martedì 5 aprile 2016
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Dino Campana è tra i grandi poeti del Novecento quello dall’animo più travagliato: internato a 32 anni in un ospedale psichiatrico, gli fu diagnosticata un’ebefrenia, una forma grave di schizofrenia. Viene spontaneo chiedersi se Edoardo Boncinelli nel porre in esergo del suo ultimo libro Contro il sacro. Perché le fedi ci rendono stupidi (Rizzoli) la poesia L’invetriata di Campana abbia voluto comunicare al lettore qualche messaggio subliminale che ha a che fare con la malattia psichica, che tra i suoi sintomi presenta quello della difficoltà a confrontarsi con la realtà e ad abbandonare fantasie e vaneggiamenti tipici dell’età infantile. La nostra domanda è probabilmente peregrina, visto che altre poesie di altri poeti compaiono nel saggio; ma certamente Boncinelli ha l’obiettivo di evidenziare come il senso del sacro tipico delle religioni appartenga «alla regione più profonda della nostra irrazionalità», sia cioè il prodotto di «illusioni infantili» che ci lasciano «particolarmente illusi su come è fatto il mondo, nella sua struttura e nei suoi valori». Dell’origine nella società umana del concetto del sacro Boncinelli fornisce una spiegazione socio-biologica, ossia in gran parte collegata ai meccanismi dell’evoluzione della nostra specie, sottolineando l’esigenza fisica degli esseri umani di cercare e trovare delle certezze a cui aggrapparsi. In questo per altro non si discosta da molte altre interpretazioni naturalistiche della religione, secondo le quali le credenze religiose e quelle nel sovrannaturale esprimerebbero un’inclinazione fisiologica della nostra mente, quindi in ultima analisi una architettura cognitiva della nostra specie, un tratto adattativo vantaggioso e positivo fino a un certo grado di progresso. Come sottolinea infatti Boncinelli, le positività del sacro sussistono sia sotto l’aspetto biologico sia sotto quello sociale; e tuttavia sussistono anche delle negatività, che «sono poche, ma d’importanza capitale». Quest’ultime «ruotano intorno alla constatazione che il ricorso a concetti e valori sacri, cioè intoccabili, condiziona e restringe di molto l’uso della razionalità». In breve, il forte radicamento a priori nelle certezze fornite dal sacro finirebbe col debordare nell’irrazionale, con le conseguenze deleterie dei tanti fondamentalismi della nostra epoca e di quelle passate. E sarebbe inoltre proprio questa immagine fantasiosa e aprioristica del mondo, presente nel sacro e quindi anche nelle religioni, a spingere così tanta gente a non apprezzare la scienza. Va riconosciuta a Boncinelli la chiarezza nell’esposizione delle possibili basi evoluzionistiche, neurocognitive e culturali del sacro e più estesamente della credenza religiosa. Convincono per contro assai meno le tendenze riduzionistiche qui e là presenti nel libro; tendenze che inducono a ricondurre tutte le convinzioni religiose a un sostrato precipuamente irrazionale. Il fatto che gli esseri umani siano predisposti a credere in qualche entità sovrasensibile o metaempirica non può infatti di per sé portare a concludere che non esista uno spazio razionale per il soprannaturale, né giustifica la generalizzazione per cui tutte le forme tradizionali di sacralità sono delle pie illusioni, se non mistificazioni. Tanto più se come l’autore si ritiene che «ciascuno di noi crede in qualcosa e lo assume praticamente come sacro» e che ciò sia legittimo se è «stato scelto come sacro da noi a posteriori». In realtà, che ognuno si costruisca il sacro a modo suo non rende il fenomeno meno aprioristico della sacralità tradizionale, anzi rischia di generare un pericolo maggiore, perché può aprire la strada al soggettivismo assoluto, questo sì davvero antitetico alla scienza moderna. A parte il consueto irrealistico vittimismo dello scienziato contemporaneo che considera la scienza vituperata dal popolo, quando casomai tende a prevalere nell’opinione pubblica l’idea che gli scienziati siano portatori di un sapere infallibile, del libro di Boncinelli lascia perplessi il titolo ( Contro il sacro) e sconcerta il sottotitolo: Perché le fedi ci rendono stupidi. Quest’ultimo, oltre a non avere niente a che spartire con uno studio serio e scientifico, risulta evidentemente offensivo nei confronti dei credenti, tanto più che poi nel saggio il termine “stupido” non viene praticamente utilizzato. Il rispetto per le convinzioni altrui dovrebbe invece rappresentare sempre il minimo comun denominatore per tutti, specie per gli uomini di scienza e di cultura. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nel suo ultimo libro lo scienziato accusa le religioni di lasciare l’uomo illuso su come è fatto il mondo, tanto in struttura quanto nei valori: una irrazionalità che finirebbe per portare la gente al sospetto verso la scienza moderna
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