venerdì 19 maggio 2017
Il libro inchiesta di Marco Bellinazzo porta alla luce i forti legami tra la Russia di Putin e gli Stati Uniti di Trump che attraverso il pallone ridisegnano la nuova geopolitica. I nuovi "potentati"
La proprietà cinese dell'Inter, Erick Thohir e Zhang Jindong

La proprietà cinese dell'Inter, Erick Thohir e Zhang Jindong

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Se qualche romantico crede ancora che il calcio sia un gioco semplicissimo, ingenuo, infantile, in cui su un campo e con un pallone si sfidano undici giocatori contro altri undici, vuol dire che non ha mai sfogliato neppure una pagina dei libri-inchiesta di Marco Bellinazzo. Il giornalista del “Sole 24 Ore” dopo Goal Economy (Baldini & Castoldi), «che rappresentava lo scheletro economico del sistema dopo l’avvento della pay tv», propone un ulteriore approfondimento con I veri padroni del calcio( da ieri nelle librerie) in cui l’indagine si sposta e sale «all’ultimo quadro del “videogame”, con il fenomeno esploso negli ultimi due anni delle convergenze di interessi tra i governi che hanno letteralmente messo le mani sul gioco più bello, più seguito e più ricco del mondo». Le punte di diamante di questa “spectre”, una potentissima squadra oscura, ma neanche troppo, non sono i Messi, i Cristiano Ronaldo o gli Higuaín, ma i nuovi «dittatori universali »: Vladimir Putin, Donald Trump, Xi Jinping. Calcio totale, anzi totalitario che risponde alle logiche dell’altissima finanza, ultima vera frontiera della globalizzazione.

«L’ultima campagna anti-Fifa e anti-Uefa che ha visto l’estromissione dei rispettivi presidenti, Sepp Blatter e Michel Platini, è stata un’azione di rivalsa partita dagli Stati Uniti, feriti e penalizzati per aver perso i Mondiali del 2022, quelli assegnati al Qatar», spiega Bellinazzo. Era il 2 dicembre 2010, il giorno in cui la Fifa, per la prima volta nella sua storia lanciò la «doppia votazione» per assegnare i Campionati del mondo di Russia 2018 e subito dopo quelli di Qatar 2022. Secondo tradizione, per rotazione continentale l’edizione del 2018 doveva tenersi in Nord America o in Oceania, ma nel 2005 «il presidente Blatter – scrive Bellinazzo – annuncia al periodico australiano “The Sun Herald” che il sistema della rotazione andrà avanti sino al Mondiale di Brasile 2014. Lo abbiamo adottato, “precisa”, per assicurare al continente africano di poter ospitare la Coppa del mondo (Sudafrica 2010)». Gli Usa defraudati della kermesse mondiale partono dunque alla riscossa muovendosi su due piani congiunti: le inchieste e il sistema di spionaggio messo in campo dall’Fbi per detronizzare Blatter e una serie di accordi sotterranei ed informatici (i cyberattacchi orditi da Mosca) con la Russia. Il calciofilo Putin offre assist dorati al suo finto nemico, in realtà l’amico Trump, che spende e espande la sua influenza politica personale nella terra degli ex comunisti mangiatori di bambini. «Tra gli affari inconfessabili con Mosca – si legge – Trump, proprietario negli anni ottanta dei New Jersey Generals, team della United States Football League che per alcune stagioni sfidò invano il monopolio della Nfl, a pagina 2 del dossier si citano speculazioni immobiliari relative alla Cop- pa del mondo di calcio del 2018». Il calcio oggi unisce governi e popoli un tempo divisi da invalicabili cortine di ferro. «Putin e Trump – continua Bellinazzo – sono uniti dalla medesima volontà di ripristinare un ordine geopolitico che li veda dominatori assoluti e lo fanno anche attraverso il calcio dal quale non deriveranno mai imperi o nuovi regni ma può certamente servire a consolidare i regimi posti in essere in un preciso momento storico».

Un asse anomalo, quello russo-americano, che sta già operando per portare i Mondiali negli Stati Uniti nel 2026. Un progetto espansionistico che però deve fare costantemente i conti con la concorrenza delle altre due macroaree in cui il calcio è strumento dominante, le superpotenze del mondo arabo (Qatar in primis) e l’avanzata della grande Cina del supercalciofilo Xi Jinping. «Il segretario del partito comunista cinese ha già fatto partire un piano di soft power per un accreditamento globale in cui ha coinvolto una serie di conglomerati industriali dalle risorse economiche illimitate – spiega Bellinazzo –. Finora i vari tycoon della Cina hanno investito oltre 3 miliardi di euro per il controllo e l’acquisizione di circa 15 club europei. E in Cina, utilizzando il know-how straniero, quello dei paesi calcisticamente più avanzati (sudamericani ed europei) lo Stato ha varato l’apertura di 50mila accademie in cui cresceranno i futuri 50 milioni di tesserati. Il calcio sarà sport di massa in Cina per il 2030, anno in cui Mondiali si dovrebbero organizzare all’ombra della Grande Muraglia».

La Cina punta a vincere i Mondiali di calcio entro il 2050 e nel frattempo Xi Jinping confida che i suoi delfini sparsi e operanti nel globo abbiano colonizzato, dopo averlo fatto da tempo con il Continente nero («con lo “stadium diplo- A sinistra, il presidente russo Vladimir Putin al palleggio In basso, la proprietà dell’Inter: Erick Thohir e Zhang Jindong mas” fin dagli anni ’70 e all’ultima Coppa d’Africa, in Gabon, tre stadi su quattro erano di “fabbricazione” cinese») anche tutto il nostro Vecchio continente. «I movimenti di mercato effettuati su Milan e Inter vanno in questa direzione – dice Bellinazzo – ma occorre fare dei distinguo sulle due operazioni: Suning che ha preso l’Inter rientra nella logica governativa cinese. Il Milan doveva seguire lo stesso processo ma Yonghong Li non ha trovato gli appoggi giusti nel governo di Pechino e non sembra possedere le risorse sufficienti per ridare subito l’auspicato lustro al club rossonero, che è in pegno al fondo Usa Elliot». Il club che dopo il trentennio dell’era Berlusconi è finito in mano straniera, certificando una volta di più la crisi e l’indebolimento dei vecchi sistemi rispetto all’avanzata delle quattro superpotenze. «Silvio Berlusconi è stato il precursore della gestione di un club che da interessi e ricadute sul territorio locale si era trasformato in societàazienda su scala nazionale e poi internazionale grazie al Milan “più titolato al mondo”. L’Italia e l’Europa in questo momento sono spettatrici rispetto al gioco pervasivo del controllo di quei diritti tv che sono alla base della trasformazione tecnologica dell’industria del calcio che è un comparto, importante, della più grande fabbrica dell’enterteniment».

In campo si muovono sempre 22 protagonisti, ma fuori il gioco si fa sempre più duro e lo scenario è quello di un’autentica «guerra finanziaria» in corso per accaparrarsi la fetta più grossa della succulenta torta del pallone universale. «Governare la Fifa oggi significa mettere le mani su 5-6 miliardi di euro di fatturato ogni quadriennio mondiale, più un indotto enorme, forse incalcolabile in relazione all’area grigia su cui sono cresciuti i vari potentati finiti sotto la lente dell’Fbi e della magistratura svizzera. Sul piano politico poi, il riconoscimento di Fifa e Uefa di una nazionale, come per esempio nel caso del Kosovo, è diventato più importante del riconoscimento dell’Onu ». E tutto questo ormai passa esclusivamente dalle volontà e dai piedi dei grandi padroni della terra, e quindi della zolla.

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