venerdì 24 luglio 2020
L’esperto di Tor Vergata: «La risposta a un fenomeno globale può solo essere globale». La rivista con gli interventi di 60 geografi: «Una scienza che aiuta a capire i fenomeni, non fa solo ex post»
Simone Bozzato

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«La pandemia da Covid–19 sta ridefinendo profondamente gli spazi globali e il rapporto dell’uomo con l’ambiente. Dalla scala globale a quella locale e ancor più domestica: ogni ambito di attività umana sembra aver subito un cambiamento radicale. Così la bistrattata geografia, di fronte alle mappe della diffusione del virus, risale in cattedra, come una scienza che può aiutare a leggere, a capire i fenomeni, e offrire soluzioni. Non solo analisi ex–post. Nello stesso tempo, la disciplina si interroga sulla capacità di “maneggiare” informazioni provenienti tanto da fonti consuete, quanto da big data, quanto, ancora, nel saper scegliere e contribuire a creare dati di immediato utilizzo e aiutare a leggere se non anticipare i fenomeni in corso». A sottolineare la “rivincita” della geografia al tempo della pandemia è il professore Simone Bozzato dell’Università Tor Vergata, curatore di un numero speciale della rivista dell’ateneo romano “documenti geografici” (1/2020) con oltre 60 contributi di ricerca che in un poderoso volume di 876 pagine si addentrano fra “Le Geografie del Covid–19” (scaricabile dal sito www.documentigeografici. it).

Professore, il mondo si scopre improvvisamente enorme, chiuso e inaccessibile. È la fine della globalizzazione?

Io penso che la globalizzazione sia ormai un fattore compiuto. Possiamo solo cambiare la nostra visione sulla globalizzazione, sforzarci di comprenderla, governarla. Trovando soluzioni dal di dentro. Facendo emergere i fattori positivi e premianti delle connessioni e delle interconnessioni. La pandemia è il massimo riferimento della globalizzazione, che non conosce forme di confine e di sovranismo. Che colpisce tutti e si sposta nel pianeta. Da Est a Ovest. Da Nord a Sud. E non si può fermare solo bloccando i voli aerei o le città. Nonostante i ferrei lockdown di Wuhan, e gli altri a seguire in varie parti del mondo, il virus ha viaggiato, ha superato confini e si è diffuso in quasi tutto il pianeta.

Sbaglia chi pensa che la soluzione sia in un ritorno ai sovranismi?

La risposta a un fenomeno globale può solo essere globale. In questo mondo nessuno può pensare di salvarsi da solo, o di salvarsi alzando muri e steccati, isolandosi. Prima o poi, inevitabilmente, dovrà confrontarsi con l’altro. Allora la soluzione non può che essere comunitaria. Non è nel singolo Paese ma nell’aggregato. Il nostro futuro dipende dalla capacità di trovare soluzioni comuni, di condividere percorsi e idee. Di pensarci in termini di comunità– mondo.

Siamo passati, come si evidenzia in un saggio di Pollice e Miggiano, dall’Italia dei barconi a quella dei balconi. Più identità, più solidarietà o più conflittualità?

Mai è successo nella nostra vita che qualcuno ci imponesse una ristrettezza di tale portata. La nostra vita in casa. Il fuori visto dal balcone o dalla finestra è uno spazio più piccolo. Così è emersa una vocazione aggregante che ha permesso di guardare il vicino in maniera più familiare. Di scoprire la vita del palazzo e dei quartieri. Rispetto al “noi e loro” dell’Italia dei barconi, è emerso un identitario “noi” dei balconi. Ma c’è stato anche un “noi contro di noi”, come evidenziano proprio Pollice e Miggiano: c’è stata una nuova divisione fra i territori, i più colpiti e quelli meno toccati. La chiusura non solo dei confini nazionali, ma anche interregionali o intercomunali. Sono emersi squilibri sociali, economici. Sono scoppiate “guerre” di competenze e di governance per esempio fra Stato e Regioni.

La geografia studia il rapporto fra l’uomo e i territori. Che impressione le ha fatto vedere le città vuote?

Inutile nascondere che mi ha suscitato emozioni e riflessioni. La cosa che più mi ha sorpreso è stata l’incredibile immediatezza con cui le città si sono ritrovate vuote. Ha mostrato come si sia superato la soglia del consumo del territorio, l’assenza di armonia nel nostro vivere gli spazi.

Il futuro, come ipotizzano alcuni suoi colleghi, possono essere i borghi?

Il futuro credo sia anche nei borghi, ma continuerà a essere anche nelle città. La condizione che ci ha portato allo svuotamento dei piccoli centri, in passato, di fronte al crescere dell’industrializzazione è un processo che continua. Le città restano saldamente un polo attrattore. Però questa pandemia ha rianimato la voglia di “piccolo è bello” e un riequilibrio è ancora fattibile: penso alle opportunità che possono arrivare dallo smart working e dallo sviluppo digitale, colmando il gap che c’è purtroppo in alcune aeree.

Siamo in estate, tempo di vacanze. Il turismo sta pagando un prezzo altissimo…

Proprio al comparto turistico è stata dedicata una specifica attenzione dei nostri studi: in assoluto, nell’immediato e nel medio periodo, risulta essere il più colpito dalla crisi pandemica. Un settore con numerose fragilità meno evidenti prima della crisi perché celate da dati positivi che sembravano rafforzare la convinzione che molte regioni potessero rilanciare la loro competitività proprio grazie alla crescita manifestata negli anni e prevista per il prossimo futuro. Convinzioni tramontate nell’immediatezza delle prime restrizioni alla mobilità, poi rese evidenti dal blocco dei voli e dalle incertezze sui mesi che verranno. Il turismo si scopre così un colosso che rischia di poggiare su piedi d’argilla, pronto a crollare ad ogni emergenza globale.

«Peggio di questa crisi, c’è soltanto il dramma di sprecarla», ammonisce il Papa. Qual è secondo lei il lascito di questo tempo?

Francesco in preghiera da solo in piazza San Pietro è un’immagine che resterà scolpita nella mia memoria e nella memoria di tutti, non solo fra i credenti. Le chiese e le città vuote sono il segnale dell’“adesso o mai più”. Possiamo vederlo come un vuoto desolante oppure come un vuoto pieno di senso, perché raccoglie tutte le domande sulla nostra esistenza e il nostro modo di vivere in questo mondo. Mentre abbiamo vissuto dei pieni che in realtà erano vuoti. Penso che di fronte a una quotidianità frenetica senza riflessione, questo tempo che ci appare incerto e appunto “vuoto” sia un’opportunità per metterci in discussione e ripensare al nostro posto nel mondo. Pensarci comunità globale, responsabile, solidale, rispettosa dell’altro. Riscoprendo il valore della geografia, senza considerarla la vecchia antenata di Google Maps.

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