giovedì 17 gennaio 2019
A quattro anni dall’ultimo disco di inediti il pianista e compositore milanese esce con “Diapason”, titolo anche del tour mondiale «Suonare ancora con la Royal Philarmonic è il massimo»
Cacciapaglia: "La mia musica in purezza"
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Si farà largo tra le nuvole per planare a distesa sul pubblico, tra fasci di luce e onde sonore. Così ha concepito l’album Diapasone il “Diapason Worldwide Tour”, il pianista e compositore milanese Roberto Cacciapaglia al via da domani con il nuovo tour, forte della contemporanea uscita dell’album (il primo di inediti dal 2015) intitolato appunto come la piccola forcella di acciaio con cui ci si accorda per iniziare a suonare in cerca di una necessaria e condivisibile armonia. Ed è proprio questo che l’ex enfant prodige della ricerca fonologica in Italia (sperimentazioni confluite nel lontano 1972 anche in uno dei primi album di musica elettronica dell’amico Franco Battiato, Pollution) punta a trasfondere dalle dodici intense e ispirate tracce del disco al suo pubblico, ormai fedele parte attiva di un rito multisensoriale, a partire dalla prima data di Carpi (il 18 gennaio al Teatro Comunale, il 19 marzo al Teatro Nazionale di Milano, il 27 all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 29 al Teatro Alfieri di Torino, fino all’unica data di aprile, il 27, al Teatro Verdi di Pisa).

Maestro Cacciapaglia, anche stavolta per la registrazione del suo album si è avvalso della Royal Philarmonic Orchestra negli Abbey Road Studios di Londra.

Sì, come per l’album Quarto tempo. È il massimo per la mia ricerca sonora. Lì ho anche voluto girare il video del brano che apre il disco, Frequency of love. Nello studio di Abbey Road si percepiva ancora l’atmosfera dell’esecuzione da parte dell’Orchestra. Un brano che ho scritto e inteso come simbolo dell’unione di energie maschili e femminili che convivono in una sola ideale persona.

Anche la voce che utilizza in tre brani cantati (InnocenceA Gift e The Morning is born tonight) sembra inseguire questa ideale fusione, considerando tra l’altro che le differenze di genere costituiscono ancora un drammatico problema collettivo e sociale.

A me non piace la voce troppo melodrammatica, anche perché è storicizzata. Ho cercato una neutralità, una vocalità oltre il tempo, né antica né moderna. Una voce che contenga un registro insieme maschile e femminile. Oltre i generi per andare alla sorgente, all’ideale atto generativo.

E dunque, che registro ha scelto?

Quello del controtenore. In questo disco è la voce di Jacopo Facchini, per cancellare idealmente le differenze di genere per tendere a evocare e rappresentare una sorta di simbolica universalità, al di là di muri e divisioni. Il timbro del controte- nore lo avevo già utilizzato anche in alcune mie precedenti composizioni come Generazioni del Cielo, Transarmonica, Un Giorno X e Lamentazioni di Geremia, un’opera di musica sacra che eseguii a Gerusalemme nella chiesa dell’Annunciazione, nel 1990, in occasione del Festival Oriente Occidente.

Un timbro vocale particolarmente suggestivo, con cui ha voluto dare la parola a figure del calibro di Martin Luther King, Gandhi e William Blake.

Ho utilizzato alcune loro immortali frasi perché penso che, soprattutto in un momento così critico e orfano di fondamentali valori civili e religiosi, abbiamo più che mai il compito di tramandarne l’eredità. Non dimentichiamo la loro lezione di bellezza, sapienza e profondità: ricchezze di cui l’umanità ha bisogno.

Lo scorso ottobre è stato per la prima volta in concerto negli Stati Uniti…

Non osavo sperare un esito così entusiasmante. Con il pubblico americano ho provato una sintonia assoluta, dalla Carnegie Hall di New York a San Francisco, da Los Angeles a Miami Beach, la mia prima tappa. Mi rivogliono il prossimo autunno. Ma prima, in agosto, avrò un altro debutto personale. Mi attendono per otto concerti in Cina, nelle principali città.

Cosa riscontra proponendo le proprie musiche in luoghi così lontani con culture così diverse?

Trovo la medesima aspirazione a una totalità, a un senso profondo, attraverso il linguaggio universale della musica. Una tensione verso una sorgente comune, che ci accomuna. La musica del resto rispetto alle altre arti non fornisce indicazioni e filtri interpretativi. Tocca corde sì personali, ma è anche un atto di condivisione sociale.

Come sarà il nuovo tour?

Nello spettacolo suono il pianoforte e propongo dei video che ho realizzato dall’aereo durante questi miei recenti viaggi in giro per il mondo. Nuvole che ho filmato in movimento, fasci solari, lune meravigliose. Queste immagini faranno da fondale. Poi sul palco lavoro sulla luce e sui cristalli. Il cristallo, che è evocato anche sulla copertina del disco, è il simbolo della purezza e anche nell’occhio ha la funzione di riflettere interno ed esterno.

Suoni e immagini, per allargare la percezione.

Sì, tento di ricreare a livello visivo le vibrazioni sonore della musica. Da anni sto lavorando su questa espansione del suono nello spazio attraverso la luce: i raggi della luce che, armonizzandosi, vanno insieme alle vibrazioni sonore. Spazio e tempo, luce e suono, in un’unica sfera. Pitagora la chiamava essenza dell’universo.

Se ci fosse Pitagora oggi, come chiamerebbe invece il rap e la trap?

L’anno scorso un rapper americano, T-Pain, aveva utilizzato un mio brano rappandoci sopra, io confesso di non conoscere granché questi nuovi generi musicali di rottura e di protesta. Confido nei corsi e ricorsi della storia. Tra i giovani torneranno nuovi ideali e nuove speranze.

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