martedì 6 settembre 2016
Da Helsinki al Kansas, così la biblioteca cambia pelle
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«Il destino delle repubbliche libere, aperte e bene informate, potrebbe dipendere dal futuro delle biblioteche». E non necessariamente dalle biblioteche digitali. A sostenerlo non è certo un apocalittico tecnofobo. È invece John Palfrey, autore del recente Bibliotech. Perché le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di Google (Editrice Bibliografica, pagine 248, euro 25,90). Di formazione giurista e oggi responsabile della Harvard Law School Library, nel 2010 Palfrey riceve l’incarico di allestire la Digital Public Library of America vale a dire la prima biblioteca nazionale statunitense interamente digitale. Il progetto servirebbe a contrastare le ambizioni di Google Books e a evitare che la custodia della cultura possa finire esclusivamente in mano ai privati con esiti, secondo lui, esiziali per le democrazie.  Per il bibliotecario di Harvard il sapere accessibile e condiviso, favorito dalle biblioteche pubbliche, ha uno scopo marcatamente politico. Rafforza le democrazie e promuove partecipazione e cittadinanza attiva di donne e uomini. Purtroppo oggigiorno sempre più a prevalere è l’idea che le biblioteche siano uno spreco di denaro pubblico. Soprattutto in tempi di crisi. Se una volta avevano un senso, si pensa, ora quegli enormi edifici rischiano di diventare esosi. Ormai libri e testi si consultano online e non tra polverosi scaffali. Le informazioni sono a portata di tablet e smartphone. Risparmiamo pure su bibliotecari e archivisti, dunque, che tanto qualsiasi classico è a un tocco di click. Così almeno suona la vulgata. Ma il problema va ben al di là della valutazione contabile. In gioco c’è la vita politica democratica e repubblicana. Pertanto  le biblioteche devono sopravvivere. Ma possono farlo solo trasformandosi. Per scongiurare la loro scomparsa occorre che rovescino la propria prospettiva e non considerarsi solo depositi di testi. Devono diventare ambienti creatori di cultura e di apprendimento. «Tuttavia – ammonisce il bibliotecario di Harvard – per salvarsi non possono limitarsi a fornire servizi già erogati in altri luoghi pubblici ». Spetterà a loro riscoprire il ruolo che hanno avuto fin dall’inizio dell’Ottocento: non luoghi per chierici ma laboratori di cittadinanza. Per ritrovarsi alle biblioteche tocca inventarsi la convivenza fra ambiente fisico e digitale, fra spazi di divertimento e spazi di apprendimento come succede alla Library 10 di Helsinki. Lì, grazie all’intraprendenza del bibliotecario Kari Lämsä, oltre a quelli tradizionali ci sono spazi per creare e registrare musica, corsi per impiegare le stampanti 3D e molto altro. Insomma Library 10 ha cambiato volto diventando un maker place dove le competenze artigiane e intellettuali del XXI si tramandano e consolidano. Non da sola però in questa avventura. Innovative sono la Johnson County Central Resource Library in Kansas o i centri YouMedia. E così molte biblioteche italiane. La sfida da lanciare è alta. «Né l’analogico né il digitale da soli – sostiene Palfrey – sono infatti sufficienti per la vita culturale e intellettuale. Oggi le persone si allontanano dagli oggetti fisici per scoprire nuovi veicoli di informazioni. Ma il bisogno di interazione umana, di umanità nel senso più ampio, non è mai stato tanto grande». Alle biblioteche fisiche tocca evitare che la fruizione digitale dei contenuti porti a una ulteriore privatizzazione e individualizzazione delle vite. Compito quanto mai titanico: rinforzare e veicolare nuovi modelli di socializzazione. «Le biblioteche – continua Palfrey – mettono a disposizione uno spazio ai cittadini più avanti con l’età per leggere i periodici che non possono permettersi di acquistare da soli, per socializzare con altri lettori, per imparare a utilizzare i computer, tutte esperienze sociali, culturali e di apprendimento». Offrono insomma gli spazi pubblici che il web rischia di dissolvere. Nelle sale di lettura la gente ha l’occasione di riunirsi, di condividere il proprio patrimonio scientifico e culturale comune e soprattutto di creare conoscenza. In queste nuove agorà la gente potrà avviare quei percorsi di apprendimento e creazione del legame sociale diventati desueti nei contesti digitali. Le biblioteche quindi sono molto più che centri di aggregazione per le comunità, proprio come i bibliotecari fanno molto più che rispondere alle domande che si rivolgono a Google. Da quando nell’Ottocento cominciano a diffondersi le biblioteche pubbliche, diocesane, civiche o statali in Europa o filantropiche negli Stati Uniti, l’istituzione bibliotecaria è un pilastro fondamentale per il successo della democrazia. «Le biblioteche pubbliche – conclude Palfrey – danno accesso alle abilità e alle conoscenze necessarie per adempiere al nostro ruolo di cittadini attivi. Sono essenziali per offrire a tutti uguali opportunità all’interno della società. Finché nella maggior parte delle comunità esiste una biblioteca dotata di bibliotecari formati e aggiornati, l’accesso alla cultura condivisa non è determinata da quanto denaro si ha in tasca».
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