giovedì 12 agosto 2021
Parla l’erede della dinastia: «A Ferragosto festeggiamo il compleanno di mio padre, lui è sempre nel cuore della gente, come se fosse ancora qui. Ci ha insegnato a portare il sorriso nel mondo»
Mirko Casadei con la sua storica orchestra

Mirko Casadei con la sua storica orchestra

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«Sento la nostalgia d’un passato... », cantava con il suo sorriso contagioso Raoul Casadei la canzone di zio Secondo, Romagna mia. Ed era il 1° maggio 1968, quando il geniale giovane ingegner Giorgio Rosa proclamava l’indipendenza della sua Isola delle Rose, l’atollo artificiale esperantista che aveva creato su una piattaforma di 400 metri quadrati al largo della costa tra Rimini e Bellaria-Igea Marina. Quella fantastica utopia concreta – raccontata nel film L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, regia di Sydney Sibilia, con Elio Germano nei panni di Giorgio Rosa – si inabissò in mare (il governo la fece minare dai sommozzatori della Marina militare) il 26 febbraio 1969. Raccontiamo questa incredibile storia, appunto, perché ci piace pensare che mentre Rosa e i suoi amici “anarchici” realizzavano un’isola tutta loro sulla costa di Romagna in quegli stessi giorni dell’estate calda sessantottina la gente ballava sulle note suonate dall’Orchestra di Secondo e Raoul Casadei. E la sera di quel ferragosto del ’68, Raoul festeggiava i 31 anni e la prima stagione al fianco dello zio Secondo, l’inventore di quel genere musicale conosciuto in tutto il mondo, il liscio. Mister simpatia Raoul se ne è andato il 21 marzo scorso lasciando la sua tribù che canta e che balla sempre lì, nel quartier generale sito tra Cesenatico e Gatteo: «Le case dei Casadei unite dal giardino in condivisione per stare sempre insieme, questo per noi è l’ombelico del mondo» dice Mirko che del padre Raoul ha preso a piene mani l’eredità carismatica e musicale. E lì, nell’ombelico di Viale delle Nazioni, la strada che divide Cesenatico da Gatteo Mare – dove adesso ci sono le luminarie con il testo di Romagna Capitale – il 15 agosto si terrà la grande festa di compleanno di Raoul. Serata che fa da apripista al “Balamondo World Music Festival”, a Rimini dall’1 al 5 settembre.

Ospite del “Compleanno” sarà Enrico Ruggeri, uno dei tanti amici artisti trovati da Raoul nel suo lungo cammino di musicista perennemente in tournée.

Raoul infatti non si è mai fermato, lui è ancora qui con noi e sembra quasi che nulla sia cambiato. Tanti mi hanno scritto in privato e ho scoperto nuove cose su di lui che non sapevo. Storie di gente comune che lo aveva conosciuto e a cui aveva trasmesso ciò che ha insegnato a noi di famiglia: l’ottimismo, prendere la vita con allegria e credere sempre nel futuro. È grazie a questi insegnamenti se ora riesco a sopportare meglio la sua assenza...

Siamo alla seconda staffetta familiare: l’Orchestra era passata da Secondo a Raoul e adesso tocca a lei, Mirko. Ma chi è stato lo zio Secondo?

Era un po’ il padre di Raoul, si amavano alla follia. Secondo è stato un grande mu- sicista e papà da ragazzo aveva cominciato a scrivere le canzoni diventando il delfino dell’Orchestra. Io sono nato esattamente nove mesi dopo la morte di zio Secondo. Raoul tornò di corsa dalla Puglia, era il 19 novembre: quella notte riabbracciò mia madre e io venni al mondo il 19 agosto del ’72...

Ma come nasce il liscio?

Beh, innanzitutto quella parola lo zio Secondo non l’ha mai pronunciata. È stata un’invenzione di Raoul, cinquant’anni fa. Una sera del ’72 con l’Orchestra suonavano a Pavia e lì era arrivata tutta la Milano bene per ballare. Sul palco, a un certo momento nell’euforia generale papà si lasciò sfuggire al microfono: «Vai col lissio! ». Il giorno dopo quel termine, «liscio» finì sui titoli dei giornali, destinato a diventare prima che un genere musicale, preesistente, un modo di dire di uso comune.

Ma che cosa si intende per “genere liscio”?

Una musica d’appartenenza e da molto tempo non più solo esclusiva della Romagna. Il liscio è diventato come il samba per i brasiliani o il reggae per la Giamaica. A proposito, Raoul adorava il reggae perché, diceva, «è una musica solare ». Il liscio racconta i sentimenti veri che si esprimono nell’amicizia, nell’amore per la gente e nell’attaccamento alle proprie radici. E poi è il vero ballo italiano che fa stare bene insieme e divertire le persone, dalle Alpi fino alla Sicilia.

Delle migliaia di concerti tenuti in giro per il mondo qual è stata l’emozione più forte vissuta sul palco assieme a Raoul?

Siamo arrivati a suonare con Elio e Le storie tese dinanzi ai 30mila dello Stadio Olimpico di Torino per i Giochi invernali del 2006. Ci sentivamo delle rockstar. Persino in Cina, in festival popolari importanti, abbiamo ottenuto un successo incredibile, così come in Kazakistan e in Kirghizistan dove pur non capendo una parola delle nostre canzoni il pubblico in pista si scatenava. Personalmente poi ho un ricordo fantastico del Festival jazz che Paolo Fresu organizza ogni anno a Berchidda. Un’altra serata inaspettata fu a Parigi, chiamati dal console e dal Centro di cultura italiano. Davanti a noi trovammo un pubblico di diplomatici in giacca e cravatta e le loro signore in abito da sera e scarpe tacco 12. Dopo dieci minuti che attacchiamo con il liscio... via cravatte e via i tacchi, e il console che ballava dandosi alla pazza gioia.

Incontri, collaborazioni e contaminazioni, vedi con la taranta, sono cominciati da quando lei è entrato in scena nell’Orchestra.

Vero, la taranta è una storia degli ultimi quindici anni. L’Orchestra da allora ha incontrato e collaborato con Cristicchi, Irene Grandi, Bregovic Galliano, Marc Ribot, Roy Paci, Eugenio Bennato, Morgan... La contaminazione più forte accadde a Cuba: alla loro bossa mescolammo la nostra mazurka di periferia. C’era ancora Fidel Castro e l’incanto fu vedere i ballerini cubani e romagnoli che si alternavano sul palco.

Ma i Casadei hanno mai suonato per il Papa?

No, però papa Wojtyla andava matto per noi e sapeva a memoria Romagna mia che accennò con Gianni Morandi, al quale confessò che la cantava spesso sotto la doccia, ma la cambiava in «Polonia mia»... Del resto quella canzone, con Volare e O sole mio, può essere considerata, dopo quello di Mameli, il quarto inno nazionale.

Un inno dell’Orchestra ora è la sua Ad chi sit e fiol, tradotto dal romagnolo: di chi sei figlio?

Questa è un’espressione diffusa in quasi tutti i dialetti, ma per noi ha un significato importante: è un abbraccio collettivo e un invito a sensibilizzare la gente all’accoglienza. Il popolo romagnolo in questo è maestro, i primi migranti di colore per sopravvivere commerciavano qui sulle nostre spiagge. Da quella canzone, che è un monito contro il razzismo, è nato un progetto per le scuole che mi ha permesso di incontrare oltre 1300 bambini, i quali hanno compreso subito il messaggio di fratellanza universale che passa attraverso la musica e il ballo.

Mirko, lei parla da padre a tutti i bambini di Romagna.

Se è per questo parlo anche da nonno: mia figlia, otto anni fa ha avuto Noa e adesso con Adele sono diventato nonno bis. Vivono tutti qui con me, come si faceva una volta, come ha voluto che fosse Raoul.

Ci sono molti progetti in corso d’opera intorno a suo padre?

Stiamo pensando a un film che ne ripercorra la vita fantastica che ha fatto. Nel ruolo di Raoul vedrei bene proprio un attore bravissimo e sanguigno come Elio Germano. Alla fine dell’estate saremo pronti con un disco di editi e inediti in cui ci saranno tanti amici artisti dell’Orchestra che si sono resi disponibili per questo omaggio a Raoul.

Ma chi erano gli amici artisti che apprezzava di più?

I cantautori quasi tutti, anche se aveva una predilezione per Lucio Dalla, Francesco De Gregori e Renato Zero. Un bellissimo rapporto di amicizia l’ha avuto fino alla fine con Renato Carosone: in fondo, ciò che ha fatto lui con la canzone popolare napoletana è un po’ lo stesso che Raoul ha realizzato con il liscio.

Quando ogni tanto riascolta la sua voce o riguarda le foto del passato, dov’è che ritrova l’anima di Raoul Casadei?

Sul palco. Le emozioni mi arrivano tutte lì, come una scarica improvvisa. C’è un momento acustico nello spettacolo in cui oltre a cantare raccontiamo la storia dell’Orchestra, poi andiamo tutti davanti al pubblico, con le chitarre e la fisarmonica. Beh, in quel momento lì faccio fatica a non commuovermi. È un attimo, perché subito dopo è come se sentissi la mano calda di Raoul che mi tocca la spalla e sorridendomi mi fa: «Oh Mirko, il liscio è l’allegria che non finisce mai».

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