domenica 19 giugno 2011
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Pegaso, il cavallo alato del mito ellenico, è animale candido e volante: partecipa del cielo e del sole, è un essere immacolato e divino. Eppure, la sua origine è legata alle oscure acque sorgive del sottosuolo (pègai, in greco) e al sangue di un mostro divino sacrificato. I candidi cavalli trionfali che trasportano fino in Campidoglio, aggiogati alla quadriga d’onore, il generale vittorioso romano, con ciò "mimando" simbolicamente la sua apoteosi, il suo accoglimento tra gli dèi immortali, sono perciò stesso messaggeri di morte (non diversamente dal "cavallo pallido" dell’Apocalisse), perché il passaggio da questo a un qualunque "Altro Mondo" è pur sempre la porta pericolosa dalla quale ciascun essere umano deve transitare. E in molti miti lo fa appunto a cavallo: come nelle storie dei Narti, gli eroi del popolo caucasico degli Osseti, il sistema mitologico ed epico-letterario che è stato con tanta profondità studiato da Georges Dumézil. Il cavallo animale psicagogo e psicopompo: guida le anime e le accompagna alla loro nuova dimora. Per questo, dall’India vedica alla Grecia omerica all’Irlanda celtica, ma anche nelle culture altaiche dell’Asia centrale, il sacrificio del cavallo e la presenza di resti equini nei sepolcri nobiliari sono realtà ben radicate. Chi ha visitato l’Ermitage di San Pietroburgo sa quale straordinario ruolo giochi l’immagine del cavallo nell’oreficeria rituale scitica: e gli Sciti, popolo nord iranico fiorito nel primo millennio a.C. tra steppa russa e Mar Nero, sono un Reitervolk, un "popolo di cavalieri". Esattamente come i loro affini di qualche secolo dopo, i Sarmati, che, mercenari a cavallo nell’esercito romano, noti per la loro caratteristica tuta protettiva di cuoio o di metallo lavorata «a scaglie di pesce» (erano i celebri catafratti), sono sotto molti aspetti, dal tecnico al rituale al letterario, i veri e propri diretti antenati del cavaliere medievale.Cavalleria, appunto. L’italiano è una bella lingua, ma non sempre è precisa: come lo sono invece il francese e il tedesco, che distinguono tra l’arte di cavalcare (cavalerie, Reiterei) e il ruolo sociale e militare del cavaliere garantito da riti, da privilegi e da funzioni sociali e appoggiato a una specifica cultura (chevalerie, Rittertum). Un "cavaliere", com’è noto, non è tale solo perché va a cavallo; e, per converso, il cavalcare non basta per esser cavaliere. A fare il "cavaliere" è l’adesione a un’etica e la partecipazione a una cultura. Ma l’animale da cui egli desume il suo titolo è pur sempre fondamentale e qualificante. Il cavallo non è difatti soltanto uno splendido quadrupede e, da più di tremila anni, un mezzo di trasporto efficace e uno strumento di viaggio, di guerra e di caccia: è un antico, misterioso compagno, che non a caso gioca un ruolo di assoluta importanza nella decifrazione dei sogni dall’antichità alla psicanalisi.Riveste un ruolo eccezionale nel celebre trattato sulla decifrazione dei sogni dovuto ad Artemidoro di Daldi; e tutti hanno presenti le inquietanti presenze equine in opere come le tavole della novella boccacciana di Nastagio degli Onesti dipinte dal Botticelli e conservate oggi al Prado di Madrid o come il quadro di Füssli dal titolo inquietante, L’incubo. Essere trionfale, divino ma anche funereo, protagonista di numerose leggende che ne fanno un veicolo di esplorazione dell’Altro Mondo, in molte culture esso è considerato non solo amico dell’uomo, ma anche suo misterioso affine.Dalla civiltà indiana vedica e greca a quella celtogermanica, dalle culture caucasiche a quelle turco tartare, a quelle dei pellerossa delle praterie nordamericane, il suo ruolo sacrale e al tempo stesso la sua umanizzazione sono sempre presenti: il cavallo parla, piange, muore con l’uomo e per l’uomo. Spesso, è un compagno davvero sacro e terribile: dai miti caucasici al romanzo Il Maestro e Margherita di Bulgakov, passando per La leggenda di Teodorico di Carducci, il cavallo è animale di morte e di vita eterna. Tutto ciò ha riscontri anche nella nostra cultura quotidiana, anzi in quella banale istruzione che un tempo s’impartiva fin dalle elementari. Vi dice nulla il verso «Sonò alto un nitrito»? Forse i ragazzi d’oggi non conoscono più questa frase: ma essa è in realtà il verso finale e più noto di una poesia che per quasi un secolo è stata mandata e memoria e commentata da tutti i frequentatori delle scuole elementari e medie del Bel Paese. Si tratta di La cavalla storna, nella quale Giovanni Pascoli evoca un fatto di cronaca romagnola della metà circa dell’Ottocento: una truce storia di vendetta, una triste vicenda affidata alla memoria familiare. Una notte, il padre del poeta allora bambino rientrava a casa con il suo "calesse" trainato dalla fida cavallina "storna", vale a dire dal manto chiazzato di nero e di bigio a piccole, minute macchie. Dal nulla, ecco la vampa di una fucilata che avrebbe segnato per sempre il destino e la vita del grande poeta e filologo. Nessuno assisté alla scena; se ci fu qualcuno, tacque per paura o per omertà. Ma la madre del Pascoli voleva sapere: aveva un sospetto, e del resto forse il nome dell’assassino era abbastanza facile da indovinarsi. La donna sapeva che non sarebbe mai stato possibile avere giustizia: ma cercava comunque la verità davanti a se stessa e a Dio. Scese quindi una notte, sola, nella stalla e parlò all’animale, che amava il suo padrone. Proferì nel silenzio notturno un nome: la cavalla rispose con un alto nitrito, un grido di spavento e di rabbia, d’innocenza e di sete di giustizia. «Dio t’insegni come», aveva sussurrato la donna alla cavalla, chiedendole un segno. Dalle leggende del Caucaso ai versi di Omero alle storie cavalleresche, sappiamo bene che i cavalli parlano. Parlò anche quella povera bestia, una notte, in un casolare romagnolo. Molti hanno considerato quella poesia un esile, sdolcinato componimento: una prova in più dell’indole fanciullesca e tutto sommato immatura di quello studioso austero, di quel poeta fecondo e sensibile, che si portava dietro però la fama di essere un uomo debole e uno spirito contorto. Eppure, quella è una grande pagina antropologica dietro alla quale stanno millenni di civiltà.
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