giovedì 13 novembre 2014
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Immaginate di essere davanti a un televisore in Veneto: oggi, premendo sul telecomando, si vede senza difficoltà Telechiara ma tra qualche settimana l’emittente potrebbe svanire. Se ci spostiamo a Livorno sono Canale 10 o Toscana Tv due delle stazioni che potrebbero fare la stessa fine: adesso si ricevono; il prossimo mese forse non più. Identica sorte a Bari per TeleDehon o Delta Tv: vanno in onda da anni, però hanno probabilmente i giorni contati. Telechiara, Canale 10, Toscana Tv, TeleDehon e Delta Tv sono cinque fra le oltre cento emittenti locali che rischiano di scomparire dagli schermi italiani. Entro la fine dell’anno dovranno liberare le settantasei frequenze che creano interferenze alle stazioni oltre confine e che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha inserito in una sorta di black list. Se non lo faranno volontariamente, scatterà il blocco dei trasmettitori. Una “teleghigliottina” che si abbatterà soltanto sulle locali a cui lo Stato ha assegnato da due anni i canali sotto accusa. Una delle situazioni più difficili è in Puglia. Secondo l’Agcom, le reti locali devono restituire dodici dei diciotto canali che hanno a disposizione. Siccome ogni frequenza può ospitare fino a cinque marchi che appaiono sullo schermo di casa, le tv in bilico raggiungono quota quaranta sulle cinquantotto che trasmettono. L’ipotesi di una mattanza dell’emittenza locale è entrata nel Consiglio regionale che ha approvato un ordine del giorno in cui si punta l’indice sulle «conseguenze disastrose» del provvedimento:  dalla «mancanza di pluralità dell’informazione» all’«azzeramento occupazionale dell’intero comparto».  In Puglia il taglio delle frequenze  è legato ai disturbi di ricezione che le tv causano sull’altra sponda dell’Adriatico. «Si tratta di una decisione che, per quanto giustificata da regole internazionali, va ripresa in esame – dichiara il presidente dell’assemblea regionale, Onofrio Introna –. Sono tante le nostre emittenti coinvolte e ancora di più i posti di lavoro a rischio di giornalisti, tecnici e ammini-strativi ». A fine ottobre è stato convocato a Bari un tavolo d’emergenza con parlamentari pugliesi, consiglieri regionali, presidente del Corecom, rappresentanti dell’Ordine dei giornalisti, sigle sindacali, editori locali. «Faremo quanto possibile per salvare antenne e impiego », afferma Introna. In campo sono già scese le emittenti, come dimostra la diretta a reti unificate su Amica 9 Tv, Canale 7, Studio 100, Telesveva e Tele Blu per contestare il black out.  Anche nel Nord Est la scure tv ha cifre preoccupanti. Le frequenze che dovranno essere spente sono nove in Friuli e otto in Veneto. Qui i canali delle locali fanno andare in tilt le reti di Slovenia  e Croazia. «È il solito pasticcio all’italiana – racconta Thomas Panto, editore di Antenna 3, a Il Gazzettino  –. Il guaio è stato combinato a livello ministeriale che ha concesso canali già attribuiti ai Paesi confinanti nel 2006. Così diverse emittenti locali hanno investito su frequenze “spazzatura”». Il direttore generale di Tva Vicenza e Telechiara, Claudio Cegalin, parla di un «danno, conteggiato a livello nazionale dalle emittenti, di non meno di 700 milioni di euro». Poi aggiunge: «Oggi l’unica certezza è che non ci sarà spazio per tutti nell’etere. Anzi in Veneto c’è soltanto una nuova frequenza “pulita”. Ma potrebbe aprirsi un pesante contenzioso». In Sicilia i canali interessati dalla revoca sono quattro. «Si prospetta un grave danno per le emittenti siciliane», scrive il capogruppo di Forza Italia all’Assemblea regionale, Marco Falcone, in un’interrogazione al governatore Rosario Crocetta. E chiede di «sollecitare un confronto per tutelare la libertà d’informazione». La dissolvenza a nero fa tremare anche Molise e Abruzzo dove i canali da lasciare sono dieci in ciascuna regione. Tv Centro Marche ha già ricevuto l’ordine di liberare la sua frequenza nelle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno. «L’abbandono per decreto di metà del territorio regionale avrebbe una ricaduta abnorme sui ricavi e sui 23 dipendenti, dei quali otto giornalisti», sostiene in una nota il Sindacato dei giornalisti marchigiani. E in Abruzzo Telemax ha denunciato nei suoi telegiornali il «rischio chiusura, alla faccia del pluralismo promesso con il costosissimo passaggio obbligato dallo Stato al digitale terrestre». L’ennesimo caos tutto italiano che, come spesso accade, si abbatte sui piccoli mentre non tocca i grandi (in questo caso, i network nazionali già messi al sicuro dal legislatore con frequenze inattaccabili).
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