lunedì 28 maggio 2012
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Il cielo si fa nero, il vento strapazza i tronchi esili degli alberi e le prime gocce chiazzano di scuro la roccia opaca. Pochi minuti ed è già lucida di pioggia: le incisioni preistoriche ora guizzano vive, e lungo una piega naturale della pietra un rivoletto d’acqua corre a riempire una conca triangolare. Un po’ di pioggia e sotto i nostri occhi la magia si rinnova, esattamente come migliaia di anni fa... «Siamo senza dubbio su una roccia santuario – spiega Umberto Sansoni, neodirettore del Centro Camuno di Studi Preistorici, l’archeologo al quale, insieme a Emmanuel Anati, si deve la scoperta di gran parte del patrimonio rupestre in Valcamonica –. Oggi stiamo assistendo a un rito che nei millenni si è ripetuto chissà quante volte: uno scherzo della natura fa sì che a ogni precipitazione su questa roccia si formi un triangolo perfetto di acqua pura, attorno al quale nel neolitico l’uomo si è fermato in preghiera». Non è una fantasia e nemmeno un azzardo: è "scritto" sulla roccia stessa, proprio lungo il bordo della conca d’acqua, dove ben diciassette figure di oranti sono incise una in fila all’altra, le braccia alzate ad adorare quel triangolo prodigioso, nel quale si rispecchia il cielo. «Si tratta di una scena unica in Valcamonica – continua Sansoni – e questa su cui ci troviamo è senz’altro una roccia altare risalente al neolitico, ovvero a seimila anni fa. Trattandosi di incisioni tanto antiche è difficile lanciarsi in interpretazioni, ma la ritualità è certa, così come la valenza di purificazione dell’elemento acqua. La fila di oranti raffigurati esattamente sul bordo, tra i quali molte figure femminili, non lascia spazio a dubbi». Fossimo in un’epoca successiva, potremmo sbilanciarci di più: «Dai numerosi riscontri archeologici sappiamo che nell’età dei metalli il cielo assume la valenza maschile del cosmo e la terra quella femminile, così l’acqua piovana è intesa come il seme del dio celeste che feconda il suolo dando origine alla vita... Anche per il neolitico possiamo immaginare qualcosa di simile». Sono stati gli studenti e gli archeologi del Centro camuno di Studi preistorici a ritrovare l’estate scorsa la roccia altare in località Ronchi di Zir, e subito si sono accorti di aver scoperto un sito "eletto", dove ancora si respira la sacralità del luogo. «Intanto si tratta di un roccione dominante e a strapiombo sulla valle, caratteristica questa delle superfici con le incisioni più antiche – rileva la professoressa Silvana Gavaldo, ricercatrice del Centro –. Inoltre è evidente il rispetto che nei secoli successivi i Camuni hanno riservato a questa scena di culto: la roccia ha continuato a essere incisa per millenni, fino all’età del Ferro (I millennio a.C.), il che dimostra l’interesse duraturo per il luogo, e nessuna delle nuove immagini si è mai sovrapposta agli oranti, lasciati isolati e intatti. Inoltre gli incisori successivi hanno aggiunto solo figure altamente simboliche, come impronte di piedi e soprattutto volatili, che per molte civiltà del passato rappresentavano le guide dell’anima dopo la morte». Il rispetto dei culti antichi attraverso i millenni, d’altra parte, è un fatto noto. Nella stessa Valcamonica la Sovrintendenza ha scoperto numerose statue-stele dell’età del Rame sepolte attorno ai due celeberrimi "Massi di Cemmo", incisi anch’essi nell’età del Rame. Che cos’era successo? «Che il santuario fu frequentato fino all’inizio dell’epoca romana, poi, quando il culto tramontò, venne letteralmente smontato – spiega Silvana Gavaldo –, non distrutto o abbandonato, e le stele furono rispettosamente sepolte. È una pratica normale, lo facevano ad esempio i romani con gli ex voto in eccedenza o con gli oggetti sacri». Ogni estate in Valcamonica si esplora e si scava, arricchendo di anno in anno il patrimonio già immenso di 300 mila figure, martellate sulla roccia come in un gigantesco libro di storia illustrata lungo un arco di tempo lunghissimo, dal Mesolitico (diecimila anni fa) fino al Medioevo e oltre. «Non c’è volta che non emerga qualcosa di assolutamente inedito e utile per ampliare le nostre conoscenze sui Camuni, popolo per molti versi ancora misterioso. Nell’ultima campagna abbiamo esplorato le zone di Ronchi di Zir e di Cimbergo – racconta Sansoni – dove sono emerse ad esempio moltissime figure di "capanna" a palafitta dei primi secoli avanti Cristo. In realtà si tratta di granai, ce ne sono almeno duemila in valle e non ne esistono due uguali tra loro». Una varietà di forme e una ripetitività tematica che pone un problema di interpretazione, e ancora è l’archeologia a correre in soccorso: «Il riferimento funerario è certo, il granaio riporta alla ritualità agraria (conserva il seme che deve ritornare la primavera successiva a dare nuova vita), e molte testimonianze etnologiche confermano il tutto, penso ad esempio alle urne funerarie a forma di granaio diffuse nel Nord Europa nell’età del Bronzo o alle urne a capanna nell’Italia dell’età del Ferro». Tra le centinaia di incisioni ritrovate nell’ultima esplorazione c’è un florilegio vero e proprio di "capanne" particolarmente originali, incise vicino a figure di uccelli "guide dell’anima" e a molti altri simboli religiosi (cervi, cavalli, asce, guerrieri, sacerdoti riconoscibili dalle grandi mani): sono l’ennesimo capitolo di storia che la terra camuna ha restituito agli studiosi. La pagina più affascinante per noi uomini del Duemila, però, resta quella preghiera incisa nell’"età dell’oro", il neolitico, quando l’uomo e la donna abbandonarono la raccolta spontanea, la caccia e il nomadismo perché scoprirono di poter coltivare la terra, allevare gli animali, abitare un villaggio. Fu una sorta di "Rinascimento" ante litteram. L’unica epoca in cui, tra migliaia di incisioni, mai una volta fu rappresentata un’arma, tantomeno una scena di guerra, triste leit motiv invece dall’età dei metalli in poi. Fino ai giorni nostri.
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