domenica 10 luglio 2011
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C’è uno strano volume che si aggira per le librerie della Germania, un’autobiografia corposa, ma mai così corpulenta quanto il suo protagonista, Carlo Pedersoli, al secolo scorso e questo che stiamo vivendo, semplicemente Bud Spencer. In Italia quello stesso libro, uscito l’anno scorso con il titolo tratto da uno dei suoi oltre 60 film "Altrimenti mi arrabbio" (Aliberti), era passato quasi inosservato. Da Berlino a Lipsia, invece Mein Leben, Meine Filme (“La mia vita, i miei film”) uscito per le edizioni Schwarzkopf und Schwarzkopf, è diventato un bestseller che sta scalando la classifica, piazzandosi al primo posto nelle ultime settimane e avviandosi alle 100 mila copie vendute. Un successo che non coglie affatto impreparato l’inossidabile Bud Spencer che a 82 anni sente che questo è solo l’inizio di una nuova primavera di grandi progetti. «Me lo aspettavo, perché in Germania mi conoscono molto bene, già da prima della caduta del muro di Berlino. Il bello di questo libro è che lo ristampano in continuazione. Verrà tradotto in spagnolo e in portoghese, per tutti i Paesi sudamericani, in cui, non per vantarmi, ma Bud Spencer è famoso più che in Italia. E adesso arriverà anche in Ungheria. Lì a Budapest invece ero noto come Pedersoli, il centravanti del “Settebello”, la Nazionale di pallanuoto che per la prima volta andò a vincere a Budapest». Anno di grazia sportiva 1952, quando quel ragazzone di 192 centimetri che superava i 100 chili di peso, era sfollato da una Napoli bombardata, e aveva iniziato a sbracciare nelle acque del Tevere, punta di diamante della Romana Nuoto. «Non avessi avuto il vizio del fumo, sarei stato tra i primi tre al mondo». Per sette anni è stato comunque campione italiano stile libero, ha preso parte a due Olimpiadi (nel ‘52 e nel ‘56) e alla passione per lo sport conciliava anche quella per lo studio. «A 16 anni credo di essere stato il più giovane universitario d’Italia, facoltà di Chimica. Più tardi mi sono iscritto a Giurisprudenza e poco tempo fa a Sociologia per spronare mia figlia. Ma non mi sono mai laureato in niente...». Studi interrotti per andare a lavorare in Sudamerica. «Ho fatto lo scaricatore di sacchi di farina al porto di Buenos Aires e poi il tecnico per le costruzioni delle strade in mezzo alla jungla amazzonica, in Brasile e Venezuela. Lì a Caracas, una notte con gli amici di una vita, Alberto e Paolo, Ldormimmo in un albergo in cui nella stanza accanto venimmo a sapere che si era rifugiata la banda Vallanzasca scappata dall’Italia». Una giovinezza avventurosa, ma il cinema, «a parte una comparsata in Quo Vadis », era ancora una chimera negli orizzonti dell’olimpionico Pedersoli. «Ho smesso con il nuoto dopo i Giochi di Roma ’60, quando mi sono sposato con Maria Pia che mi sopporta da 52 anni. È la mia “segretaria” e mi ha dato tre figli dai quali sono nati cinque nipoti. E per fortuna nessuno di loro ha seguito le mie orme». e orme del “Piedone”, n° 47 di scarpa, atterrato per caso con il suo brevetto da elicotterista nel mondo di celluloide, che non ha più abbandonato. «Una mattina del 1967, il regista Giuseppe Colizzi chiama mia moglie e gli chiede: “Ma tuo marito è sempre così grosso come alle Olimpiadi?” E lei gli risponde: “No Giuseppe, è molto peggio”». In piena era di “spaghetti western” (quasi 450 film di cowboy prodotti in Italia, dal 1964 ai primi anni ’70) o «western apocrifo, sarebbe meglio dire», Bud Spencer faceva il suo debutto sul grande schermo ne Il cane il gatto e la volpe che faceva il verso a Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone. «Il mio nome d’arte? Bud in inglese significa “bocciolo” e Spencer è un omaggio al mio attore preferito, Spencer Tracy. Lui sì che è stato un grande. Io non mi sono mai sentito un attore, ma semplicemente un personaggio. Titolo pur sempre rispettabile che mi diede Mario Monicelli, il quale una volta disse a Vittorio Gassman: “A Vittò, tu sei un bravo attore, ma resti attore». Con la voce calda e pastosa prestatagli da Glauco Onorato, il personaggio Bud Spencer, con le prime tre pellicole di Colizzi Dio perdona... io no!, I quattro dell’Ave Maria , La collina degli stivali e Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher, alias il romanissimo Enzo Barboni, sbancò al botteghino, in coppia con il fraterno