venerdì 21 luglio 2023
Con “La colpa di Epimeteo” prende il via la traduzione dell’opera capitale del pensatore francese: attraverso le protesi tecniche l’uomo non si estranea dalla natura ma vi si immerge ancora di più
Il filosofo francese Bernard Stiegler (1952-2020)

Il filosofo francese Bernard Stiegler (1952-2020) - archivio

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«L’uomo è privo di qualità, non è predestinato: deve inventare, realizzare, produrre qualità che, una volta prodotte, nulla indica che diventeranno sue, anziché della tecnica». Nella distribuzione delle qualità e delle capacità alle varie specie viventi, stando al mito greco riportato da Platone, Epimeteo si scorda degli uomini lasciandoli nudi, privi di qualsiasi qualità e talento proprio indispensabile per sopravvivere. Sta qui La colpa di Epimeteo (pagine 336, euro 32,00), come si intitola il primo dei tre volumi dell’imponente Il tempo e la tecnica realizzato da Bernard Stiegler (1952-2020) e tutti in corso di pubblicazione grazie alla meritoria iniziativa della Luiss University Press. L’uscita in libreria della prima parte della trilogia colma un ritardo di quasi trent’anni rispetto all’originaria edizione francese consentendo, almeno in parte, al lettore italiano di avvicinarsi a una delle imprese filosofiche di maggiore rilievo e fascino degli ultimi decenni.

Non potrà però saggiarne l’intera portata, dal momento che il progetto filosofico del pensatore francese avrebbe dovuto concludersi con gli ultimi quattro volumi previsti, oramai irrealizzabili in seguito alla scomparsa prematura di Stiegler. Alla originaria Colpa di Epimeteo risponde, per rimediarne le conseguenze, il fratello «Prometeo che ruba a Efesto e ad Atena il sapere tecnico e con esso il fuoco», senza il quale quel sapere sarebbe stato inutilizzabile. «Gli uomini sarebbero, dunque, i dimenticati - ammonisce Stiegler -. Arriverebbero solo attraverso il loro oblio: apparirebbero solo scomparendo». E apparirebbero solo insieme alla tecnica, che, pertanto, non può intendersi alla stregua di un semplice strumento da usare, perché permetterebbe agli uomini di essere nel mondo.

Lo sforzo intrapreso dal pensatore francese è imponente. Egli prova a porre al centro della sua attenzione quanto rimosso dalla tradizione di pensiero europeo fin dalle sue origini, vale a dire la tecnica. Questa rimozione non deriverebbe da una distrazione o da negligenza ma, riportando le parole di Paolo Vignola, autore della perspicua introduzione capace di abbracciare l’intero cammino di pensiero di Bernard Stiegler, da una decisione consapevole. «Se la tecnica è l’impensato della filosofia - precisa Vignola - è perché la filosofia, fin dal suo principio platonico e per combattere la strumentazione del logos da parte dei sofisti, ha separato la téchne dall’episteme e ha relegato la tecnica a mero mezzo in vista di fini prestabiliti». A fronte della tradizione filosofica, Stiegler tenta di porre rimedio a questa situazione intraprendendo un percorso che parte da una inedita storia dell’ominazione, elaborata a partire dalle riflessione di uno dei grandi paleoantropologi del Novecento, André Leroi-Gourhan, e alternativa sia ai determinismi biologici e tecnologici sia al culturalismo rampante.

Oggi più che mai l’esercizio di pensiero dovrebbe prendere le mosse dal lavoro di Stiegler. Al tempo degli smartphone, dell’intelligenza artificiale, dell’estendersi della digitalizzazione a tutti i processi in atto non vale abbandonarsi a facili entusiasmi o ad altrettante facili paure. È il momento di compiere uno sforzo che si faccia carico, senza infingimenti romantici, del ruolo ricoperto dalla tecnica per l’uomo nel corso dei millenni. O, detto in maniera più marcata, il ruolo che essa ha recitato nel processo di ominazione. Senza affrontare questo nodo «la crisi del tempo - sottolinea Stiegler - diventerà tanto più paradossale quanto l’imminenza di un’impossibilità futura che non è mai parsa così grande». Portare la tecnica al centro del pensiero equivale a riconoscere che, nei confronti dell’uomo, essa può svolgere un ruolo “costituente” per farlo diventare tale, come è avvenuto ai tempi dell’ominazione, o “destituente” privandolo di se stesso, come minaccia di farlo al tempo della “società automatica”, per riprendere il titolo di un libro più recente del filosofo d’Oltralpe.

Stiegler cerca di chiarire, a partire da questo suo primo lavoro, il modo in cui la storia dell’uomo sia legata alla storia delle sue protesi tecniche, interrogandosi sulla misura in cui questi organi esteriori, dal primo frammento di selce intagliata fino agli attuali sistemi di produzione iperindustriale, siano distinguibili da ciò che chiamiamo “umano”. Nel corso della sua riflessione giunge al punto di identificare un movimento biunivoco tra l’uomo e la protesi tecnica, che rende complicato distinguere se faccia la sua comparsa prima uno e poi l’altra. Quanto accade da questa stretta dipendenza dell’uomo e della tecnica, e quindi dalla organizzazione umana della materia inorganica, è un processo di esteriorizzazione di sé che proietta l’uomo in una nuova dimensione, e in particolare in una dimensione storica, con un suo passato e un suo futuro.

Attraverso l’esteriorizzazione di sé tramite le protesi tecniche l’uomo non si estranea dalla natura ma da un lato vi si immerge ancora più profondamente e dall’altro, avvalendosi della “materia inorganica organizzata”, si dissocia dal programma genetico che condiziona l’evoluzione della nostra specie. Infatti la selce lavorata diventa un supporto di memoria, una registrazione dell’esperienza passata che può essere trasmessa di generazione in generazione, aprendo alla possibilità di “biforcare” rispetto ai determinismi genetici e a quelli tecnici oggi tanto pregnanti.

Questo primo volume consente non solo di accogliere in maniera più consapevole il percorso successivo della riflessione di Bernard Stiegler volto a fare fronte alle conseguenze destituenti dell’umano alimentate dalla società automatica attuale. Ma anche di neutralizzarne alcune tossicità nelle quali l’uomo si ritrova irretito, coltivando delle iniziative promosse dallo stesso Stiegler negli ultimi anni grazie all’ideazione di progetti territoriali e piattaforme digitali che rimettono nelle mani dell’uomo la possibilità di deviare dal fatalismo algoritmicamente calcolabile dalle macchine.

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