La mostra (Re)Versus nella Biblioteca Apostolica Vaticana - Giorgio Benni / Biblioteca Apostolica Vaticana
C’è un libro vietnamita che nasconde nella copertina di lacca rossa un manoscritto cinese. C’è una pergamena riscritta tre volte in tre lingue diverse. C’è una legatura realizzata con frammenti di un manoscritto vergato in Mesopotamia nel XV secolo e ci sono rotoli magici etiopi. E accanto opere d’arte con frammenti di tessuti liturgici sospesi al telaio, damaschi e brandelli di stoffa ritrovati e rivificati. È come una matrioska di storie la mostra “(Re)versvs” che fino al 15 luglio nella Biblioteca Apostolica Vaticana accosta occasioni di “riuso e riscatto” dal patrimonio della libreria papale e nell’arte di Sidival Fila.
Curata da don Giacomo Cardinali, Simona De Crescenzo e Delio Proverbio, tutti parte dello staff della Biblioteca Vaticana, è la quarta tappa di un percorso che vede l’arte contemporanea entrare in dialogo con un patrimonio librario tra i più ricchi al mondo. «L’idea di fondo – spiega don Cardinali, che è anche Commissario dello Spazio Espositivo – è metterci a confronto con una figura che sia totalmente estranea all’ambito degli studi, individuare interlocutori che provengano dal mondo contemporaneo. In quest’ultimo caso abbiamo deciso di lavorare con Sidival Fila, artista francescano, perché ci interessa il lavoro sul riscatto. Lui non ama la categoria del riuso, che ha una prospettiva utilitaristica. Preferisce invece quella del riscatto del frammento in se stesso». Attraverso un paziente e prezioso lavoro di cucitura Fila “incastona” tessuti antichi, preziosi o privi di pregio, tutti residui, tutti scarti che vengono riconosciuti nel loro singolare valore di esistenza e di resistenza.
La mostra (Re)Versus nella Biblioteca Apostolica Vaticana - Giorgio Benni / Biblioteca Apostolica Vaticana
A partire dall’opera di Fila, prosegue don Cardinali, «ci siamo chiesti cosa significhi riuso e riscatto in biblioteca. Il riuso nella storia del libro è legato alle pratiche del restauro e quindi dura fino al XIX e primi XX, quando con la nascita della teoria del restauro moderno viene abbandonato. Ogni caso di riuso comporta il sacrificio di qualche cosa. Ma è anche vero che attraverso il sacrificio si sono conservate parti del patrimonio che altrimenti sarebbero andate perdute. La loro distruzione parziale è stata la loro sopravvivenza». L’arco cronologico è molto ampio, «si va dal VI al XIX secolo, passando per Europa, Medio Oriente, Vietnam. Scoprendo così come la pratica del riuso sia diffusa a tutte le latitudini».
Tra i casi più antichi ci sono i palinsesti: codici le cui pergamene, a causa dell’alto costo o della carenza di materiale, sono state raschiate per essere riscritte. «In mostra c’è un manoscritto che nella versione più antica in siriaco risale al VI secolo, poi nel tempo riscritto in greco e quindi in georgiano». È il codice Vat. iber 4, che nelle scorse settimane ha fatto parlare di sé per la scoperta di un rarissimo frammento in siriaco del Vangelo di Matteo. La lettura è stata resa possibile dalla digitalizzazione dei manoscritti della Vaticana. « I palinsesti sono relativamente frequenti, la loro conoscenza è antica e hanno rappresentato un punto di svolta nella storia della cultura. Il caso più celebre è quello di Angelo Mai, ma già dal ‘500 gli umanisti usavano reagenti chimici». Marcello Cervini, cardinale bibliotecario e poi divenuto papa per 22 giorni con il nome di Marcello II (è lui il pontefice della palestrinana Missa papae Marcelli) «fu il primo a sperimentare sui mano-scritti l’uso dei reagenti, facendo distillare foglie di scotano, il cui alto tasso di tannino faceva riaffiorare la scrittura. Usato fino al Novecento, il sistema chimico aveva l’enorme svantaggio di compromettere l’integrità del libro. Ora invece, grazie al laboratorio fotografico della Biblioteca Vaticana, possiamo giovarci della tecnologia multispettrale, che fa emergere tutti gli stati precedenti senza toccare il manufatto». E le scoperte continuano: «Il caso più eclatante, ancora in corso di ricerca, riguarda i frammenti di una commedia sconosciuta di Menandro, il commediografo greco più importante dopo Aristofane».
