sabato 1 maggio 2010
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«I luoghi comuni sono sempre i più affollati», sostiene il “satiro” Alessandro Bergonzoni. Nel calcio, i luoghi comuni si trasformano in etichette indelebili. Così ogni volta che si sfiora la voce “autogol” ecco rispuntare subito dai meandri della Panini il cagliaritano Comunardo Niccolai. Per le “papere” dei portieri, l’opzione cade di solito sul compianto Mattolini o le “saponette” di Valerio Fiori. Se un “bomber” fa 10 gol in dieci partite, inevitabile lo scovamento di Antonio Valentin Angelillo (33 reti in altrettante giornate) il quale, puntualmente interpellato in materia da luogo comune, giustamente tace. Il catalogo è vasto, così quando si arriva alla “maglia gettata a terra” di Mario Balotelli, la generazione che ha seguito il calcio degli anni ’80, subito evoca il portiere Astutillo Malgioglio che in un disgraziatissimo Lazio-Vicenza, 3-4, (del 9 marzo 1986), si tolse la maglia da estremo difensore laziale, la stropicciò e ci sputò sopra. Non era il gesto di un folle, ma fu la reazione all’offesa subita dal “portiere di lotte” e da un uomo fortemente impegnato nel sociale che nel tempo libero dal calcio professionistico già si dedicava ai disabili e ai bambini distrofici.Quella maledetta domenica la Curva Nord delusa dalla sua prestazione, esibì uno degli striscioni più feroci e vergognosi che si siano mai visti in uno stadio: “Malgioglio tornatene dai tuoi mostri”. «Forse ce l’avevano con me perché arrivavo dalla Roma… Comunque quello fu un anno da incubo e quando sono tornato con l’Inter a giocare al Flaminio, l’arbitro fu costretto a sospendere la partita per alcuni minuti perché dalla Curva laziale mi tiravano di tutto… Ma a nessuno interessava parlarne, mentre la storia della maglia gettata a terra veniva continuamente fuori. Oggi, quando sento parlare di razzismo nei confronti di Balotelli penso di capire che cosa significhi. Fa male non essere accettati per ciò che si è. Da quel giorno provo orrore per la cattiveria che si annida negli stadi, che poi è la stessa che esce per le strade e genera violenza ed emarginazione… E io lo so bene, perché lotto dal 1977 per dare una mano alle tante persone emarginate e in difficoltà che si mettono in contatto con noi». Quel “noi” sta per sua moglie Raffaella «da 33 anni insieme» e la figlia Elena che a Piacenza lo aiutano a portare avanti le attività di assistenza sociale con giovani e anziani dalle problematiche più svariate.Una vita fuori dai pali, da sempre spesa generosamente per gli altri e quando nel ’93, dopo l’ultima stagione con l’Atalanta ha appeso guanti e scarpe al chiodo, ha sperato in una chiamata, ma il mondo del calcio gli aveva sbarrato la porta. Telefono muto, nonostante una coppa Uefa, uno scudetto (quello dei record dell’89) vinto con l’Inter e una coppa Italia conquistata alla Roma, con la quale visse l’emozione e la beffa della finale di Coppa dei Campioni persa all’Olimpico, contro il Liverpool. Era il 30 maggio 1984, esattamente dieci anni dopo (il 30 maggio ’94) Agostino Di Bartolomei si tolse la vita. «Agostino è stato una delle persone rare che ho incontrato nel mondo del calcio, insieme a Matteoli all’Inter e Klinsmann che mi è stato vicino anni fa quando avevo problemi di salute. Con Di Bartolomei lavoravamo per il sindacato calciatori, era un ragazzo meraviglioso, la troppa sensibilità l’ha ucciso. L’ho rincontrato quando avevamo smesso entrambi, era depresso perché aspettava una chiamata dalla Roma e mi ripeteva: «Ho dato tanto, eppure nessuno mi cerca più»… A me è accaduto lo stesso con l’Inter del presidente Pellegrini. Dopo cinque anni importanti, una mattina mi hanno mandato via senza neanche una telefonata… Mi hanno richiamato nel 2008 per la festa del centenario. In parte è anche colpa del mio carattere: ho sempre pensato che in campo dovevo dare il 100%, ma la vera vita è fuori, e quella è sempre stata più importante dei 90 minuti di una partita. E poi forse nel calcio quelli che hanno una testa ed esprimono delle idee che non siano quelle banali del “branco”, difficilmente trovano spazio o possono restarci a lungo». Quindi, anche chi si professa “Special One” e ha argomentazioni da vendere dalla panchina dell’Inter, può essere a a rischio? «Mourinho può parlare perché vince, ma se dovesse perdere lo scudetto e la Champions non glielo perdonerebbero mai... Il caso Balotelli? Mario l’hanno preso che era un bambino e se lo sono cresciuto. Ora mi sembra strano che all’Inter prima gli andasse tutto bene e che non ci fossero problemi e che adesso ogni cosa che fa è solo colpa sua...». Parole da padre e da uomo saggio che continua la sua missione quotidiana, con un progetto da portare a termine: «Vorremmo creare una casa di accoglienza per dare un tetto a chi non ce l’ha. Magari un giorno mi ricorderanno per questo, invece che per la maglia buttata a terra...».
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