domenica 11 luglio 2010
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Sarà forse esagerato definire la Valcamonica, con le sue trecentomila incisioni rupestri, "la Cappella Sistina della preistoria" (primo dei "monumenti" italiani inseriti dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità, ben prima del Colosseo o del Cenacolo). Un paragone azzardato, certo... Eppure le ultime eccezionali scoperte in qualche modo lo legittimano: «È la prima volta in assoluto che ci troviamo di fronte a qualcosa del genere», anticipa l’archeologo Umberto Sansoni, direttore del dipartimento Valcamonica e vicedirettore del Centro camuno Studi preistorici, mentre ancora ci fa strada tra la fitta vegetazione verso la "scoperta". La zona, "Scale di Paspardo", era già nota per le incisioni tracciate dagli antichi Camuni sulle superfici rocciose, «ma nessuno si sarebbe aspettato niente di simile...». Suspance e attesa alla fine meritano: all’improvviso la vegetazione si fa più fitta, il sole quasi non riesce più a penetrare, il silenzio aumenta, rotto solo dal rumore del torrente. Il sentiero sembra infrangersi contro un alto blocco di pietra arenaria, che invece si spacca in un impressionante canyon e ci lascia passare, fino a raggiungere un piccolo slargo dove la preistoria ha ancora il suo profumo e i suoi odori. Su una alta roccia del tutto verticale, levigata dai ghiacci nella notte dei tempi, eccola lì la scoperta: in "vernice" rossa la figura dipinta di un grande guerriero a cavallo, con tanto di elmo crestato e scure stretta nel pugno. Elegante la sagoma del destriero, evidenti persino i decori della veste e la criniera del cavallo. Una figura stilizzata, certo, lontanissima dai nostri canoni estetici, ma pur sempre possente e assolutamente rivoluzionaria: «Fino ad oggi in tutta la Valcamonica non esisteva alcuna prova che gli antichi Camuni, oltre a incidere le loro scene sulle rocce, usassero anche la tecnica del dipinto – spiega Sansoni –. Ne avevamo sentore, lo supponevamo, ma non c’erano riscontri. Ora cambia tutto...». La scoperta inedita di pitture camune si va ad aggiungere al fatto che anche le incisioni erano quasi sempre colorate, «e questo invece si sapeva già da tempo, dato che scavando alla base delle rocce istoriate gli archeologi hanno sempre trovato blocchetti di ocra e di altri materiali coloranti». Cambia tutto, dunque. In primo luogo cambia lo scenario così come dobbiamo immaginarcelo, tornando indietro con la fantasia: millenni fa, sui due versanti rocciosi della valle attraversata nel mezzo dal fiume Oglio, le centinaia di migliaia di figure graffite non apparivano grigie come le vediamo oggi, ma colorate con diverse tonalità, e questo non può che sorprenderci (un po’ come quando, grazie alle tracce di colore rimaste qua e là, veniamo a sapere che i frontoni dei templi greci o le statue classiche – che noi siamo abituati a vedere nel loro ieratico pallore – in realtà brillavano policromi). E in alcune zone particolari, rese sacre dalla presenza dell’acqua o dalla forma suggestiva di una roccia, i Camuni dipingevano figure emblematiche, come questo armato, la cui ascia ne fa probabilmente una divinità del cielo e delle cime (una ruota dipinta poco distante, simbolo della ciclicità delle stagioni, ne confermerebbe la natura divina). «È bello immaginare ciò che sarà successo proprio qui, in questo preciso punto in cui oggi noi mettiamo i piedi», commenta Sansoni, che alle spalle ha quarant’anni di ricerche in Valcamonica e migliaia di importanti ritrovamenti, al fianco di Emmanuel Anati: «Certamente chi dipinse questo guerriero dovette costruire un’impalcatura in legno, altrimenti sarebbe stato impossibile arrivarci. Lo stesso fecero in tempi successivi gli altri artisti». Intorno al grande cavaliere rosso, infatti, Sansoni e i volontari che hanno partecipato con lui alle ricerche hanno individuato altre figure meno evidenti di due cavalieri e soprattutto quello che è destinato a passare alla storia come uno tra i rarissimi ritratti dell’epoca preistorica, certamente l’unico con i tratti somatici così particolareggiati. A grandezza naturale, fu disegnato in bianco con del caolino, un minerale presente in loco. «Crediamo che per queste pitture siano state utilizzate ocre mescolate e resine, sangue, albume d’uovo e collanti naturali – suppone Sansoni – ma ora attendiamo che la soprintendenza prelevi dei campioni e analizzi i colori, sperando che i tempi siano brevi». Anche perché è vero che le immagini di Paspardo sono arrivate fino a noi da un passato lontano – appartengono all’Età del ferro, IV-II secolo prima di Cristo – ma la loro conservazione non è così scontata. Se eccezionalmente si sono conservate, infatti, si deve a una serie di condizioni molto rare: la verticalità della parete rocciosa (in Valcamonica le rocce sono quasi tutte quasi orizzontali o leggermente scoscese) le ha protette dall’usura, e una patina di calcare colata da sopra l’ha preservata da millenni di agenti atmosferici. La vegetazione infine ha fatto il resto, «finché mesi fa un nostro collaboratore, lo svedese Hansen, cercando incisioni, ha intravisto per primo quella chiazza rosso sangue. Poi con i volontari del dipartimento Valcamonica abbiamo allargato le ricerche che adesso proseguono con la campagna estiva di esplorazione... Ormai siamo preparati, quando vediamo rosso stiamo attenti!». Un lavoro prezioso, reso possibile anche grazie al sostegno triennale della fondazione Cariplo, senza il quale il volto dell’antico camuno sarebbe certamente svanito nel nulla, com’è successo a migliaia e migliaia di altre figure, senza che noi potessimo almeno una volta guardarlo negli occhi.
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