In mostra c’è ad esempio la storia di un libro a stampa della seconda metà del ‘500 con la classica copertina in pergamena: «Da una lacerazione si è visto che il rinforzo era stato fatto con un manoscritto greco. Studiandolo si è scoperto che si tratta di testi medici greci copiati in Calabria attorno al X secolo. La cosa eclatante è che si tratta dell’unica testimonianza che questi scritti fossero copiati e studiati in Italia meridionale nel periodo medievale». Oppure il caso del “collezionista furioso” marchese Capponi, funzionario nel Vaticano del XVIII secolo dedito alla raccolta di libri e antichità. «Il marchese per 40 anni ha tenuto un diario in cui ha documentato ogni cosa, anche gli interventi conservativi e così è stato possibile recuperare storie di riuso. Ma anche la volta in cui si era recato in una bottega romana per comprare della stoffa. Tornato a casa si accorge che per imballarla era stata usata una pagina a stampa, da un volume di fine Seicento. Tornato dal negoziante scopre che il retrobottega era pieno di libri invenduti». Spicca poi la storia delle carte provenienti dalla collezione di Mario Marega, missionario salesiano in Giappone a cavallo della Seconda guerra mondiale. «Un giorno vede dei ragazzini giocare con un pallone di carta straccia e scopre che sono manoscritti medievali. Scopre che provengono dagli archivi di un castello abbandonato e mette tutto in salvo».
La mostra (Re)Versus nella Biblioteca Apostolica Vaticana - Giorgio Benni / Biblioteca Apostolica Vaticana
Una sezione è dedicata al materiale numismatico: «Esiste il riuso devozionale: prendo una moneta che su una faccia ha una scena sacra e diventa medaglietta. C’è il riuso scaramantico e superstizioso: la spada della salute cinese diventata amuleto. C’è il riuso artistico e decorativo all’interno di gioielli. E c’è il riuso nel caso di assedio, quando serve urgentemente denaro liquido per pagare truppe e riscatti. In mostra abbiamo le monete coniate in fretta e furia nel 1527 fondendo metalli per liberare Clemente VII durante il Sacco di Roma».
L’ingresso dell’arte contemporanea, osserva don Cardinali, ha rivoluzionato la vita della Biblioteca: «È cambiato il modo di pensare il lavoro. Il contatto con gli artisti ha radicalmente cambiato la prospettiva sul patrimonio e su noi stessi. Quando l’artista viene in Biblioteca comincia un dialogo che cambia il modo di guardare le cose. E ci porta a fare scoperte. Con la mostra precedente grazie all'artista e graphic designer olandese Irma Boom abbiamo scoperto di possedere 400 volumi futuristi di cui nessuno sospettava l’esistenza. I primi a esserne stupiti sono stati gli esperti. Abbiamo appurato che furono raccolti da don Giuseppe De Luca, del quale nessuno aveva mai colto il legame col futurismo. Gli artisti sono per noi una risorsa e un enorme divertimento. È uno scossone culturale e concreto». Proprio come questa mostra ribalta il modo i cui si guardano i libri, oltre il testo, testimoniando così la vitalità del patrimonio ma anche del presente di una istituzione non di rado percepita dall’esterno sì come gloriosa ma forse anche veneranda: «È uno dei risultati che ci rende più contenti. Fa arrivare fuori la vivacità del lavoro che si fa qui. La biblioteca non è un posto immobile, le scoperte sono all’ordine del giorno. Da ogni visita nei depositi si torna con spunti nuovi e inattesi. Il libro è un oggetto assai meno statico di quanto si pensi».