venerdì 20 dicembre 2019
“Il mio amico Leo”, il libro scritto con Ceniti e illustrato da Laksman, con cui il difensore della Juventus si rivolge ai ragazzi mettendoli in guardia sul fenomeno, a partire dalla sua esperienza
Illustrazioni di Martin Laksman tratte da "Il mio amico Leo"

Illustrazioni di Martin Laksman tratte da "Il mio amico Leo"

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Leonardo Bonucci, 32 anni, difensore della Juventus e della Nazionale di calcio sa bene cos’è un bullo. Lo sa perché un episodio di bullismo lo ha subito anche lui, quando non era Bonucci ma solo Leonardo, un ragazzino nato e cresciuto a Viterbo con il sogno del pallone. «Sono stato minacciato da un ragazzo di due anni più grande – ha raccontato di recente –. Mi ha spinto e mi ha chiesto di dargli quello che avevo in tasca. Ho avuto la freddezza e il coraggio di non farmi mettere i piedi in testa: sono riuscito a scappare, raggiungendo un gruppetto di amici. L’episodio mi ha segnato, ma ho capito che dovevo crescere: se quel ragazzo mi aveva avvicinato, evidentemente aveva visto in me un punto debole. Un bullo secondo me ha qualcosa che manca dentro di sé, fa così perché è lui stesso in difficoltà». È anche quell’episodio ormai lontano che ha spinto Bonucci a impegnarsi direttamente contro il bullismo, firmando insieme a Francesco Ceniti, giornalista de La Gazzetta dello Sport,Il mio amico Leo” (Baldini+Castoldi. Pagine 283. Euro 16,00), una storia di coraggio e di amicizia rivolta agli adolescenti ma che anche gli adulti farebbero bene a leggere. Protagonista del racconto è Andrea, ragazzino di seconda media che ha perso il padre e che ha nel calcio la sua grande passione. Tifoso della Juventus, ha in Bonucci il suo idolo. Così è proprio a Leo che Andrea, in difficoltà perché preso di mira da una banda di bulletti, chiederà aiuto, dando inizio a un rapporto personale importante. «Io cerco sempre di far capire ai miei figli che devono parlare di qualsiasi cosa a casa» ha sottolineato il difensore della nazionale spronando le vittime del bullismo a non chiudersi in se stesse, aprendosi invece al dialogo con i genitori, i nonni, le persone di cui si fidano.

Scrive Walter Veltroni nella prefazione del libro che «il bullo sa benissimo di essere un fesso e pensa di potersi sentire socialmente riconosciuto solo se cerca di sottomettere un altro, se lo umilia. Il bullo è un infelice che cerca di rendere infelice la vita agli altri». È una definizione azzeccata, che mette la felicità negata al centro di uno dei fenomeni più devastanti per giovani e adulti. Mentre alla Camera arrivano nuove norme per prevenire e contrastare il bullismo, i sondaggi mostrano quanto episodi di prevaricazione, scherno e violenza siano comuni tra gli adolescenti. Secondo una rilevazione di diregiovani.it, su 100 studenti e studentesse almeno la metà sostiene di aver assistito a fenomeni di bullismo o cyberbullismo e più di un terzo, soprattutto ragazze, confessa di averne subiti direttamente. Quasi un terzo dei giovani intervistati, inoltre, ammette di avere assunto comportamenti prevaricanti in modo involontario, cioè senza consapevolezza. Solo metà di loro, poi, dice di essere intervenuto in situazioni ritenute pericolose. È inoltre da notare come il giudizio di gravità dato allo scherno di una persona sui social o dal vivo sia pressoché equivalente: per l’86 per cento dei giovani prendere in giro qualcuno è sbagliato, sia che lo si faccia di persona sia che il commento arrivi in chat. Forma fisica e colore della pelle sono inoltre identificati come i principali fattori di derisione più comuni sfruttati da bulli e bulle.

Le nuove normative in discussione proprio in questi giorni istituiscono un numero verde per le vittime, 114, uno strumento in più per uscire da situazioni complicate. Una parte importante viene assegnata anche agli insegnanti, con la previsione di fondi per formare i docenti in materia di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo. Nel caso in cui il bullo sia un minore, ampio spazio viene dato alla rieducazione, mentre nei casi più gravi, se la permanenza con i genitori risulta controproducente e il bullo non modifica i propri comportamenti dopo un percorso specifico, è previsto anche l’allontanamento dalla famiglia e l’affidamento a una casa famiglia. Alcune scuole, come l’Istituto comprensivo Gaetano Donizetti di Pollena Trocchia, in provincia di Napoli, stanno sperimentando progetti che prevedono la presenza di uno psicologo a scuola per dare una mano ai ragazzi in difficoltà. Nel frattempo da un progetto di quattro atenei italiani è in arrivo «Bully-Buster», letteralmente «acchiappa bulli», una App e una mappa virtuale in cui poter annotare segnalazioni e interventi in tempo reale, una sorta di registro di classe che mette in rete e quindi condivide azioni di sospetto bullismo, profili delle persone ritenute più pericolose. Il sistema è in grado di incrociare e mettere in relazione tra loro diversi tipi di informazioni analizzate da giuristi, sociologi, psicologi con l’obiettivo di interpretare determinati comportamenti. Un modo per stanare i bulli con le loro stesse armi, vista la crescita del cyberbullismo. E per venire in soccorso di chi fatica a vivere, compromesso dall’arroganza di comportamenti troppo spesso finiti in tragedia. Ad aiutare, però, può essere anche lo sport. «Il calcio e lo sport in generale, soprattutto quelli di squadra, sono la salvezza di tanti perché ti permettono di esprimerti, di essere te stesso all’interno di un contesto in cui puoi mettere in pratica il divertimento – è la convinzione di Bonucci –. Se mio figlio mi parlasse di questo? Gli direi grazie, io non ne ho parlato. Da Viterbo a Milano ho avuto una reazione forte, poi è andata avanti per diversi anni. Era una città piccola, ti ritrovi nel libro. Lo ringrazierei del coraggio, poi cercherei di aiutarlo attraverso l’esperienza. Diventare grandi vuol dire essere esperti e gestire qualche situazione».

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