venerdì 16 marzo 2012
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​Bellagio, la perla del lago di Como. Poche capitali della bellezza, non solo in Italia, hanno pari celebrità, se è vero, come è vero, che a Las Vegas un hotel con fontane si chiama proprio Bellagio. D’inverno, questa bella addormentata langue nella sua ammirata sinfonia di colori, come un cigno che si nasconde alla vista tuffando il collo nell’acqua. Nelle sale da the, in una giornata feriale, gli avventori sono sparuti e il sole fatica a intrufolarsi dentro i vicoli. Da Punta Spartivento, però, si ammira ugualmente un panorama da togliere il fiato: i due rami inferiori del lago convergono e davanti si spalanca la visione del lago che si apre in tutta la sua ampiezza e magnificenza. In una sequenza di C’era una volta in America, pellicola del 1984 per la regia di Sergio Leone, Robert De Niro-Noodles passeggia con la sua amata Deborah di fronte all’oceano: ma questo "oceano" non è altro che il Lario visto dal lungolago di Bellagio! Bagliori e spezzoni del Grand Tour che vide l’élite europea affacciarsi in estasi sugli splendori del Belpaese, a cominciare dal Novecento, si sono trasferiti sul grande schermo per dare vita all’industria dei sogni a buon mercato. Il lago di Como, fin dall’esordio del cinema, ha esercitato un fascino e un’attrazione irresistibili per i registi. Dalle pellicole fogazzariane di Mario Soldati, fino ad Alfred Hitchcock, che ambientò proprio sul Lario alcune scene della sua pellicola d’esordio, Il giardino del piacere, del 1925. Bellagio, in questo senso, è la prova più evidente della cinegenìa del lago, in particolare della sua parte centrale, che dalla "perla" si irraggia verso Menaggio e Varenna. È infatti a Bellagio che Luchino Visconti, cineasta stregato dalla magia del Lario (la sua famiglia possedeva infatti Villa Erba di Cernobbio, oggi polo espositivo d’eccellenza), ambienta una famosa scena di Rocco e i suoi fratelli: Simone, interpretato da Renato Salvatori, conduce Annie Girardot, nei panni di Nadia, dall’imbarcadero all’allora funzionante Hotel Grand Bretagne, ora ridotto a un castello fantasma. Nadia recita questa battuta folgorante che preconizza il fatale declino di Bellagio: «Come che cos’è? È un albergo. Ma un albergo al bacio, caro mio. Guarda, si chiama Gran Bretagna. Vedi, una volta ci venivano molti turisti inglesi a Bellagio, adesso non ci viene più nessuno. Sì, oggi c’è gente perché è il giorno di Pasqua, sennò...». Ma la Bellagio di celluloide non finisce qui: Julien Duvivier, il regista dei primi film di don Camillo e Peppone, vi ambienta sequenze del suo Carnet di ballo, del 1937, così come, quasi quarant’anni più tardi, fa Pierre Granier-Deferre, con Una donna alla finestra (tratto dal romanzo di Pierre Drieu La Rochelle), per l’interpretazione di Romy Schneider. Si diceva del declino che sembra non risparmiare anche questo luogo-mito: e il malumore serpeggia tra la popolazione che, tempo fa, ha fatto provocatoriamente sapere di essere pronta a trasmigrare nella vicina provincia di Lecco, evidentemente poco felice di essere amministrata da quella di Como. Sebbene Bellagio seguiti ad attrarre folle di turisti-mordi-e-fuggi, che sbarcano da battelli e aliscafi, o s’incolonnano sulla statale Lariana, discorso a parte meritano quelle minoranze di visitatori stranieri che vi soggiornano affittando una camera "vista lago". Ma, per l’appunto, si tratta di élite, che nulla hanno a che vedere con le masse del turismo un po’ ciabattone che da queste parti non è mai stato ospite particolarmente gradito, quanto, piuttosto, subìto e (non di rado) spennato. Erede dei pionieri del Grand Tour fu in qualche modo il presidente americano John Kennedy, che a Bellagio sbarcò da un elicottero, nel luglio del 1963, per trascorrere al Grand Hotel Villa Serbelloni la prima notte di un suo viaggio-lampo in Italia, che precedette di poco la tragedia di Dallas. Alle prime ore del 2 dicembre 1944, spirò invece all’albergo Splendido, sul lungolago, Filippo Tommaso Marinetti. Il creatore del movimento futurista giunse a Bellagio, da Venezia, sulla scia di Shinrokuro Hidaka, amico personale di Mussolini e ambasciatore del Sol Levante accreditato nella Rsi. Per qualche tempo, prima dell’implosione del regime di Salò, l’ambasciata nipponica trasferì anzi la propria sede proprio nella località lacustre. Una lapide sulla facciata dell’attuale Hotel Excelsior, ricorda che lì si consumò il trapasso di Marinetti. Il più giovane discepolo del grande Effetì, Ubaldo Serbo, compose in morte del maestro un "poema e pianto" che pochi conoscono, ma che è un piccolo capolavoro di eloquente drammaticità. In quella gelida notte di dicembre del ’44, sono parole di Serbo, «la morte gioca con l’acqua» insinuandosi «fra ombre liquide e riflessi lunari». Nelle ore del transito, mentre le onde mugolano infrangendosi contro gli scogli, «Bellagio diviene il promontorio estremo dei secoli» e l’acqua del lago «il pianto del mondo». Come una nave, quel promontorio salpa verso gli spazi dell’infinito: «La notte copre la luna / il lago trattiene il respiro dell’onda / il cuore del mondo batte lento batterà / nel silenzio».
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