martedì 2 luglio 2013
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«Oggi si è aperto il convegno di Camaldoli con una introduzione di monsignor Bernareggi, vescovo di Bergamo e assistente dei laureati di Azione Cattolica. Sono arrivato qui ieri sera». Poche righe nel diario di Paolo Emilio Taviani in quel luglio 1943 nel quale le sorti della guerra erano sempre più sfavorevoli all’Italia anche se Mussolini, nonostante il susseguirsi di indiscrezioni e di voci che sussurravano sempre più frequentemente di gerarchi e di monarchia orientati verso un cambio di regime, restava al suo posto.Il 19 luglio il Duce e Hitler si erano incontrati a Feltre per rafforzare l’asse tra le due nazioni. Lo stesso giorno aerei americani avevano bombardato il quartiere popolare di san Lorenzo a Roma provocando decine di morti e centinaia di feriti. Un atto di guerra che non teneva in alcun conto il carattere sacro di Roma "città aperta". In questo scenario, il convegno dei laureati cattolici nel monastero toscano di Camaldoli (dove da alcuni anni si svolgevano le settimane di studio di questi intellettuali su temi soprattutto teologici) assumeva un carattere diverso rispetto ai precedenti incontri del movimento. Un carattere marcatamente politico nel senso più alto, anche se l’idea di un partito di ispirazione cristiana non sfiorava nessuno dei partecipanti: non pochi dei quali però conoscevano l’impegno di Alcide De Gasperi, allora in Vaticano, di ricostituire con parecchi ex popolari quella che sarebbe stata la Dc. All’origine del convegno di Camaldoli c’era il radiomessaggio natalizio del 1942 con il quale Pio XII si era rivolto a tutti gli uomini dei Paesi in guerra auspicando che «chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla vita sociale, collabori ad una profonda reintegrazione dell’ordinamento giuridico» e non aveva mancato di fare riferimento, anche se in termini generali, «alle centinaia di migliaia di persone, le quali senza veruna colpa, talora solo per ragioni di nazionalità e di stirpe, sono destinate alla morte o a progressivo deperimento». Pochi giorni dopo, il congresso dei laureati cattolici apertosi a Roma il 9 gennaio 1943 aveva deciso di mettere in cantiere un "codice" che, partendo dalla dottrina sociale della Chiesa, aiutasse non solo i cattolici ad affrontare i problemi della società e dello Stato che si ponevano in termini nuovi e ad uscire così «da un passato pieno di ingiustizie ed errori», come aveva affermato al congresso Bernareggi. Veniva così dato incarico a Vittorino Veronese, segretario generale dell’Icas (Istituto cattolico attività sociali), di promuovere, con lettere «strettamente personali e non estensibili ad altri» un convegno a Camaldoli dove si sarebbero definiti i temi «per la ricostruzione di un ordine sociale dopo il collasso della guerra». Come traccia degli argomenti da approfondire, Veronese allegava il "codice di Malines" che era stato elaborato negli anni ’20 dall’Unione internazionale di studi sociali presieduta dal cardinale Mercier. Passato, presente e anche futuro della dottrina sociale della Chiesa si intrecciavano così a Camaldoli nelle discussioni degli intellettuali sui temi della vita familiare (estesa alle questioni educative), di una concezione dello Stato, personalista e non totalitario, della vita economica con il superamento del sistema corporativo (non solo quello fascista, ma anche quello che aveva conquistato buona parte del mondo cattolico italiano) e l’indicazione di quella economia "mista" segnata dall’intervento-controllo dello Stato, in una società industriale e terziaria.L’ultimo capitolo riguardava la vita internazionale. Ma la situazione sempre più grave del Paese, avrebbe obbligato il convegno di Camaldoli a concludersi il 23 luglio con un giorno d’anticipo. I 76 enunciati individuati erano stati appena sgrossati, le proposte avanzate dovevano essere riviste prima di arrivare alla stesura definitiva del codice, che veniva affidata ad alcuni gruppi di lavoro a Roma. Il 25 luglio però il regime sarebbe caduto. Sarebbero seguiti l’occupazione tedesca di parte dell’Italia e di Roma, l’armistizio, i primi episodi della Resistenza. Sarebbero stati tre economisti, Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, tutti e tre valtellinesi di Morbegno, coadiuvati da Ludovico Montini (per il tema della famiglia), da Gesualdo Nosengo (per i temi educativi), da Giuseppe Capograssi e da alcuni ecclesiastici a rielaborare il tutto. Vanoni, ricercato dai nazisti, aveva dovuto trovare ospitalità a casa di Gonella. L’articolato del codice era già pronto al momento della liberazione di Roma nel giugno 1944. La sua pubblicazione avverrà però nell’aprile 1945 per opera delle edizioni "Studium", col titolo Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale. Nella conclusione si legge: «La cattolicità, al di sopra delle distinzioni di razza e nazionalità, tende a realizzare concretamente la comunità del genere umano nella fraternità di tutti gli uomini». Ma erano intanto i partiti a impegnarsi nella ricostruzione dello Stato democratico. E il codice di Camaldoli è stato accantonato, anche da gran parte della storiografia italiana se si esclude quella cattolica. Ma alcune importanti tracce si avvertono nella Costituzione a opera di non pochi dei presenti entrati nella vita politica. L’impresa avviata settant’anni fa nel monastero toscano merita di essere rievocata. Il codice non è stato soltanto un’alta esercitazione intellettuale.
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