venerdì 21 aprile 2023
Nel Settecento il monarca bibliofilo Giovanni V avvia un programma di infrastrutture culturali per diffondere nel Paese l’Illuminismo cattolico
La biblioteca del Palazzo di Mafra

La biblioteca del Palazzo di Mafra - Massimo Listri

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Le biblioteche storiche sono luoghi magnetici e insieme carichi di sapere “inutile”: troppo fragile se prezioso, superato dai capricci del gusto e dalle vertiginose trasformazioni epistemologiche del Novecento in tutte le discipline. È come se i singoli libri in esse contenuti siano corpi caduti in un lungo sonno perché l’interesse pratico nei loro confronti è da tempo scemato. Prese però nella loro complessità la loro forza è persino cresciuta. Nel loro desiderio di trasmettere il mondo al futuro nel ritratto che esso stesso ha voluto dare di sé, le biblioteche sono l’immagine precisa di un tempo per noi ormai sfocato. È così per le straordinarie biblioteche settecentesche del Portogallo. Poco note – e non solo al grande pubblico – rispetto alle biblioteche italiane di epoca umanistica e rinascimentale o alle grandi biblioteche abbaziali del barocco mitteleuropeo, quelle lusitane sono di assoluto rilievo. È un patrimonio che molto ha sofferto, prima per il terremoto che nel 1755 rase al suolo Lisbona, poi nel 1834 con la soppressione degli ordini religiosi che ha prodotto dispersioni e distruzione in tutto il Paese. È una storia, culturale e monumentale, a cui rende giustizia In nome del libro. La gloria delle biblioteche di qua e di là dal mare, edito da Franco Maria Ricci in collaborazione con la Champalimaud Foundation (pagine 168, euro 75,00), con testi di Stefano Salis e Alberto Manguel, un saggio dello storico dell’arte António Filipe Pimentel e le fotografie di Massimo Listri (che documentano anche molte altre “librerie” europee).

Il Settecento è d’altronde il secolo d’oro delle biblioteche, che acquisiscono una inedita dimensione monumentale, legata anche alla maturazione, sia in termini produttivi che distributivi, dell’editoria. Basti pensare che nel 1513 la biblioteca universitaria di Lisbona (trasferita a Coimbra nel 1537) possedeva 128 volumi in 24 scaffali: una situazione “medievale”. Allo sviluppo delle biblioteche monumentali diedero un contributo determinante gli ordini religiosi, tornati a una vocazione che li aveva contrassegnati alle origini. Ma in Portogallo c’è una condizione particolare e inedita altrove, dovuta all’ascesa al trono nel 1706 di Giovanni V di Braganza, monarca bibliofilo. La biblioteca reale con lui prolifera in modo persino convulso. Fino alla sua morte nel 1750 i fondi librari, anche grazie a una estesa rete diplomatica, non avrebbero cessato di aumentare, arrivando a contare 70mila volumi oltre a un fondo musicale, mappe, stampe, medaglie, strumenti scientifici, orologi e mirabilia dall’impero portoghese.

Il Gabinetto reale di lettura di Rio de Janeiro

Il Gabinetto reale di lettura di Rio de Janeiro - Massimo Listri

La loro disposizione creò problemi di ordine logistico e ingegneristico: divenuta una delle più grandi d’Europa, la biblioteca avrebbe finito per colonizzare parti del palazzo reale a Lisbona. Giovanni V morì in tempo per non vederla distrutta dal sisma. In parte ricostituita nella componente libraria da Giuseppe I, andò in esilio in Brasile insieme alla corte dopo l’invasione francese nel 1807. Sarebbe in parte tornata in patria nel 1821, ma a Rio restarono 60mila volumi, divenuti nucleo originale del fondo storico della Biblioteca nazionale brasiliana. Soprattutto, alla bibliofilia Giovanni V diede un impianto politico. È lui a finanziare la nuova biblioteca universitaria di Coimbra, quella di Mafra e del palazzo delle Necessidades, a Lisbona. Si tratta di un complesso sistema di infrastrutture culturali comprensibile, scrive Pimentel, «solo nel quadro dell’Illuminismo cattolico e nel quale, attraverso l’importanza accordata alla filosofia sperimentale nell’allestimento di quelle biblioteche, si cercava di concretizzare l’ideale sincretico di armonia tra ragione e religione, come avrebbe sintetizzato in modo esemplare nell’opera omonima il padre oratoriano Teodoro de Almeida».

Quella di Coimbra si inseriva in un edificio antico di 700 anni, ormai privo di una sala adeguata allo scopo. Nel 1716 i gesuiti chiesero a Giovanni V l’autorizzazione per un ampliamento. Il re andò ben oltre e diede vita a quella che sarebbe diventata nota come “Biblioteca Joanina”, ammirata e descritta dai viaggiatori come la “più fastosa mai vista”. La casa da livraria si sviluppò in verticale, sfruttando un dislivello tra corti: al pia-no terra i magazzini, un piano intermedio con gli studi dei professori, quindi le sale pubbliche al livello del cortile superiore. Costruzione, decorazione, boiserie e arredi sono «esempio insuperabile del barocco europeo e in particolare di quella che chiamiamo arte delle biblioteche, nonché senza dubbio una delle più sontuose mai ideate, la casa da livraria sarebbe diventata la Biblioteca universitaria per antonomasia». Le tre sale, rivestite da altissime scaffalature e di colore diverso per ogni ambiente, sono concatenate attraverso una serie di tre portali che inquadrano, come una pala d’altare, il ritratto del re. Giovanni non si limita a dotare Coimbra di una biblioteca magnifica e tecnicamente all’avanguardia ma coglie l’occasione per una ristrutturazione più profonda, facendone il perno del programma reale di rinnovamento.