Terence Hill, anche lui alias Mario Girotti. «Litigando con la moglie, Peter Martel si ferì e così Colizzi chiamò questo ragazzo che aveva recitato già con Visconti nel Gattopardo. È cominciato tutto per caso, ma io e Terence Hill siamo ancora oggi l’unica coppia del cinema che non ha mai litigato. Mario Girotti è un grande attore e una persona di un’umiltà incredibile». Una coppia inossidabile che si emoziona ancora nelle poche volte in cui si ritrova per mangiare un piatto di spaghetti o una mitica padellata di fagioli come quelle che si vedono nei loro film. «Mel Brooks vedendo Lo chiamavano Trinità due anni dopo girò Mezzogiorno e mezzo di fuoco ». Imitati e amati dal pubblico e considerati personaggi positivi anche per i cineforum parrocchiali. «La Chiesa ci ha capito subito, apprezzando il fatto che nei nostri film non si vede mai una goccia di sangue per terra e tanto meno un morto. Sono un cattolico che ha la necessità di credere. Tempo fa a Perugia ho detto che ogni uomo crede in qualcuno. Allora un tipo si è alzato e mi fa: “Io no, sono ateo”. Gli ho risposto, ecco tu credi nella non esistenza di Dio, quindi sei un credente anche tu». Uno schiaffo morale di chi ha il pugno pesante, ma solo sul grande schermo, per la gioia degli spettatori, grandi e piccoli. «Nei miei film la mia mano è sempre tesa a difendere donne, bambini e anziani, da quei violenti che nella realtà di tutti i giorni se la prendono con chi è più debole. Ognuno di noi poi ha un superiore al quale vorrebbe tanto dare un cazzotto in testa e io ho solo esaudito virtualmente questo desiderio diffuso. La vera forza però, è nel sapersi controllare. Sono un pacifico e il porgi l’altra guancia è la reazione degli uomini forti». La forza di un uomo saggio, che ha imparato tanto dalla vita, ma anche dal cinema e dai suoi attori “non protagonisti”, come «il cavallo che dopo la prima giornata di riprese, al mattino dopo entrai nella stalla e si stese per terra. Aveva deciso di scioperare perché non voleva essere cavalcato da un uomo che allora pesava 150 chili... Il primo grande insegnamento me lo diede l’attore Eli Wallach che un giorno mi disse: “Ricordati che un americano non cammina come te. E non ti agitare troppo, perché sullo schermo la tua faccia sarà nove metri per otto”. Non l’ho più dimenticato... Da noi invece si sono dimenticati di un grande come FColizzi, che con Barboni ha inventato il “western comico”. Insieme allo “spaghetti western” di Leone, sono due generi all’italiana che gli americani continuano a invidiarci». Riconoscenza del “personaggio” che ha avuto «la fortuna di lavorare con «geni come Steno ed Ermanno Olmi, che mi chiamò per il suo Cantando dietro i paraventi. Sono arrivato sul set senza copione e ho imparato tanto. La mia forza credo sia proprio quella di svegliarmi ogni mattina con la consapevolezza che c’è sempre tanto da imparare. Come diceva Seneca: “Se sai di non sapere, sai già molto”». ilosofia riposta nella valigia del non-attore, che ha avuto come compagno di banco Luciano De Crescenzo. «Il mio prossimo libro confuta Cartesio – dice sorridendo di gusto– e si intitolerà Mangio ergo sum. La filosofia la considero un’arma per difendermi e per affrontare questa cosa pazza e grottesca che è la vita. Platone, quattrocento anni prima della nascita di Cristo, nella “Repubblica” già denunciava quegli stessi mali che ancora oggi affliggono l’umanità. Puntava il dito contro gli allievi che non hanno rispetto per i loro maestri. Io invece ho sempre pensato che gli insegnanti sono gli ultimi missionari in questa società, persone votate a trasmettere il sapere, per poi ottenere in cambio stipendi da fame». Un pugno ben assestato dal tenero Bud Spencer alle coscienze «sorde» dei governanti. Il messaggio di un uomo che è patron dell’Unesco, e testimonial Unicef. Con il fido Terence Hill ha vinto un David di Donatello alla carriera, nel 2010, ma l’Oscar continua a riceverlo ogni giorno da una giuria speciale. «Il premio più importante me lo danno i bambini di tutto il mondo, che appena mi vedono mi corrono incontro e vogliono farsi la foto con il loro amico Bud Spencer. Questo è l’unico aspetto del successo che mi affascina, l’aver divertito in tutti questi anni i più piccoli, specie quelli che avevano bisogno che un omone come me gli regalasse un sorriso».
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