sabato 30 maggio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
In pochi conoscono le sfumature politiche del pallone internazionale meglio di lui. È stato tre volte alla guida della Federcalcio e per nove anni ha diretto il Coni: Franco Carraro, detto “il poltronissimo” per la capacità straordinaria di farsi spesso preferire agli altri nella gestione del potere, sa come funziona un complesso organismo come la Fifa. Ne conosce i meccanismi, ne intuisce le mosse. Nel 2002, Joseph Blatter, il numero uno del calcio mondiale, fu rieletto anche grazie al suo appoggio. Cosa pensa del terremoto alla Fifa?«Non sono abituato a fare commenti senza prima aver letto le carte. Non posso entrare nel merito di una vicenda che deve ancora essere chiarita. Tuttavia, constato che le idee chiare rispetto a quanto si debba fare, non le hanno nemmeno a Zurigo». Blatter ha promesso: «Risolveremo i problemi». Crede sia possibile?«Bisogna sperarlo. Per il momento, una cosa sola è certa: il calcio appassiona molte persone, verso le quali è doveroso fare chiarezza. Già da tempo ci confrontiamo con un problema grandissimo che riguarda tutti gli sport, le scommesse clandestine. Leggo che il giro d’affari delle scommesse illecite sarebbe superiore a quello del commercio della droga. Fosse vero, sarebbe un pericolo devastante, perché lo sport si basa sul rispetto del pubblico. Chi assiste all’evento deve avere la certezza del risultato del campo. Tutto deve essere chiaro, limpido, pulito. Rispetto alle notizie delle ultime ore, è indispensabile che la Fifa chiarisca come sono andate le cose. Se qualcuno ha sbagliato, è giusto che paghi». Nel 2006, all’alba di Calciopoli, lei si dimise dalla presidenza della Federcalcio. A suo parere, Blatter avrebbe dovuto fare altrettanto?«Rispondo alla mia coscienza e a me stesso, non giudico mai le decisioni degli altri. Nel 2006 la mia scelta non fu dettata da una necessità, perché non avevo ancora ricevuto alcun avviso di garanzia. E come ricorderanno i più attenti, sono uscito da quella vicenda completamente immacolato. Arrivai a fare quel passo perché ero convinto che se avessi liberato il campo dalla mia presenza, avrei consentito alla Federazione di portare avanti il suo lavoro. Ho risposto alla mia coscienza, sapevo che non avevo fatto nulla di cui rimproverarmi. Ma quando viene messo in discussione l’organismo che presiedi, meglio farsi da parte». Secondo alcuni, Blatter era destinato a rimanere in carica per l’ennesimo mandato perché è riuscito a creare una fitta rete di contatti con federazioni che prima del suo arrivo erano considerate pochissimo. Condivide? «I campionati del mondo di calcio generano una quantità di denaro molto consistente. E alle squadre protagoniste della fase finale va una percentuale molto contenuta, intorno al 15%. Il contributo della Fifa nei confronti delle federazioni forti come quella italiana rappresenta una piccolissima parte del loro bilancio, noccioline come si dice. Ma per la stragrande maggioranza delle piccole federazioni che svolgono un’attività ridotta invece, il discorso è evidentemente diverso». E quanto a favori, amicizie, clientelismi facili?«Il regolamento della Fifa prevede che ogni congressista possa portare con sé tre delegati, che vengono ospitati in alberghi bellissimi e viaggiano in business class. Tutto a spese del calcio mondiale, evidentemente. Se chi è al potere è capace di tenere buoni rapporti con tutti, i voti arrivano. Ancora adesso Blatter va in ufficio tutti i giorni alle 7.30 di mattina. Se sei bravo a gestire e a non scontentare, è difficile che ti diano una spallata». Anche lei è stato tra i suoi grandi elettori nel 2002. Cosa la spinse a votare per Blatter?«Era contestato da moltissimi, io invece stavo dalla sua parte. Il mio ragionamento è stato molto semplice. Blatter veniva attaccato soprattutto dal suo segretario generale, Michel Zen-Ruffinen, che aveva lavorato con lui per 13 anni. Ma una persona che ci mette 13 anni a scoprire che il suo capo è scorretto, o è in malafede o è stupido. E in entrambi i casi, non mi stava bene». Dunque, disse sì a Blatter perché altro non si poteva fare?«Ero convinto che fosse molto più affidabile del suo principale avversario, il presidente della Confederazione africana del calcio, Issa Hayatou, mio collega al Cio. Dal mio punto di vista, Blatter era sicuramente meglio di lui, la scelta giusta». Qual è la sua ricetta per cambiare in meglio il calcio internazionale? «Due idee su tutte. La prima: mettere in piedi una commissione di indagine autorevole per capire esattamente come sono andate le cose alla Fifa negli ultimi anni. Alla sua guida ci vorrebbe una persona come lo erano Falcone e Borsellino, di provata integrità etica e morale, e nel mondo ce ne sono di persone così. In sei mesi si dovrebbe arrivare a una relazione completa ed esaustiva. È possibile, basta lavorare nel modo opportuno». E la seconda proposta?«Occorre rendere la procedura per l’assegnazione dei campionati del mondo più trasparente. Chiunque, in qualsiasi momento, premendo un pulsante, deve poter sapere come stanno andando le cose. Se hai gli occhi addosso, è evidente che sia più difficile commettere scorrettezze».Pensa che i Mondiali del 2018 in Russia possano essere messi in discussione?«La Russia è un grandissimo Paese. Sicuramente in grado di organizzare i campionati del mondo. Dico di più. Credo che sia interesse del calcio mondiale disputare i mondiali in Russia. Le presunte tangenti legate all’assegnazione della manifestazione? Nel 1999 emerse che Salt Lake City, che avrebbe dovuto organizzare i Giochi olimpici invernali nel 2002, aveva corrotto alcuni membri del Cio. I sospetti vennero dimostrati, la corruzione c’era stata. Vennero punite tutte le persone coinvolte, ma non venne cambiata la sede delle Olimpiadi perché avrebbe creato un problema ancora più grande. Andrà così anche stavolta».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: