
La bandiera della UE durante una manifestazione pubblica
Pubblichiamo alcune passaggi dalla nuova prefazione che i filosofi Edgar Morin e Mauro Ceruti hanno scritto per la nuova edizione di La nostra Europa (Raffaello Cortina, pagine 192, euro 16,00). Imperialismi minacciano l’Europa dall’esterno. Demagogismi illiberali, xenofobismo e fanatismi nazionalisti la minacciano dall’interno, con concreti rischi di disgregazione e di decivilizzazione. Tuttavia, “là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva”, scriveva Hölderlin. È a un pensiero e a una politica di salvezza che ci invitano Morin e Ceruti, delineando un ritratto della nostra Europa, della sua storia ambivalente e chiedondosi come sia possibile scongiurare il rischio di paralisi e di disgregazione, mostrando come la speranza si annidi nella disperazione. Un manifesto per una rinascita della cultura e della politica europee nel tempo delle incertezze e dei drammatici conflitti che stiamo attraversando.
La “barca” europea si trova oggi a fluttuare in un mondo dove risorgono pulsioni autoritarie e imperiali, sia a Oriente sia a Occidente. Imperialismi complici o antagonisti minacciano l’Europa dall’esterno. Demagogismi illiberali, xenofobismo e fanatismi nazionalisti la minacciano dall’interno, con concreti rischi di disgregazione e di decivilizzazione. Abbiamo scritto questo libro interrogandoci su cosa possiamo fare, su cosa possiamo sperare per dare un futuro all’Europa, cercando di mostrare come la speranza si annidi paradossalmente nella disperazione. «Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva», scriveva Friedrich Hölderlin. Abbiamo bisogno di comprendere la singolarità, la complessità, l’ambivalenza della nozione stessa di Europa. La nozione di Europa si dissolve appena la si vuole pensare in modo chiaro e distinto, si frammenta appena si vuole riconoscere la sua unità, e allorché vogliamo trovare un’origine fondatrice. La nozione d’Europa deve essere concepita secondo una multipla e piena complessità. La nozione di Europa è una nozione storica. Certo, le frontiere marittime la delimitano a nord, a ovest e a sud, ma essa non ha alcuna frontiera continentale a est, dove la Russia è nello stesso tempo europea e asiatica. L’Europa è il promontorio occidentale del continente asiatico. E storicamente ha frontiere cangianti.
La nozione di Europa ha molteplici volti, che non si potrebbero sovrapporre l’uno sull’altro senza creare l’indistinto. Ha conosciuto varie metamorfosi, affrontando nei modi più opposti la sua tensione costitutiva, quella fra identità e diversità, fra unità e molteplicità. L’Europa non ha unità se non attraverso la sua molteplicità. Sono le interazioni fra popoli, culture, classi, stati ad avere tessuto una unità a sua volta plurale e contraddittoria. Il nostro proposito non è quello di elevare un’ode euforica all’Europa. Vogliamo mostrare tutte le sue ambivalenze: la sua cultura fonda l’universalismo dei diritti umani, che comporta il riconoscimento della piena umanità a ogni persona, quali che siano la sua origine o il suo sesso. E tuttavia l’imperialismo coloniale, la tratta degli schiavi, il disprezzo razziale, il campo di concentramento sono nati in Europa e sono stati praticati dall’Europa. Ci sono, nello stesso tempo, un umanesimo europeo e una barbarie europea, e l’umanesimo ha potuto anche essere utilizzato per occultare la barbarie. La complessità è stata la sua storia. Storia politica, economica, letteraria, filosofica, sociale, etnica, fatta di straordinarie invenzioni, ma anche di drammatiche e violente rivalità, fino all’abisso delle guerre mondiali. L’Europa si è auto-costituita in un caos genesico dove si sono annodate insieme potenze di ordine, di disordine e di organizzazione. L’Europa non esiste fino alla metà del XX secolo se non nelle divisioni, negli antagonismi e nei conflitti, che, in certo senso, l’hanno prodotta. Dobbiamo abbandonare ogni idea di Europa una, chiara, distinta, armoniosa, ogni idea di una essenza europea primaria, e l’idea di una realtà europea che preceda la divisione e l’antagonismo. È nelle divisioni e negli antagonismi fra stati-nazione che si propaga e si impone la nozione d’Europa.
