domenica 29 novembre 2015
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«Ha ancora senso usare il rock per arrivare alla gente in un’epoca di contaminazioni, migrazioni, razze che si incontrano ognuna con il suo portato culturale? Non lo so. Però è l’unico linguaggio che conosco e lo utilizzo. Per dare energia, comunicare buone vibrazioni, ma anche dire delle cose. La cosiddetta musica leggera è rassicurante, oggi, la si usa per estraniarsi dalla realtà. Ma il mio scopo, nel far musica, è un altro, ho bisogno del rock che sa dar voce bene a implicazioni con l’attualità e argomenti anche complessi: specie di fronte a fenomeni che vanno analizzati, e che magari ci fanno pure paura». È molto chiaro, Edoardo Bennato, nello spiegare il senso del proprio agire artistico dentro un album, Pronti a salpare, che fin dal titolo evoca problematiche e drammi delle odierne migrazioni ma poi va anche a cantare l’amore come valore da non avvilire ( Povero amore) o l’importanza del rispetto in un brano contro il pentitismo ed esplicitamente ispirato alle calunnie che in modi diversi hanno rovinato le vite di Enzo Tortora e Mia Martini ( La calunnia è un venticello). E poi, nel nuovo Cd dell’artista napoletano, ecco anche la pochezza di una politica fatta di pura immagine che pare tipica dell’oggi (ed è molto chiaro a chi si riferisca Al gran ballo della Leopolda) e un ragionamento sul degrado dell’amata Napoli ( La mia città). Pronti a salpare non è il punto più alto della discografia di Bennato, parte fortissimo ma poi qua e là si perde nella retorica o nel già sentito, a tratti si contraddice e qua e là non supporta bene a livello musicale vicende pure intriganti da conoscere, come la gavetta dell’artista stesso quale emigrante della musica da Napoli a Milano (nel brano A Napoli 55 è ’a musica); però Pronti a salpare, più di certi altri dischi dell’oggi, sa unire spesso poesia e riflessione, speranze alte e prese di coscienza ben precise, e soprattutto vola molto alto, quando vola. E quando Bennato, a prescindere dalle contingenze dell’ispirazione, il disco lo spiega, le sue parole sono forti quanto i versi degli episodi migliori dell’album. «Pensi che il titolo del disco e del primo suo brano risale al febbraio 2012 – esordisce –. E non è dedicato solo ai disperati che affrontano il rischio di morire sulle carrette del mare; è nato come richiamo a tutti. Perché è ora, a mio avviso, di cambiare ordine di idee: dobbiamo smetterla di occuparci solo dei nostri piccoli o grandi privilegi e provare a capire davvero cosa sta accadendo. Almeno prima che sia tardi. Buonismo? Retorica? No, assolutamente. È qualcosa che dobbiamo proprio fare, se riteniamo, come penso io, di far parte di un’unica famiglia umana: di cui forse oggi noi siamo gli “adulti” e altri popoli i “bambini”, ma anche vedendola così, anzi a maggior ragione, il nostro compito è colmare il gap fra privilegiati e diseredati. Dobbiamo accudire: ecco la parola giusta. Accudire chi ha bisogno». Certo colpisce che a 35 anni da Sono solo canzonette oggi Bennato rimarchi così, anche fuor d’ironia, che una canzone può servire a tanto: davvero la musica leggera ha questo potere? «Sa, per me è istinto, parlare nelle canzoni senza farne occasioni di puro svago. Certo però mai vorrei divenissero lezioni o conferenze, e difatti certi brani del disco li ho scrit- ti pensando anche a un eventuale ascolto di bambini, mia figlia di dieci anni mi ha persino aiutato in certe immagini contenute in Giro girotondo. Solo un bimbo poteva pensare all’acqua, bene primario da difendere, definendola gioiosa». Pronti a salpare resta chiaramente però un disco politico, ma non privo di spiritualità: che poi il suo autore spiega parlando della necessità di un nuovo umanesimo. «La mia spiritualità si trova in un brano, È una macchina, nel quale in fondo canto proprio l’anelito dell’uomo di andare oltre fisico e meccanico: e denuncio l’incapacità di rimettere al centro del nostro mondo l’essere umano, il quale dovrebbe controllare lo sviluppo e non esserne controllato». Musicalmente parlando Pronti a salparetorna anche a omaggiare Rossini come da tradizione del cantautore partenopeo: solo che stavolta lo fa per Tortora e Mia Martini. «Io ho conosciuto Tortora, da bambino a un festival condotto da lui. Nei suoi confronti si verificò una prova di forza dell’antistato, volevano trasformare una persona perbene che era beniamino di tanti in pericolo pubblico, e ci sono riusciti. Come quelli che hanno rovinato Mimì solo perché aveva detto dei no. Era giusto cantare queste cose, e con Rossini, innestando due incisi nell’aria sulla calunnia che mi cantava mia madre: a Londra mi seguono proprio perché sentono echi della nostra tradizione, facessi rock puro sarei visto mero clone dei loro miti, come considerano di solito noi italiani». Londra, già: e pure il tour partirà, nel 2016, dall’Europa, non “in casa”. Bennato oggi si sente tradito dall’Italia? «Sono stato subito costretto a imparare che questo mestiere da noi non è scientifico come lo sport, dove la tua prestazione dice il tuo valore in modo indiscutibile. Nella musica in Italia i media possono enfatizzarti o nasconderti. Dopo il mio primo Lp, la Ricordi mi licenziò perché le radio dicevano che avevo una voce sgraziata. Ed era il disco di Un giorno credi, Non farti cadere le braccia, Rinnegato… Ho dovuto ripartire mettendomi a Roma per strada a suonare cose diverse, particolari, coraggiose. I conti non tornano proprio, nell’arte in Italia: persino Ivano Fossati ha dovuto ritirarsi per dignità, davanti a un’opinione pubblica tanto complice delle regole spietate e assurde che nascono dallo strapotere di certi media». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista Il cantautore napoletano esce con “Pronti a salpare” e accusa: «I media possono enfatizzarti o nasconderti Così è stato per me. In Italia, nell’arte, i conti non tornano» CANTAUTORE. Edoardo Bennato ritorna con “Pronti a salpare”: «Il rock è l’unico linguaggio che conosco»
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