venerdì 21 febbraio 2020
Il film “My Salinger Year” del canadese Philippe Falardeau con Margaret Qualley e Sigourney Weaver ha inaugurato il Festival. Il regista: «Due donne che cercano di trasformare i desideri in realtà»
Una scena del film di apertura a Berlino “My Salinger Year” di Philippe Falardeau

Una scena del film di apertura a Berlino “My Salinger Year” di Philippe Falardeau

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Si è aperta all’insegna della commedia la 70ª edizione del Festival di Berlino – la prima diretta da Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek – che nei prossimi giorni però affronterà temi tutt’altro che leggeri. Il film chiamato a inaugurare la kermesse cinematografica tedesca è infatti My Salinger Year, interpretato da Margaret Qualley, Sigourney Weaver, Douglas Booth, Seána Kerslake, Brían F. O’Byrne e diretto dal canadese Philippe Falardeau a partire dal romanzo autobiografico di Joanna Rakoff (edito in Italia da Neri Pozza). È la storia di una giovane donna che negli anni Novanta si trasferisce a New York (ma le riprese sono state fatte a Montreal) per diventare una poetessa, ma in attesa di realizzare il suo sogno diventa l’assistente di Margareth, carismatica leader di un’agenzia letteraria che in passato ha rappresentato icone come Agatha Christie, F. Scott Fitzgerald e Dylan Thomas e ora ruota intorno a un autore di culto, J.D. Salinger, i cui romanzi hanno cambiato la vita di molti lettori e che ora vive come un eremita. Il suo compito è quello di passare in rassegna l’enorme mole di lettere indirizzate al romanziere da tutto il mondo. Ma davanti alle parole emozionate dei fan, avviene un piccolo miracolo, Joanna si rifiuta di rispondere con l’impersonale lettera standard imposta dall’agenzia. E così, di nascosto dagli occhi severi di Margaret, la ragazza comincia a personalizzare le risposte con conseguenze imprevedibili. Qui Joanna fa anche i conti con le proprie ambizioni, con la bizzarra personalità del suo capo, una donna forte e sicura di sé, decisa a tenersi alla larga dalle nuove tecnologie, computer compresi, e con una nuova incerta storia d’amore. Se questa storia vi ricorda qualcosa è perché assomiglia moltissimo, decisamente troppo, a quella de Il diavolo veste Prada, solo che invece di essere ambientato nel mondo della moda esplora quello della letteratura. Falardeau, candidato all’Oscar nel 2011 con Monsieur Lazhar, sorvola volutamente sull’evidentissima similitudine e racconta: «Quando ho letto le memorie di Joanna ho deciso subito che ne avrei fatto un film perché per la prima volta nella mia carriera avrei messo al centro della storia una donna e il suo punto di vista. Anzi, in My Salinger Year si confrontano due donne appartenenti a diverse generazioni, entrambe impegnate a fare i conti con le proprie ambizioni, desideri e paure. Ma nel percorso umano ed emotivo di Joanna che cerca il modo per trasformare in realtà i propri desideri può identificarsi chiunque».

«Con il suo testardo rifiuto della tecnologia – dice la Weaver, indimenticabile Ellen Ripley in Alien – Margareth si rende a volte ridicola anche agli occhi dei suoi collaboratori, ma lei non si percepisce così. Più che un dinosauro si vede come la devota vestale di un mondo letterario che sta scomparendo, ma che nella New York di quegli anni esisteva ancora e che lei protegge con fierezza dal suo ufficio». «Gli anni Novanta sono interessanti – dice ancora il regista – perché è in quel momento che è cominciato il cambiamento ancora in corso. Margareth crede in un mondo non ancora ingoiato da Internet, dove le persone per comunicare devono telefonarsi o incontrarsi. E in quegli anni è nata la consapevolezza che le parole valgono e pesano sempre di più».

Oltre alla giovane Margaret Qualley, che abbiamo visto anche in C’era una volta a… Hollywood, a Berlino è venuta per accompagnare il film anche la vera Joanna Rakoff che racconta con molto affetto e divertimento quegli anni di formazione, dove rompere le regole faceva parte del gioco e diventava parte integrante del processo di crescita. «Alcuni episodi nel film sono state un po’ romanzati – dice la scrittrice –, ma quel piccolo gesto di disobbedienza che vedrete alla fine e che avrebbe potuto costarmi il licenziamento è realmente accaduto. In fondo My Salinger Year è anche una riflessione su come l’arte può cambiare per sempre la vita delle persone».

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