venerdì 27 maggio 2011
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Questa mattina (27 maggio 2011) a Vicenza lo scrittore e poeta franco-marocchino Tahar Ben Jelloun incontra, alle 10.45 al Palazzo delle Opere sociali in piazza Duomo, 2, gli studenti delle superiori nell’ambito del ciclo "Dire poesia" e nel pomeriggio alle 18, alla galleria di Palazzo Leoni Montanari (contrà Santa Corona, 25), introdotto da Paolo Ruffilli, Ben Jelloun parla del suo libro Mia madre, la mia bambina (Einaudi). Lei è uno scrittore molto conosciuto. Narratore del mondo arabo e delle sue migrazioni, del razzismo europeo e dell’islamismo. Ma pochi sanno che lei è anche poeta…«Ho cominciato a scrivere poesia quando sono stato rinchiuso in Marocco, per un anno e mezzo, nel campo di punizione dell’esercito ad Aher-me-mou. Scrivevo poesie perché avevo paura di non uscire più da quella prigione. Non potevo leggere libri, era proibito scrivere: componevo di nascosto dei versi come vero e proprio esercizio di salvezza. La poesia mi ha sempre accompagnato; testimonia la realtà della condizione umana, così come i miei romanzi. In poesia racconto le condizioni e i drammi delle persone e dei popoli».Come in "Jenin. Un campo palestinese", pubblicato alcuni anni fa?«Era un poema su Jenin, il piccolo villaggio palestinese bombardato per dieci giorni dagli israeliani e distrutto. Una donna, una madre si aggira tra le rovine alla ricerca dei figli. Sono morti, lei trova qualche traccia, una scarpa, degli oggetti...».Oggi lei presenta "Mia madre, la mia bambina". È il libro del lento declino di sua madre Fatma, afflitta, negli ultimi anni di vita, dal morbo di Alzheimer…«Scrivo di una generazione e di una cultura che scompaiono e parlo di una malattia particolarmente diffusa tra gli anziani come l’Alzheimer. Ho molto inventato, molto allargato perché la gente possa riconoscersi in questa persona che soffre, che perde la memoria. È una malattia terribile, mette in crisi le persone che assistono il malato, chi sta vicino ad un malato di Alzheimer soffre al suo posto».Una malattia che assume un valore simbolico, no? Culture scompaiono, tracce e memorie si cancellano…«Una civilità se ne va, non sarà più là, scompaiono comportamenti, costumi. Una civiltà orale trasmessa da madre e figlio. Scrivo di mia madre e di una relazione affettiva molto forte, mentre si è separati da una notevole distanza geografica. Mi madre è morta nel 2002, ma ambiento il libro nei terribili anni 1971-1973, quando ero appena emigrato in Francia e il distacco e la nostalgia erano più forti; quando ero stato costretto a fuggire dal Marocco e non potevo tornarvi per paura che mi ritirassero il passaporto… Ho collocato il libro in quel nodo emotivo e concreto di distacchi e paure, mentre ho fatto risalire i trasalimenti di memoria di mia madre, i suoi ricordi, agli anni Trenta-Quaranta».Quando le donne andavano all’"hammam", al bagno turco. Lei accompagnava da bambino sua madre Fatma all’"hammam"?«L’ho accompagnata da bambino al bagno turco delle donne. Non ero molto contento di andare all’hammam, mi annoiavo e guardavo tutte queste donne nei vapori, grandi, grasse, nude… Per me erano come dei fantasmi. Il giorno che me lo hanno proibito mi sono detto: ah, ma allora c’è qualcosa di interessante lì dentro!».Peter Handke –- madre slovena della Carinzia, madre amata che gli insegna le preghiere in sloveno – deve scrivere, in una lingua non materna perché la Carinzia fa parte dell’Austria. Handke scrive in tedesco, lingua matrigna… Vale per lei lo stesso discorso? Lei che non ha mai scritto in arabo?«Fatma, mia madre, non sapeva né leggere né scrivere, che io scrivessi in arabo o in francese per lei sarebbe stato del tutto indifferente. Non ho scritto in arabo perché volevo conquistare un’altra lingua. Volevo provare ad esprimermi nella lingua, il francese, del Paese in cui ormai vivevo. E ho continuato così. È anche una sfida».È appena uscito in italiano, nei tipi di Bompiani, il suo libro "La rivoluzione dei gelsomini", raccolta di scritti sulle rivolte che si succedono nel mondo arabo. Perché questo titolo? «È un fiore molto diffuso in Tunisia e nel Mediterraneo, l’editore italiano ha voluto questo titolo, l’edizione francese ha il titolo L’étincelle ("La scintilla")».La rivolta nasce all’improvvio il 17 dicembre, in una remota cittadina della Tunisia. Al venditore ambulante abusivo di frutta e verdura, Mohamed Bouazizi, vengono sequestrati il carretto e la merce perché non riesce a pagare una piccola tangente alla polizia municipale. In più viene umiliato dalla polizia. Bouazizi si dà fuoco davanti al palazzo del governo e muore dopo due settimane di atroce agonia…«Suicidarsi dandosi fuoco! Già questo è fuori dalla cultura e dalle tradizioni arabe e soprattutto è un gesto antireligioso, fuori dall’islam. L’islam, come tutte le religioni monoteiste, proibisce il suicidio, violazione della volontà divina. Altre venticinque persone si suicidano nel Maghreb e nel Machrek. Tutti musulmani, tutti fuori dal Verbo. La prima disfatta dell’islamismo sta proprio qui, in questa disobbedienza ad Allah. Centinaia di migliaia di persone scendono nelle strade e nelle piazze a protestare contro regimi corrotti e dittatoriali e mai vi è un richiamo, un’eco religiosa, un riferimento all’islam o ad Allah».L’opzione islamista è stata dunque superata?«La rivendicazione dell’islam come entità costitutiva e punto di riferimento maggioritario del potere e dello Stato è del tutto superata».La Tunisia era già stata laicizzata dalla gestione Bourghiba e anche il regime di Ben Ali – corrotto, antidemocratico e predatorio – non era confessionale...«Sì, d’accordo, ma nessuno nelle piazze ha bruciato bandiere di Israele o degli Stati Uniti. Siamo di fronte a una rivolta nuova, contro i propri dittatori e regimi. La ribellione è contro persone concrete – ministri, presidenti –, non feticci. Rivolta spontanea che ha come obiettivo l’entrata nella modernità. Insurrezioni che hanno al centro l’individuo e la sua necessità di avere uno statuto di cittadino e non di suddito. Nessun partito, nessun movimento costituito aveva mai rivendicato nel mondo arabo, così chiaramente, i valori di una società moderna».Soprattutto in Egitto?«È proprio l’assenza degli islamisti nelle manifestazioni il fattore maggiormente scardinante, ciò fa cadere Mubarak l’11 febbraio. Un Paese che è stato la culla dell’islamismo dalla fondazione, nel 1928, della organizzazione dei Fratelli musulmani, viene liberato senza la partecipazione degli islamisti!».
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