giovedì 28 giugno 2018
Nel 1915 Picasso esponeva in una lettera ad Apollinaire una curiosa idea di «mimetizzazione militare». L’esercito francese fu il primo a dotarsi di una sezione dedicata all’occultamento dei mezzi
Il camouflage, l'arte della guerra secondo i cubisti
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Nel 1915, Picasso scriveva una lettera al fronte a Guillaume Apollinaire, il quale si era arruolato volontario all’entrata in guerra della Francia contro i nemici di sempre, i Tedeschi. Una lunga e sporca guerra di trincea, che sarebbe ben presto diventata “mondiale”. Nella missiva spedita da Parigi, il fondatore del Cubismo illustrava al poeta combattente una teoria all’apparenza tanto stramba quanto azzeccata: sosteneva infatti che, invece del classico grigio metallico, sarebbe stato opportuno dipingere i cannoni di colori vivaci, tipo arlecchino, per meglio camuffarli nell’ambiente circostante, giocando poi con le forme come nel costume a losanghe della maschera bergamasca. Aveva dunque ragione lo scrittore e critico Jean Paulhan, direttore per diversi anni e fino alla morte, avvenuta nel 1968, della “Nouvelle Revue Française”, quando affermava che: «La mimetizzazione usata dai militari è stata inventata dai pittori cubisti». Del resto lo stesso Apollinaire, gravemente ferito a una tempia nel 1916 da una scheggia di mortaio, le cui nefaste conseguenze l’avrebbero condotto due anni dopo alla tomba, riteneva la guerra « un grand spectacle ». Ed ecco spiegato perché, grazie soprattutto alle avanguardie che movimentavano in quel periodo la vita artistica nella capitale, l’esercito francese fu il primo a istituire uno speciale reparto con il compito di occultare, per renderli invisibili agli occhi del nemico, mezzi e armi pesanti. Da queste premesse nacque la Section de camouflage , di stanza ad Amiens e al comando di un pittore d’ispirazione simbo-lista, vecchia conoscenza di Apollinaire: il capitano Lucien-Victor Guirand de Scévola.

L’idea di celare cannoni e artiglieri sotto un telone dipinto con i colori del terreno, venne in realtà a una recluta che da civile si guadagnava il pane lavorando come decoratore: gli aeroplani, fatti apposta alzare in volo per controllarne gli effetti, non scorsero nulla là sotto, se non uno spiazzo in apparenza vuoto. Fu però Scévola a intuire, dopo avere assistito di persona alla distruzione di un cannone individuato dai perlustratori nemici, le potenzialità della mimetizzazione, confondendo uomini e armi con l’ambiente. Ne parlò ai responsabili dello stato maggiore che, all’inizio abbastanza scettici, nel febbraio 1915 misero a disposizione del pittore una squadra di trenta volontari; l’insegna adottata dal reparto era un camaleonte dorato su fondo rosso. Tra le invenzioni di Scévola, le postazioni di osservazione camuffate da alberi, che Chaplin riprenderà nell’esilarante comica Charlot soldato ( Shoulder Arms, 1918); o i teli a rete per nascondere i nidi delle mitragliatrici: predisposti nel 1917, al termine delle ostilità se ne contavano sette milioni circa di metri quadrati. I pittori cubisti furono i primi a essere chiamati nelle file dei camoufleurs, considerata la loro dimestichezza a giocare con forme, volumi e piani sovrapposti. Ed è ancora Paulhan a sottolineare che: «Quei dipinti accusati di non assomigliare a niente, nel momento del pericolo furono i soli a essere capaci di assomigliare a tutto».

Entrarono nella Section – che giunse a contare fino a tredicimila addetti – Jacques Villon, fratello di Marcel Duchamp, André Dunoyer de Segonzac, il fauve Charles Camoin, André Mare e tanti altri. Braque fece parte per poco tempo della squadra, mentre le ripetute richieste di Derain e Léger, il “tubista”, vennero respinte dall’alto comando malgrado le insistenze di Scévola. Il capitano, oltre ai pittori, chiamò presso di sé scultori e artisti di teatro, esperti quest’ultimi nella creazione di false ambientazioni, trompe-l’oeil e trucchi di scena. L’esperienza francese fu trainante per gli eserciti degli altri Paesi belligeranti, che diedero vita ai loro reparti di camouflage. Solomon J. Solomon, pittore della Royal Academy, istituì a Hyde Park, nel cuore di Londra, una «scuola di camuffamento» famosa per i finti alberi di metallo, realizzati per proteggere le vedette di sua maestà sul fronte francese. E fu un altro artista britannico, il riservista della marina reale Norman Wilkinson, a inventare il cosiddetto camuffamento “Dazzle” il quale, grazie a un elaborato sistema di righe orizzontali, riusciva a nascondere alla vista – e ai periscopi dei sottomarini – le navi lungo la linea dell’orizzonte, tra le onde dell’oceano. Gli Stati Uniti inaugurarono la “New York Camouflage Society” nella primavera del ’17, stesso anno in cui venne avviato in Italia il «laboratorio di mascheramento ». E tutto questo, grazie al Cubismo e alle sue sperimentazioni sulla tela. Gertrude Stein narra, nell’Autobiografia di Alice Toklas , che una sera d’inverno si trovava, durante la Prima guerra mondiale, sul boulevard Raspail a Montparnasse insieme ad Alice, Picasso ed Eva, la compagna del pittore. La passeggiata venne interrotta da una parata militare e, all’improvviso, un gigantesco cannone dipinto con la tecnica del camuffamento attraversò la strada. Picasso alzò le braccia esclamando: «Siamo stati noi cubisti a fare questo!».

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