martedì 27 giugno 2023
Il Festival di Spoleto apre con l’applaudito debutto della seconda tappa della trilogia dedicata all’autore russo. Il regista 35enne: «I classici sono sempre attuali»
Lo spettacolo teatrale “Zio Vanja” diretto da Leonardo Lidi andato in scena al Festival di Spoleto

Lo spettacolo teatrale “Zio Vanja” diretto da Leonardo Lidi andato in scena al Festival di Spoleto - Foto di Gianluca Pantaleo

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Mentre applaudiamo commossi Zio Vanja e la magnifica compagnia che lo mette in scena al Teatro Caio Melisso di Spoleto, viene da domandarsi come faccia Anton Cechov ad essere sempre così maledettamente contemporaneo, anzi, preveggente. Insoddisfazione, fallimenti, interessi economici e persino ecologia, c’è tutto. «Perché i classici non sono mai datati, la scrittura può superare il tempo» esordisce Leonardo Lidi, il regista 35enne che si è lanciato anima e cuore in un progetto triennale su Cechov che qui a Spoleto ha illuminato il primo week end della 66ma edizione del Festival dei Due Mondi diretta dalla francese Monique Veaute.

Che ha pienamente convinto con una ricca proposta fra danza, musica classica, teatro e mostre che proseguirà sino al 9 luglio. A partire dal ritorno alla danza del 46enne coreografo Benjamin Millepied con Unstill life alla bella sorpresa della 39enne regista Silvia Costa, che trasforma Harawi di Olivier Messiaen in una raffinata performance con la pianista Costanza Principe e il soprano Katrien Baers. Ma torniamo a Zio Vanja, una coproduzione del Teatro Stabile di Torino, Teatro Stabile dell’Umbria e Spoleto Festival dei Due Mondi che girerà molto nella prossima stagione. Si tratta della seconda tappa di una trilogia cechoviana a cura di Lidi: l’anno scorso Il Gabbiano, quest’anno Zio Vanja e l’anno prossimo Il giardino dei ciliegi che alla fine del percorso verranno riproposti tutti insieme.

In Zio Vanja i protagonisti sono bloccati nell’immobilismo della provincia russa e si crogiolano nella noia esteriore e nel tormento interiore per i propri fallimenti all’interno di una grande dacia in decadenza: Vanja (un eccezionale Massimiliano Speziani) ha 47 anni è diventato l’amministratore della tenuta di famiglia frustrando le proprie capacità e sogni giovanili per mettersi al servizio del cognato Serebriakov (Maurizio Cardillo), un illustre professore che si scopre essere una nullità dopo la pensione, mentre la sua giovane seconda moglie Elena (Ilaria Falini) è vinta dalla noia e la paziente e laboriosa Sonja (Giuliana Vigogna), figlia di primo letto del professore, essendo brutta non ha speranze di fare innamorare di sé il dottor Astrov (un sempre convincente Mario Pirrello), l’outsider del gruppo, un idealista che beve per resistere al massacrante mestiere di medico distrettuale.

Il regista limita lo spazio di movimento degli attori, che ritroviamo tutti frontali, vestiti anni 70, mentre le donne indossano parrucche alla Jackie Kennedy pesanti come i loro pensieri: a incombere su di loro una immensa quinta di legno di betulla a forma di tavolo che, come spiega Lidi, «rappresenta l’oppressione del tempo e l’uomo che si autolimita». Così facendo non c’è via di fuga per nessuno, nemmeno per il pubblico che meglio si può concentrare sulle parole e sugli inflessibili ragionamenti, a partire da quelli di zio Vanja, il primo ad avere preso lucida coscienza della catastrofe umana che lo circonda. «La chiave per me è che i personaggi si sentono ininfluenti – aggiunge Lidi – Cechov quando parla di società parla sempre di teatro: e noi quanto siamo influenti sulla cultura italiana?». Ed aggiunge di essersi tolto dai social perché «il teatro deve ribadire la sua funzione, un luogo dove corpi e sguardi comunicano attraverso le emozioni». Il contrario di quanto immagina l’affascinante installazione dell’artista Gabriele Gianni Tutto è numero, promossa dalla Fondazione Carla Fendi, sulla relazione profonda tra numero e creatività realizzata attraverso gli strumenti dell’intelligenza artificiale generativa.

Ma qui parliamo di vita vera che esplode in una grande vivacità recitativa voluta da Lidi che, come attore, sarà fra i protagonisti da ottobre su Prime Video nella serie italiana Everybody loves diamods. Il regista valorizza giustamente anche il coté ecologista del dottor Astrov che colpisce per la sua modernità: già nel 1897 Cechov denunciava la distruzione dell’ambiente dettata dal “progresso”. Il dottore è invece uno che pianta alberi, che difende i boschi che stanno scomparendo e che «si rende conto dell’impatto ambientale e climatico dell’essere umano» aggiunge Lidi . Come dice Astrov: «voi stupidamente distruggete i boschi e fra poco la terra sarà deserta, nello stesso modo distruggete i sentimenti… ». Il finale è lineare, secco, crudele. Occorre sopportare e vivere, questo l’invito della buona Sonja al suo disperato zio: lei crede in un’altra vita in cui la ricompensa sarà il riposo. Purtroppo in questa non c’è speranza e l’esistenza si spegne dentro il video gracchiante di un televisore che perde il segnale.

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