia ideato per ricordare la vicenda che vide coinvolta la divisione Acqui a Cefalonia nel settembre del 1943. A scatenare l’incendio è l’inclusione nella cinquina finale del premio (sezione scientifica) di Cefalonia di Elena Aga Rossi (il Mulino) in cui la storica mette pesantemente in discussione la ricostruzione consolidata di quei lontani eventi, come aveva raccontato Paolo Simoncelli sulle nostre pagine a gennaio. Quello che accadde dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 sull’isola greca del Mar Ionio fu l’unica battaglia dei Balcani in cui truppe regolari italiane e tedesche si scontrarono in campo aperto. A seguito della diffusione del comunicato di Pietro Badoglio i reparti italiani si trovarono davanti alla scelta se imbracciare le armi contro la Wehrmacht o consegnarsi all’ex alleato. A seguito di un referendum indetto tra i militari si decise per lo scontro. La battaglia divampò tra il 15 e il 22 settembre e portò, poi, alla fucilazione di 300 tra soldati e marinai - ma circa 9mila furono, in totale, i militari italiani periti a Cefalonia. Così, almeno, la ricostruzione ufficiale.

Già nel novembre del 1945 Alcide De Gaspari presentò il comportamento della divisione Acqui come «resistenza partigiana». Gli fece eco, di lì a cinquantasei anni, l’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi considerandolo «il primo atto della resistenza di un’Italia libera dal fascismo». È una interpretazione che però mal si concilia con la tesi di Elena Aga Rossi: «Perché a Cefalonia si ribellarono? La risposta data allora dal ministero della Guerra, ma sempre tenuta nascosta, sta nel termine “sobillare”: vi fu un’azione mirata, sia da parte di alcuni ufficiali sia da parte dei greci, per convincerli che il comandante Antonio Gandin stava opponendosi alla lotta contro i tedeschi, considerata la via più diretta per tornare a casa. È probabile che la vicinanza dell’Italia e la speranza nell’arrivo di aiuti da parte degli anglo-americani abbiano avuto un ruolo essenziale nel convincere una parte della divisione che, combattendo i tedeschi, sarebbero tornati a casa prima che se avessero accettato di arrendersi». In questa cornice Elena Aga Rossi solleva dubbi pure sul numero dei morti. Non sarebbero 9mila, come annunciò la Presidenza del Consiglio nel settembre del 1945 in un comunicato ufficiale, ma tra i 1600 e i 2500. Come se non bastasse anche la figura di Renzo Apollonio, ritenuto ispiratore ed eroe della rivolta, esce dalle pagine di Aga Rossi malconcia: su di lui, scampato all’eccidio, penderebbero sospetti di collaborazione con il Reich dopo il settembre del 1943, occultati al termine della guerra o spacciati allora per infiltrazione nelle fila nemiche. Se si aggiungono anche le ipotesi delle responsabilità imputate a Pietro Badoglio e al governo italiano nella gestione delle sorti dei reparti dell’esercito regio e le perplessità sulla consultazione dei militari la polemica non poteva non scoppiare.

Appena divulgati i nomi dei finalisti alcuni membri dell’Associazione nazionale dei reduci della divisione Acqui e dei loro famigliari, seppur a titolo personale, hanno manifestato il loro dissenso. La stessa associazione tramite Paolo Zanisi, delegato ai rapporti con il premio, ha espresso le sue perplessità con tono pacato ma fermo. Per sbrogliare la matassa l’assessore alla cultura, Alessandra Terzoli, dichiara al “Corriere della sera” che tra l’assegnazione e la consegna del premio si potrebbe organizzare un confronto tra Elena Aga Rossi e uno studioso designato dall’Associazione. Una soluzione che alla storica non piace, secondo quanto riportato venerdì dal quotidiano di via Solferino. Preoccupazione condivisa da Maurilio Guasco, presidente della giuria del premio, che invece rilancia con una tavola rotonda tra gli studiosi che si sono occupati di Cefalonia. Lo stupore per l’acceso dibattito sarebbe mal posto. Potrebbe non esserci polemica quando la storia al suo valore scientifico associa valenze civili e politiche scaldando cuori e infiammando le menti? Difficile fare valere, in un contesto dove fatti, memoria, passioni s’intrecciano, la convinzione di Cicerone che «la prima legge della storia sia di non asserire il falso, la seconda che non si taccia il vero». E poi, proprio queste discussioni, sono il sale di democrazia e cittadinanza che a parole tanto difendiamo.

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