venerdì 31 agosto 2012
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Fumano, si spaccano, sussultano i Campi Flegrei, campi ardenti della più sconvolgente natura, teatro di miti e di storia, cornice a templi per olimpi di eroi e di dei pagani e per apostoli e martiri, a grotte per profetesse e per uomini di Dio. Amalgama di inferno e di paradiso, luogo della memoria e dell’anima perché metamorfosi di un luogo fisico di lave e di acque che raccontano, distruggono, creano. Campi dall’ignoto ardore (dal greco antico phlegraios) che solo il fantastico osò spiegare. Fenici, micenei, greci videro azzurri lembi di cielo divorati da alte lingue di fuoco e laghi incastonati in anfiteatri di tufo ed esplosioni sotterranee erano come onde di marea aliena. Nel lago Averno l’immaginario antico pose l’ingresso agli Inferi verso cui correvano il Piriflegetonte e il Cocito e in questa terra indicò la tomba dei Titani sconfitti dai fulmini di Zeus. Sono i loro rantoli e i loro spasmi a scuotere i Campi Flegrei. Le conche, gli squarci, le sporgenze testimoniano l’aspra battaglia. E nelle viscere il vendicativo dio ha precipitato la stirpe titanica con Tifeo, il mostro dagli occhi di bragia sulle cento teste che vomitano fuoco, prigionieri nell’eternità della non-morte. Fascino, bellezza e terrore si fondono in varia misura nei Campi Flegrei, in un lembo ristretto di Campania che Mme de Staël così descrisse in un’epistola: «… la regione dell’universo ove i vulcani, la storia, la poesia hanno lasciato più tracce». Da Posillipo, dove il dolore trova quiete e dove Virgilio ha il suo sepolcro, a Cuma, la più antica città della Magna Grecia, sacra ad Apollo, si snoda un itinerario felice ed inquietante. Fuorigrotta, Pozzuoli, i laghi Lucrino e Averno, Punta Epitaffio, Baia, Bacoli, Miseno sono le possibili tappe intermedie e, al di là del mare, Ischia, Procida e Vivara. Un percorso che fu scenario di commerci e di milizie, di otia e di delitti, costellato di villae maritimae e di porti commerciali e militari, di acropoli (Cuma) ancora abitate (il Rione Terra a Pozzuoli). Si aprivano anfiteatri (a Pozzuoli il terzo per dimensioni in Italia), cisterne che appaiono come cattedrali (la Piscina mirabilis a Miseno e le Cento camerelle a Bacoli) e terme come città (la Villa di Baia), grandiose strade sotterranee (la Grotta di Cocceio a Lucrino) ed estesi cimiteri (la Necropoli di via Celle a Pozzuoli). A Baia i sicari inviati da Nerone uccisero Agrippina che servi pietosi composero in un modesto sepulcrum mentre il matricida si purificò dell’orrendo assassinio nelle acque calde e sulfuree di eleganti terme (le cosiddette Stufe di Nerone a Baia). A Miseno Agrippa trasferì la flotta romana del Tirreno dal Portus Iulius, sul lago Lucrino. Allora, IV secolo a.C., questo aveva altre dimensioni che quelle odierne e il mare scambiava le sue con le acque del lago. Una favola riportata da Plinio il Vecchio racconta di un delfino penetrato nel lago e protagonista di una struggente storia di amicizia con un bambino. La stupefacente natura dei Campi Flegrei è stata sconvolta e plasmata da millenni di sconquassi geologici, di eruzioni spaventose e di bradisismo inesorabile (riconoscibile nel cosiddetto tempio di Serapide a Pozzuoli, in realtà il Macellum). Sono emerse e scomparse spiagge, si sono formati nuovi monti (il Monte Nuovo, oggi oasi naturalistica, nacque nella notte del 29 settembre 1538) sono franate colline, inabissate insenature e città (a Baia il Parco archeologico sommerso e il Castello con il Museo archeologico). La Solfatara, che Strabone definì «agorà di Efesto», ribolle tuttora sovrastando città, persone, ruderi. La natura si è continuamente e terribilmente rinnovata a volte assecondando la volontà dell’uomo, più spesso travolgendolo insieme alle sue opere. Il travaglio e la vitalità di questo luogo sono scritti su trachiti, rocce calcaree, zolle di pozzolana e tufi. E sugli archi, tra le colonne, nei preziosi mosaici, nei tunnel scavati da mani umane, nelle sperimentazioni, in scala ridotta, di nuove soluzioni architettoniche, applicate poi a Roma ad esempio nella costruzione del Pantheon (cosiddetto Tempio di Mercurio a Baia). Dolore e forza di vulcani e di civiltà sono trasmigrati nei racconti degli aedi, nelle trame di Omero, di Virgilio, dei viaggiatori del Grand Tour. Il tempo e la natura hanno conservato e ancora restituiscono. Rivivono sotto gli occhi dei contemporanei, a volte, sebbene non tutti, disattenti e immemori del passato su cui lasciano distrattamente calare la gialla polvere di zolfo e di oblio.
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