Alla riorganizzazione e al progetto epistemologico partecipano personaggi chiave per il processo di penetrazione dell’Illuminismo in Portogallo, tra cui il primo ministro e cardinale João da Mota, il diplomatico Luís da Cunha, i medici ebrei Jacob de Castro Sarmento e António Nunes Ribeiro Sanches. L’impatto estetico è, dunque, politico. Il re smonta la radice medievale dell’università, che viene di fatto esautorata al cuore, e la proietta nello spazio dell’eloquenza barocca. Scrive Pimentel: «Questa sarà la missione della biblioteca: imporre sotto il sigillo incontestabile del potere reale alla vecchia università, trincerata nel suo discorso scolastico appoggiato sulla matrice cattolica e controriformista del sistema, una nuova oratio sapientiae, grandiosa e travolgente, ma soprattutto in grado di dimostrare l’ambita armonia tra ragione e religione ». In questo senso la livraria come emanazione reale è una “biblioteca parlante” in linea con quelle sorte in Germania meridionale e Austria «in un quadro in cui la distribuzione geografica corrisponde all’area di influenza del cosiddetto Illuminismo cattolico», di cui Coimbra «rappresenta un esempio perfettissimo e precoce allo stesso tempo».

Parallelamente Giovanni porta avanti i progetti della reggia di Mafra e del Palácio das Necessidades. La prima, a una quarantina di chilometri da Lisbona, appare oggi come un capolavoro ideologico della teologia politica dell’antico regime. Esteso su 40mila metri quadrati (ottenuti anche sbancando un monte) il palazzo di Mafra è una fusione di Versailles ed Escorial, lussuosa residenza reale e pauperista convento francescano per 300 frati, con una chiesa “alla romana” incastonata nel mezzo. Sul lato opposto, in asse con la chiesa e alla congiuntura tra gli appartamenti del re e della regina (con una precisa disposizione simbolica), è collocata una biblioteca lunga 85 metri, larga 9 e alta 13. Anche Mafra è nell’idea di Giovanni V una “università di tutte le scienze”, dove si insegna logica, fisica, matematica, morale, teologia ma anche musica. L’aspetto attuale, elegantissimo e meravigliosamente chiaro, della sala è dovuto ai Canonici regolari di Sant’Agostino che nel 1772 sostituirono i francescani. La terza testa di ponte con cui Giovanni V cercò di aggirare l’immobilismo delle università gesuite è il Palácio das Necessidades, a Lisbona.

Nel 1742, a causa della salute declinante, si affidò alla protezione della Madonna delle necessità, venerata in una cappella alla quale furono affiancati un palazzo e un ospizio affidati ai padri oratoriani. La congregazione, ricevendo la donazione, si impegnava a “insegnare teologia speculativa e qualsiasi altra facoltà”. I sacerdoti di san Filippo Neri avviarono un corso di fisica sperimentale e una moderna Casa dos Instrumentos Matematicos, in cui un nuovo metodo pedagogico combinava Aristotele con Cartesio e Newton. Della sala originale, che ospitava 30mila volumi, non resta nulla se non il portale. Il volume si spinge oltre l’età joanina, alle riforme del marchese di Pombal, ma soprattutto oltremare, fino al Real Gabinete Português de Leitura di Rio de Janeiro: progettato nel 1880 (quarto centenario della morte del poeta Luís de Camões) in uno stile neogotico ispirato all’architettura manuelina, è un luogo che cristallizza nella saudade il legame con il Portogallo.

La “biblioteca joanina” dell’università di Coimbra, con il ritratto di Giovanni V, re di Portogallo

La “biblioteca joanina” dell’università di Coimbra, con il ritratto di Giovanni V, re di Portogallo - Massimo Listri

Le biblioteche portoghesi fotografano un momento importante e poco conosciuto del rapporto tra cattolicesimo e modernità, non privo di contraddizioni eppure denso di prospettive, travolto e frustrato dal fondamentalismo del polo laico del movimento illuminista. Difficile dire cosa sarebbe potuto davvero accadere. Troppo forti forse le resistenze, troppo sclerotizzati i legami. È certo però che la fine dell’antico regime e la secolarizzazione violenta abbiano generato per reazione il sospetto fino al rigetto da parte della Chiesa delle istanze della modernità (esterne e interne). L’esito fu una guerra civile culturale tra mondo cattolico e mondo laico. Un trauma epocale chiusosi sulla carta con il Vaticano II ma ancora molto radicato in non poche né piccole sacche che faticano a prendere coscienza che “non siamo più nella cristianità”, come ricorda papa Francesco. A distanza di tre secoli, però, il caso delle biblioteche lusitane indica nell’investimento strutturale nella cultura e nell’educazione la via per il cristianesimo per elaborare gli strumenti necessari a capire, vivere e non subire il cambiamento d’epoca.

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