Eccoci allora nel cuore della difficoltà di pensare l’Europa quando si è abituati al modo classico di pensare, attraverso il quale l’idea di unità stempera l’idea di molteplicità e di metamorfosi, e attraverso il quale l’idea di diversità conduce a un semplice catalogo di elementi giustapposti. La difficoltà di pensare l’Europa è innanzitutto questa difficoltà di pensare l’uno nel molteplice, il molteplice nell’uno: l’unitas multiplex. È nello stesso tempo la difficoltà di pensare l’identità nella non identità. Ciò che fa l’unità della cultura europea non è la sintesi giudeo-cristiano-greco-romana, è il gioco non soltanto complementare, ma anche concorrente e antagonista fra queste istanze, ciascuna delle quali ha una propria logica: è la loro dialogica… L’Europa è una costruzione storica che ha un carattere paradossale: si manifesta non attraverso il progresso lineare di un’identità comune, ma attraverso il conflitto delle identità nazionali ed etniche. E le guerre fra nazioni, lungi dal diminuire, si sono tragicamente amplificate nel XX secolo. L’Europa non è costituita solo da un’estrema diversità. Essa è soprattutto il terreno di guerre permanenti fino al 1945 e anche oltre, dopo la costituzione dell’Unione Europea: guerre di Jugoslavia fra il 1991 e il 2001, del Kosovo fra il 1998 e il 1999, di Ucraina dopo l’invasione della Crimea nel 2014 fino all’offensiva del 2022. Ma, nello stesso tempo, attraverso diversità e conflitti, si sono forgiate una unità, una civiltà e una creatività propriamente europee. Di fronte al pericolo di regressione, oggi si deve rammentare che uno dei meriti storici del progetto dell’Unione Europea è stato di voler superare le due malattie che avevano portato l’Europa a soccombere sotto le proprie macerie: la purificazione etnica e la sacralizzazione dei confini. Ogni “ripartenza” dell’Unione Europea, ogni riformulazione ambiziosa del suo progetto, non può prescindere da questa consapevolezza, e dal rifiuto di ogni forma di dittatura o autocrazia, di suprematismo culturale o egemonia, anche al suo interno, nonché dal rifiuto della guerra: “mai più”. Di fronte al pericolo di regressione, oggi si deve rammentare che, dal secondo dopoguerra, la complessità è stato il progetto intenzionale della nostra Europa: il suo progetto di convivenza, contrapposto al semplicismo brutale e omologante dello spirito totalitario, imperiale e autocratico. Edificata sulla coscienza delle ambiguità del progresso, dopo le tragedie storiche del primo Novecento, l’Europa ha cercato la sintesi tra libertà e giustizia, ha umanizzato la modernità, ha irradiato nel mondo i suoi valori umanistici e illuministici. C’è un mondo che si è ribellato all’Europa imperialista, colonialista, razzista, in nome dei princìpi e degli ideali europei. C’è un mondo che ha promosso le sue lotte per l’emancipazione o la resistenza in nome dei princìpi e degli ideali europei. C’è un mondo che ha voluto competere con l’Europa, sviluppando la scienza e la tecnica nate in Europa. C’è un mondo che è emigrato per raggiungere l’Europa e nella speranza di vivere nelle sue “società aperte”.
Così, dopo la seconda guerra mondiale, nell’impotenza l’Europa ha scoperto la sua potenza, nel disarmo ha trovato la sua forza. Ma, altresì, le istituzioni europee sono diventate sempre più tecnocratiche, rette secondo calcoli astratti, e diventate sempre più sottomesse ai grandi poteri finanziari. Sono state ridotte molte misure di salute pubblica, così come è stata elusa la proibizione dei pesticidi… Ed eclatante è stata la crudeltà nei confronti della Grecia indebitata, e ancor più quella nei confronti dei rifugiati, che testimoniano come l’umanesimo europeo possa diventare menzognero. L’unione politica si è trovata bloccata. Si è sviluppata sul piano economico, ma l’Unione è restata un nano politico. E oggi le cose peggiorano, paiono ridursi le ragioni della speranza europea. Il corso regressivo e pericoloso degli eventi, la crisi ecologica che si aggrava, la crisi pandemica, poi la guerra d’Ucraina subito mondializzata in guerra economica, la tragedia che travolge la striscia di Gaza con le sue conseguenze geopolitiche, le numerose guerre diffuse in tutto il mondo, la spregiudicata politica di Donald Trump, un’inedita e ostentata violazione dei diritti umani, il potente ruolo delle autocrazie: tutto ciò ha sconvolto le relazioni precarie fra superpotenze e fra potenze. Tutto fa pensare ad alcune inesorabili tendenze: la regressione del mondo continuerà in modo implacabile, suscitando un po’ ovunque stati autoritari e società basate sulla sottomissione e controllate informaticamente; i conflitti locali susciteranno di nuovo ingerenze internazionali; un enorme squilibrio potrà fare pencolare il mondo in favore di un gigantesco blocco eurasiatico Russia-Cina-India, già volto a satellizzare una parte dell’Africa; gli Stati Uniti saranno protetti dalla loro considerevole potenza tecnica, economica e militare… E tutto fa pensare che le nazioni europee possano diventare dei protettorati americani o sotto il controllo e la tutela della nato, oppure preda dell’imperialismo russo. Terribile prospettiva! La nostra intenzione, qui, non è di ricostruire l’Europa passata. È quella piuttosto di proporre una riflessione o un metodo per ben pensare l’Europa, allo scopo di bene agire in essa. L’Europa non è mai esistita come organizzazione superiore ai propri costituenti. Dobbiamo cercare nel presente, e non nel passato, il principio di organizzazione europea. È l’esigenza vitale di salvare la propria identità che richiede una nuova metamorfosi dell’Europa. Gli europei avranno sempre più un destino comune in un mondo dominato da enormi potenze, ma il tragico rischio è che possano essere sempre meno capaci di assumerlo. Come scriviamo in queste pagine, la comunità di destino di noi europei non emerge dal nostro passato, che la contraddice. Emerge appena dal nostro presente, perché è il futuro che la impone. Fino ad oggi, nella storia, non si sono ancora creati una coscienza o un sentimento del destino comune a partire dal futuro, da ciò che non è ancora avvenuto. La nostra Europa, per non perire, ha la necessità di compiere questa nuova metamorfosi riconoscendosi come comunità di destino. E sarà figlia dell’improbabile, o non sarà.