lunedì 16 aprile 2012
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Per oltre due secoli, con poche eccezioni storiche, la Costituzione americana ha avuto un ruolo chiaro e relativamente contenuto nella società Usa. Era una sorta di guard rail della vita nel Paese: la tutelava tenendola in carreggiata. Indicando al Congresso e ai tribunali la rotta da seguire, ha cercato di mantenere la nazione coerente con i principi che hanno fatto dell’America lo standard mondiale della democrazia e della libertà. Negli ultimi vent’anni questo rapporto fra cittadini e Costituzione è andato alternandosi. Da un lato la Carta non è stata toccata da alcun emendamento (l’ultimo, il ventisettesimo, è stato ratificato nel 1992). Dall’altro la Costituzione Usa si è trasformata in strumento politico, da guard rail ad ariete per speronare e buttare fuori strada gli avversari. Questo nuovo ruolo per alcuni ne ha messo in evidenza la potenziale obsolescenza, mentre per altri ne ha esaltato la sacralità. E così di costituzione oggi negli Stati Uniti si parla più che mai, e non solo di fronte alla Corte suprema e in Congresso, ma anche nei comizi di quest’anno elettorale, nei talk show, nelle manifestazioni del Tea Party o di Occupy Wall Street, e nei convegni organizzati a dozzine dalle università. A caratterizzare la maggior parte dei dibattiti è un grado di litigiosità visto poche volte nella storia Usa, quasi al livello delle battaglie che divisero i padri fondatori degli Stati Uniti d’America quando ne stilarono i sette articoli originari nel lontano 1787.Secondo gli storici, l’estrema attenzione e uso della Carta fanno parte di un processo storico avviatosi negli anni Novanta e causato dalla progressiva polarizzazione politica del Paese fra destra e sinistra, intensificatasi a partire dal controverso risultato delle presidenziali del 2000, deciso dalla Corte suprema. La nascita del Tea Party nel 2009 ha contribuito a catapultare ulteriormente la costituzione al centro del dialogo politico. La fedeltà allo spirito del documento è la ragione d’essere del gruppo conservatore che si arroga il diritto esclusivo di interpretarne il significato autentico. «Il Tea Party è una manifestazione estrema della polarizzazione della politica americana – spiega Akhil Amar, costituzionalista a Yale –, oggi i democratici sono più progressisti e i repubblicani piu’ conservatori. Fra questi due estremi, la Costituzione viene chiamata a fare da arbitro».Si arriva dunque ad oggi, quando ogni occasione sembra buona per citare la Costituzione. Durante l’intervento internazionale in Libia decine di esperti si sono alternati sugli schermi televisivi per dibattere la liceità costituzionale dell’invio delle forze armate in un Paese non in guerra con gli Stati Uniti. Molti, allo stesso tempo, si sono chiesti quali fossero i limiti del potere esecutivo della Casa Bianca, dopo che sono stati ampliati considerevolmente da George W. Bush. Se si parla di Guantanamo, ci si chiede se la Carta consenta la detenzione preventiva dei sospetti terroristi in assenza di un’incriminazione ufficiale. Quando l’Arizona ha inaugurato misure coercitive contro gli immigrati, i sostenitori e gli oppositori della legge hanno impugnato il Bill of Rights della Costituzione come prova della sua legalità o illegalità. Un’applicazione estesa del diritto di parola sancito dal primo emendamento ha aperto la strada alla facoltà delle imprese di sponsorizzare senza limiti i candidati politici, dei bambini di comprare videogiochi violenti e, in alcuni Stati, delle coppie omosessuali di sposarsi. Un altro periodo del genere si è avuto negli anni Sessanta, durante il dibattito sui diritti dei neri e delle donne. Prima di allora bisogna andare indietro di altri cent’anni, alla guerra di secessione del 1860, per trovare un altro momento di “crisi” della costituzione Usa, derivato forse dal troppo uso. Questi momenti storici hanno coinciso con tentativi di riforma. E infatti negli ultimi mesi i repubblicani hanno cercato di introdurre un emendamento costituzionale che imponga al governo federale di chiudere ogni anno il suo bilancio in pareggio.
 
Intanto, fuori dai confini americani, la Costituzione Usa riceve sempre meno attenzione. La giurisprudenza internazionale fa meno riferimento ai precedenti da essa stabiliti di quanto non succedesse negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. E le giovani democrazie che si trovano a stilare una Carta costituzionale si ispirano con sempre minor frequenza al modello Usa, preferendo il canadese, il sudafricano o la Convenzione europea sui diritti umani. «Nel 1987 dei 170 Paesi allora esistenti – spiega David Law, costituzionalista della Washington University di St. Louis – oltre 160 avevano carte plasmate più o meno direttamente sulla falsariga americana. Da allora questo numero è in caduta libera».
La Costituzione Usa è dunque superata, sia per rispondere ai bisogni dei cittadini che è chiamata a salvaguardare, sia come modello internazionale? È difficile trovare fra gli studiosi una risposta che non sia vista attraverso il filtro dell’ideologia politica: un altro segno dei tempi. Il dibattito vede la divisione fra “costruttivisti” e “originalisti”. I primi (una definizione resa famosa da Richard Nixon) leggono nella Costituzione una serie di diritti impliciti, dal rispetto dell’immunità degli Stati sovrani all’opposizione a iniziative che facilitino l’ingresso delle minoranze nelle università e nella vita pubblica, fino a un’ampia protezione per i diritti delle imprese. Una lettura identificabile con un’ideologia conservatrice.
Gli originalisti si ispirano invece alle presunte intenzioni originarie dei padri fondatori, e storicamente tendono ad essere più liberal, attribuendo alla Costituzione la difesa della privacy di ogni cittadino (principio sul quale si basa negli Usa il diritto all’aborto) e il diritto degli indigenti a un sistema di protezione pubblica. All’interno di entrambi i campi c’è chi pensa che la società si è evoluta enormemente negli ultimi due secoli e che la Costituzione deve rifletterne i cambiamenti, affrontando esplicitamente, con nuovi emendamenti, il diritto al matrimonio per tutti o la sua affermazione come unione di un uomo e una donna, la tutela della vita o della cosiddetta libertà di scelta della donna, e i limiti dell’influenza economica sulla vita politica. «La Costituzione non è un documento immobile – spiega Jeffrey Goldfarb –. Per questo i “patrioti” del Tea Party si sbagliano quando insistono che il dibattito sul significato della Costituzione è già stato deciso due secoli fa, ed equivale a una presenza minima del governo nella vita dei cittadini. Al contrario, il documento semplicemente solleva molti temi importanti, senza esaurirli, come il rapporto fra governo e il sistema economico o fra autorità locali e federali. Quindi c’è sicuramente spazio per una riforma in senso chiarificatore e ammodernatore. Allo stesso tempo, non credo che la Costituzione sia superata».Finora la Carta è stata emendata 27 volte. Nel XX secolo, soprattutto negli anni Sessanta, successive riforme hanno istituzionalizzato prassi che oggi diamo per scontate, come il voto femminile, i diritti delle minoranze a non essere segregate o discriminate, l’abbassamento della maggiore età a 18 anni. Ogni volta il processo ha portato una maggiore fiducia dei cittadini nella validità della Costituzione e del processo politico, e ha ridotto le tensioni fra i partiti, aumentando la cooperazione bipartisan. Stando ai segnali degli ultimi anni, è ora che il Congresso rimetta mano alla Costituzione.
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