venerdì 30 luglio 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
«La Mostra del Cinema di Venezia vorrebbe sempre più essere specchio dei tempi». E certo, dietro la speranza di Marco Müller (cioè del direttore del più prestigioso festival cinematografico italiano) c’è una possibile spiegazione dell’identità di questa edizione numero 66, al via da primo settembre. È segno dei tempi, ad esempio, «che l’età media dei partecipanti in concorso sia la più giovane mai registrata a Venezia: meno di 46 anni». E non tanto perché (come ne desume Müller) «il cinema sia arte viva e in continua crescita»; ma forse semplicemente perché è ormai orfana di grandi maestri. È segno dei tempi che la sezione Orizzonti «oggi riassuma in sé tante piccole sezioni collaterali, unendo fra loro pellicole diversissime per stile, formato, lunghezza»; così come lo è il fatto che «oggi molti registi superino gli steccati e non appartengano più ad un genere o ad un filone preciso»: quasi a visualizzare la confusione d’idee, l’aumento dell’incertezza in cui anche il cinema (come i tempi) si dibatte. Ed è poi certamente segno dei tempi (ma all’opposto) una straripante presenza di pellicole italiane, ben 41 (il doppio dell’anno scorso), che però ben poco ci sembra corrispondere – come invece pretenderebbe il direttore della Mostra – «ad una vitalità, ad un fermento del nostro cinema, che la Mostra fedelmente registra». E infine è ovvia conseguenza dei tempi la sobrietà cui il presidente della Biennale, Paolo Baratta, afferma essersi ispirato per l’odierna kermesse: «Useremo le scenografie, gli allestimenti, perfino la stessa grafica degli anni scorsi. E non ci sarà più la faraonica cena sulla spiaggia in occasione dell’apertura, ma un più contenuto rinfresco al coperto».IN PRIMA MONDIALE 79 FILMLa Mostra avrà «tre anime». «La vocazione a pantografare tutto ciò che di nuovo c’è a livello internazionale: ben 79 lungometraggi saranno in prima mondiale. Il rifiuto di dividere fra loro il cinema "alto" e quello "basso": le pellicole d’autore da quelle commerciali. Il rifiuto di ritenere contraddittoria la "commistione" stilistica e anagrafica delle scelte: un film spettacolare e "commerciale" come Detective Dee and the Mistery of Phantom Flame, del cinese Tsui Hark, una volta non sarebbe mai stato ammesso in concorso. Mentre nella solitamente giovane sezione Orizzonti, spicca una pellicola firmata da Manoel de Oliveira, "ragazzino" di 101 anni».IL CONCORSODopo Black Swan di Aronofsky, con Nathalie Portman e Winona Ryder, che aprirà la rassegna, i titoli in gara i più attesi sono Somewhere di Sofia Coppola (con Benicio Del Toro e, in piccole parti, le nostre Laura Chiatti e Simona Ventura), Potiche di Francois Ozon (con la Deneuve e Depardieu), Barney’s Version di Richard J. Lewis (con Dustin Hoffman) oltre, naturalmente, ai quattro italiani: La solitudine dei numeri primi (Saverio Costanzo), Noi credevamo (Mario Martone), La passione (Carlo Mazzacurati), La pecora nera (Ascanio Celestini).OMAGGI E SORPRESECome spesso, però, i titoli più stuzzicanti non saranno in gara: Machete di Rodriguez, con la strana coppia Robert De Niro e Steven Segal: la shakespiriana The tempest affidata ad Helen Mirren e Alfred Molina; l’opera seconda del divo Ben Affleck (The town), il già discusso Vallanzasca, di Michele Placido con Kim Rossi Stuart. Nonché le commemorazioni dedicate a Vittorio Gassman, nel decennale della scomparsa (Una vita da mattatore, di Scarchilli), a Bruce Lee, nel settantesimo della nascita (The return di Chen Zen), a Dennis Hopper, col restauro del suo poco noto The last movie, del 1971. Degni di nota paiono essere, inoltre, tre documentari, firmati Scorsese (su Elia Kazan), Tornatore (su Goffredo Lombardo), e Salvatores (sul 1960).IL NO DI CLOONEYGeorge Clooney ha detto no a Venezia. Voleva portare alla Mostra il suo The American girato in Abruzzo. A una condizione: che fosse il film d’apertura. Müller gli ha offerto un’altra collocazione e il divo ha rifiutato. A proposito di divi ospiti come sempre il direttore artistico non garantisce nulla in anticipo. «Teoricamente gli interpreti principali di tutti i film dovrebbero partecipare. Ma fino all’ultimo non si saprà chi sfilerà sul tappeto rosso». Certo: l’assenza di un filmone a grande impatto spettacolare o divistico, e il Leone d’Oro alla carriera ad un professionista sofisticato come John Woo, non sembra promettere scintille particolarmente mondane.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: