martedì 4 gennaio 2011
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«Le mie riflessioni mi hanno portato sempre più vicino al cattolicesimo dove vedo il completamento dell’ebraismo. Io mi sarei convertito, se non avessi visto prepararsi da diversi anni la formidabile ondata di antisemitismo, che va dilagando sul mondo. Ho voluto restare tra coloro che domani saranno dei perseguitati». Fu il testamento redatto quattro anni prima della sua morte, avvenuta il 4 gennaio di settant’anni fa, dal grande filosofo e massimo esponente dello spiritualismo, il francese, di origini ebraiche, Henri Bergson (1859-1941). Per sua richiesta, sarà un prete cattolico a recitare le preghiere al suo funerale.Un pensatore che inciderà, attraverso i suoi studi e la sua ricerca filosofica, su importanti personaggi del cattolicesimo francese – solo per citarne alcuni – da Jean Guitton, ai coniugi Jacques e Raïssa Maritain, fino ai gesuiti Pierre Teilhard de Chardin e Auguste Valensin e al grande domenicano, esponente del neotomismo, Antonin-Dalmace Sertillanges.Nel 1927 (un anno dopo Grazia Deledda) gli verrà assegnato, tra l’altro, il premio Nobel per la letteratura per i suoi saggi filosofici. Un’eredità, quella di Bergson, sempre viva a 70 anni dalla sua morte grazie ai suoi scritti, sempre al centro di grandi discussioni accademiche ancora oggi, come Materia e memoria (1896), L’evoluzione creatrice (1907) o Le due fonti della morale e della religione (1932).«È il grande rimosso della filosofia contemporanea – rivela Vittorio Mathieu, già professore di Filosofia morale all’università di Torino e autore di un testo che fece epoca Bergson. Il profondo e la sua espressione (Torino 1954) –. Il suo più grande contributo è stato quello di aver tentato di creare un’alleanza tra scienze biologiche e metafisica». Il professor Mathieu in particolare rievoca di Bergson la sua attenzione alle leggi della fisica e della meccanica, la sua concezione del tempo e della relatività rispetto a quella enunciata da Einstein: «Da buon seguace di Spencer ha cercato di dare una spiegazione al principio della relatività di Einstein. Il suo saggio verrà poi ritirato, per sua richiesta, ma questo non nasconde il suo tentativo di dare una risposta, in chiave filosofica, a questa impellente questione».E proprio sul rapporto tra filosofia e scienza, l’anziano accademico torinese, aggiunge un particolare: «Bergson non è mai stato ossessionato dal possibile contrasto tra tecnologia e filosofia come invece accadrà a Martin Heidegger e oggi a Severino. La tecnica per lui non è mai chiamata a sopprimere l’anima. Si spiega così il filo rosso ideale che lo riporta al pensiero di Plotino, al trascendente e alla loro comune critica all’aristotelismo. Rileggendo la sua ricerca si passa da una parabola panteista a una visione più vicina al cristianesimo ma anche a un recupero delle sue origini giudaiche».Non a caso il grande Charles Péguy vedrà in Bergson colui che aveva finalmente infranto le catene dell’intellettualismo scientifico.«È proprio così – spiega il giovane teologo docente alla Facolta teologica dell’Italia Meridionale, il frate minore conventuale Edoardo Scognamiglio e autore nel 2005 di un bel saggio per le edizioni Messaggero di Padova Bergson: anima e corpo –. Quest’autore ci aiuta a pensare e ad interrogarci, ad avvicinarci al mistero dell’esistenza con più rispetto e libertà, salvandoci dalle maglie soffocanti dello scientismo e del tecnicismo». Il religioso francescano intravede in Bergson un vero «inquieto cercatore di senso» che possiede una visione antropologica molto simile al cattolicesimo: «La sua concezione di persona è più vicina a quella giudaica che a quella greca. La persona, per Bergson, è, infatti, il suo vissuto».Ma un terreno e un incontro del tutto particolare per il filosofo parigino più della teologia sarà lo studio della mistica cristiana: diventerà un appassionato lettore di madame Guyon, Caterina da Siena, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Giovanna d’Arco e Vincenzo de’Paoli. Assieme al Vangelo – raccontano le testimonianze di Georges Cattaui e di padre Sertillanges – rappresenteranno la fonte maggiore del suo avvicinarsi, negli ultimi anni, al cattolicesimo, e del riconoscere la divinità di Gesù. «Tutto questo è testimoniato dagli scritti dei due amici di Bergson – rivela Piero Viotto, già docente di Psicologia alla Cattolica – e da molte pubblicazioni successive alla sua morte, tra queste, anche quelle raccolte dalla rivista svizzera diretta da Albert Béguin. Tutto questo manifesta che il grande pensatore fosse giunto alle soglie della Chiesa. Come affermerà la moglie di Bergson, "pur aderendo moralmente al cattolicesimo, mio marito aveva deciso nel medesimo tempo di non fare il passo decisivo del battesimo"».A questo proposito torna alla mente di Scognamiglio il commento al Discorso della montagna dove «Bergson vedrà in Gesù il portatore di una morale del paradosso. Cristo diviene per lui immagine del mistico completo che si apre al vero senso della gioia e dell’emozione creatrice».Dal canto suo Viotto, evidenzia di Bergson il ruolo di «maestro perduto e ritrovato» nella vita di Jacques e Raïssa Maritain: «È stato il loro docente alla Sorbona di Parigi. Dopo Tommaso rimarrà il pensatore che più ha inciso nella loro vita. Con la pubblicazione de Le due sorgenti della morale e della religione i due coniugi rivaluteranno il loro vecchio professore, alla luce del suo approccio all’Assoluto e all’esperienza mistica. Sarà lo stesso Bergson a confidare a Raïssa che, dopo tanti anni, solo ora "abbiamo camminato l’uno verso l’altro e ci siamo trovati a mezza strada"».Un capitolo a sé stante della biografia e della quasi conversione di Bergson al cattolicesimo è il ruolo giocato dalla figlia Jeanne, morta nel 1961 e dotata di un carisma mistico. «Indubbiamente il dramma di questa figlia, poi convertitasi al cattolicesimo – è la convinzione di Mathieu – che era sordomuta ha sicuramente influito sulle scelte di Bergson dalla passione per la mistica alla sua tensione verso il trascendente e si può capire il suo cosiddetto "slancio vitale" verso tutto ciò che riguardava la sfera dell’anima e della religione».Dello stesso avviso è la riflessione finale di Scognamiglio:«Poco prima di morire Bergson pensò al cielo e all’eternità ed ebbe delle visioni mistiche. Sicuramente questo segno prodigioso accompagnò il vissuto spirituale e l’esperienza non solo accademica di Henri Bergson. Basti pensare a come nei suoi scritti Cristo diviene per lui "l’energia vitale", il "portatore della vita" e dell’"emozione creatrice". Non è un caso che la sua idea di uomo, in Cristo, non è mai orientata verso la morte secondo la concezione di Heidegger, bensì sempre tesa verso la vita».
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