sabato 1 settembre 2012
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La neve imbianca il convento delle clarisse di Urbino. Non ci si aspetterebbe mai di trovarle, in quel luogo di preghiera, a loro agio di fronte a una cinepresa. E dietro questa, Liliana Cavani porgere domande anche non confortevoli, ma importanti per la vita di oggi, nella e fuori la Chiesa. Rispondono per ventidue minuti in Clarisse – documentario fuori concorso, prodotto dalla stessa regista insieme a Claudia Mori – con pacatezza e semplicità, con quel "sensum fidei" che illumina l’intelligenza umana e le loro vite di clausura. Nato grazie a un biglietto di auguri. «Ogni Natale e ogni Pasqua – ricorda la regista – ne ricevevo uno da una clarissa che mi diceva di pregare per me. Una volta mi sono trovata da quelle parti, ho chiesto di poter visitare la loro comunità, tre novizie e dieci suore. Ho cominciato a fare delle domande e mi sono parse così moderne che mi è rimasta una bellissima impressione. Poi lo scorso anno mi chiedono di fare un intervento sulla donna e la Chiesa al Convegno della Cei "Cristo nostro contemporaneo". Ho accettato, proponendo di fare ciò che so fare, il cinema. La settimana prima di Natale ho raggiunto il convento con la mia troupe, abbiamo girato in un giorno».Cosa cercava di capire della vita di una suora di clausura?Cosa era rimasto di Santa Chiara in una comunità di clarisse oggi. Finite le riprese ho capito:  possono dire qualche cosa di Dio al mondo contemporaneo perché è Dio il motivo del loro stare lì. Sembra insistere molto sull’aspetto delicato del ruolo della donna nella ChiesaMi premeva sentire il parere di donne che vivono così intensamente in comunione con la Chiesa. Mi hanno dato risposte illuminate, ammettendo il problema: "Avvertire la parità con un sacerdote è raro. Ma noi non siamo soltanto qui per ricevere, ma per dare, perché nell’accoglienza c’è un dono. Si sta avviando un cambiamento". E su Gesù e le donne: "Bisognerebbe essere capaci di accoglierle come Lui ha saputo accoglierle". Sulla preghiera aprono un orizzonteCi credono veramente. Ho chiesto se la ritengono un’arma. La superiora ha risposto: "Un’arma fragile, potente nell’impotenza. I frutti di questa mia preghiera di cinquant’anni in monastero dove sono? Però ci credo". Le risposte sulla Resurrezione le hanno aperto una riflessione sulla scienzaQuesto argomento mi premeva moltissimo. Hanno chiarito subito che non c’è distinzione tra il Risorto è il Crocefisso, l’uno non è separato dall’altro. Alla Chiesa viene rimproverato di essere triste, di mettere sempre innanzi l’immagine della Croce. Ma Lui è già risorto, loro sono certe che la vita non può finire qui. Ho pensato al Bosone di Higgs: queste nuove scoperte della scienza mi sembra che vadano più nella direzione della visione di queste suore che non delle idee degli atei di professione. Li trovo patetici per il solo fatto che accettano di entrare in questo dibattito. E poi non è vero che credere in Dio sia contro la scienza, anzi proprio credendo si amplia la conoscenza, perché il mistero della Resurrezione e della vita eterna è così grande che ingloba tutto. Trovo perfettamente coerente che le suore dicano: noi siamo già risorte con Lui.
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