mercoledì 13 gennaio 2016
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A 50 anni dalla nascita del sindacato internazionale (Fifpro) e a due decenni dalla storica sentenza Bosman del 1995, i calciatori chiedono un’altra svolta al sistema del mercato mondiale. È l’effetto dell’esposto presentato dalla Fifpro alla Commissione europea lo scorso settembre. Il 2016 sarà l’anno in cui Bruxelles dovrà pronunciarsi su questa denuncia che accusa l’attuale sistema dei trasferimenti, regolamentato dalla Fifa, di alimentare ingiustizie e squilibri all’interno dello sport più seguito del pianeta.L’esposto si basa su uno studio, redatto dal professore Stefan Szymanski, docente di management dello sport all’Università del Michigan negli Stati Uniti. Il report ha questo preciso punto di partenza: le campagne acquisti non creano più nessuna ridistribuzione economica tra ricchi e poveri del calcio, anzi si risolvono solo in un’enorme girandola di milioni tra i pochi giganti dei principali campionati europei. Un cortocircuito che, secondo la Fifro, può essere assimilato alla formazione di una posizione dominante nel settore calcistico, come tale contrario alle norme europee a tutela della concorrenza e del mercato. Il dato centrale è contenuto in una ricerca della Deloitte: negli ultimi cinque anni il calciomercato europeo ha mobilitato 10.9 miliardi di euro prendendo in considerazione i trasferimenti di oltre 700 club di massima divisione. Di questi, ben 1.7 miliardi è rappresentato solo dagli affari tra i venti club più ricchi del continente. Quindi venti società rappresentano da sole il 15-20% del totale del denaro complessivo mosso da 700 club. Anche i dati ECA, l’associazione che riunisce i club europei, confermano questa tendenza: il 49% del valore dei trasferimenti viene movimentato dai cinque principali campionati europei (Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia) all’interno dei quali il 25% del denaro circola tra i cinque club più ricchi.Significa che la giustificazione spesso fornita per il pagamento del cartellino dei calciatori - una forma di redistribuzione dei grandi che comprano i talenti ai piccoli - non ha fondamento. Il rimedio suggerito dalla Fifpro è arrivare a una tendenziale eliminazione del prezzo di acquisto del cartellino per lasciare solo i costi di ingaggio. «Non vogliamo assolutamente eliminare il mercato - spiega l’avvocato italiano Leo Grosso, vicepresidente Fifpro dopo anni ai vertici dell’Aic - ho già sentito dirigenti allarmati perché temono che non ci siano più forme di compensazione per i piccoli club. Ma ormai quel sistema lì non esiste più. Una volta la Serie A, per fare un esempio italiano, comprava direttamente in C permettendo a tante società di vivere per anni con i proventi di una cessione. Questo non succede più da tempo. E più in generale perché bisogna considerare merce di scambio un calciatore e non un ingegnere della Ferrari? Non si paga un’azienda per portare via un dipendente di valore, si paga solo per lo stipendio del lavoratore. Noi chiediamo semplicemente alla Commissione europea di valutare le storture di un sistema che non sta aiutando il calcio».Esemplare la situazione inglese: il 72% dei 142 milioni di sterline pagati sul mercato nazionale da club di Premier League nella sessione 2012-13 sono andati ad altre società della stessa categoria, 32 milioni sono andati in Championship, appena 7 milioni in Terza Divisione e uno solo in Quarta. Il professor Szymanski ha allegato numerosi dati a supporto di queste tesi. Emblematica della scarsa capacità di riequilibrio del mercato è la quantità infinitesimale devoluta per il contributo di solidarietà, creato per ricompensare le piccole società che hanno cresciuto i campioni nel loro settore giovanile: appena l’1,84% del totale degli investimenti sui cartellini dei calciatori. Una miseria a favore della realtà fuori dai grandi giri. Infatti, come sottolinea la Fifpro, più della metà dei club europei evidenzia serie perdite di bilancio. Questo progressivo accentramento della ricchezza calcistica in poche mani inoltre provoca un drastico abbassamento della competitività nazionale: negli ultimi 25 anni il 79% degli scudetti in 20 Paesi europei è stato vinto da appena tre squadre.Non stanno bene nemmeno i protagonisti principali: i calciatori. «Il rapporto di lavoro tra atleti e club è sbilanciato - continua Grosso - il nuovo regolamento Fifa del 2001 ha creato il periodo protetto entro il quale non sono possibili rotture unilaterali del contratto. Ma questo vale soprattutto per i calciatori. Le società invece hanno sempre il modo di forzare in modo surrettizio la risoluzione degli accordi. Basta che non paghino lo stipendio ai calciatori, che li facciano allenare fuori rosa e li tengano ai margini del gruppo». L’epilogo, di fronte ad atteggiamenti di questo genere, è scontato: il giocatore cerca un nuovo club e dà le dimissioni. Ma chi ripaga le mensilità non percepite? Disagi frequentissimi nei campionati minori di Paesi ai confini del grande calcio internazionale. «Tutto questo - conclude Grosso - succede in corrispondenza di un aumento sempre più massiccio dei ricavi che finiscono fuori dal sistema calcio, ormai arrivati al 15% del totale del mercato che finisce a intermediari o fondi di investimento con il meccanismo delle “parti terze”». La pronuncia della Commissione europea non sarà immediata. I tempi dei giudici di Bruxelles non sono rapidissimo. Possibile una decisione entro fine 2016. A poco più di due decenni dalla sentenza Bosman, il calcio potrebbe conoscere una nuova rivoluzione.
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