giovedì 8 novembre 2018
Al Cet, la cittadella della musica, per ascoltare l’opera inedita dello storico duo del pop: «È un testo in “lessico quotidiano” affinché questa storia d’amore dialoghi con le nuove generazioni
ETERNI. Gianni Bella e Giulio Rapetti Mogol, nel salone del Cet (Barbara Gimmelli)

ETERNI. Gianni Bella e Giulio Rapetti Mogol, nel salone del Cet (Barbara Gimmelli)

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È Una giornata uggiosa, anzi un pomeriggio che ha il sapore del Dolce uragano e di strade sbarrate in quest’Italia che viene giù, come bombe d’acqua dal cielo. Così, arrivare al Cet (Centro Europeo Toscolano), è un’impresa, come quando Giulio Rapetti, per tutti Mogol, classe d’acciaio 1936, nel ’70, assieme al suo mentore canoro Lucio Battisti, a cavallo riuscirono a portare a termine la mitica cavalcata Milano-Roma. Impresa replicata nel 2005 con la moglie Daniela Gimmelli che ci apre le porte del Cet, la “cittadella” della musica, fondata nel 1992 dal Principe di Toscolano, il migliore dei nostri poeti del cantar leggero (e il più “commercializzato” nel mondo, da un calcolo Siae, di cui Mogol è presidente dal 10 settembre scorso, ha venduto 523 milioni di dischi). Toscolano è una fortezza medioevale, celata “naturalmente” nel cuore più verde dell’Umbria (tra le colline e le “foreste” del ternano). Qui ha sede l’unica vera Scuola, al riparo degli epidemici talent televisivi, in cui fino ad oggi si sono formati 2500 giovani, tra autori, interpreti, compositori, arrangiatori e tecnici del suono. L’appuntamento è per l’ascolto dell’ultima vera impresa musicale della premiata ditta Gianni Bella-Mogol, La Capinera, melodramma moderno in due atti, ambientato nella Catania di metà ’800, tratto dal romanzo, pietra miliare del Verismo, Storia di una capinera di Giovanni Verga. «Una storia realmente accaduta, quella della giovane suora Maria che si innamora del bel Nino, promesso sposo della sorellastra Giuditta. «Una vicenda ambientata nella Catania del 1850, appestata dal colera», spiega un appassionato e appassionante Mogol.

Una storia in cui Gianni Bella c’ha messo dentro non solo il mestiere di fine e ispirato compositore, ma anche la sua stessa anima. «Forse, lo dicono anche i medici, è stata una delle cause che nel 2010 ha causato l’ictus di papà... Lo stress da lavoro ha contribuito alla malattia. Ha perso la facoltà di parlare ma non ha mai perso la voglia di vivere e di esserci, co-È me adesso», dice emozionata Chiara Bella, la figlia di Gianni, diplomata in clarinetto al Conservatorio di Parma, qui al Cet nelle vesti di supervisore musicale de La Capinera. E L’emozione non ha voce come canta il loro interprete di riferimento, Adriano Celentano, quando il sodalizio artistico e fraterno Bella-Mogol («tutto è cominciato nel 1981») fa il suo ingresso nello studio per l’ascolto, davvero privilegiato. Mogol si sdraia sul divano, si toglie il cappellino della Berkeley, una delle università americane («sono stato anche a Harvard») dove di recente ha ricevuto onorificenze e tenuto lezioni agli studenti: «Presto – dice orgoglioso Mogol – saranno gli americani a venire qui al Cet perché non immaginavano che fossimo così preparati sul pop». Gianni Bella ha i lucciconi in fondo a quegli occhi verdi come le Montagneche canta sua sorella Marcella. Sono gli occhi dell’amico ritrovato di Mogol, e questi sprizzano una felicità indescrivibile, che commuove sua moglie Paola, la compagna di una vita che si siede a fianco e gli stringe la mano. L’emozione ritrova la voce lieve di Mogol che racconta la genesi e la gestazione decennale de La Capinera. «Gianni un giorno venne qui insieme a un giovane, Giuseppe Fulcheri, l’autore del libretto del melodramma, chiedendomi di scrivere le liriche per quest’opera. Io, un po’ smarrito, gli domandai: ma scusa Gianni, tu hai una cultura operistica? E lui candido: “No Giulio”. Tranciante gli faccio: allora fatela voi, cosa c’entro io...». Passano sei mesi e i due, Bella-Fulcheri, si ripresentano alle porte del Cet. «Quando tornarono mi fecero ascoltare le romanze composte da Gianni e l’overture cantata da Michele Pertusi. Splendida, da rimanere a bocca aperta, ora la sentirai... A quel punto ho ceduto. Ho iniziato a scrivere le liriche in un “lessico quotidiano” perché non volevo cadere nel precipizio dell’inascoltabilità… Avevo appena sentito il Trovatore di Giuseppe Verdi e avevo trovato il testo allucinante, incomprensibile. Io credo che musica e parole si debbano fondere e diventare credibili all’orecchio dell’ascoltatore». Schiaccia lo start Raf, il musicista e fonico di giornata, influenzato, e per questo Mogol fa subito arrivare nello studio l’elisir antibatterico: «Si chiama “Sterillaria” : un ritrovato di oli essenziali che ho appena brevettato. Funziona all’istante, sentirete».

Un toccasana in effetti. Del resto il Cet oltre che un centro di cultura popolare, e un magnifico ippodromo, coltiva tra i suoi obiettivi fondanti la medicina e l’ambiente. Parte la musica. Un silenzio religioso avvolge lo studio, e colpiscono la sculturina in legno (è la testa riccioluta di Lucio Battisti) e gli occhi spiritati di Mogol che commenta entusiasta i vari passaggi de La Capinera. «Inizia. Siamo al mercato del pesce di Catania – spiega – . Quelli che si sentono ora non sono gli strumenti della buca ma i rumori e gli effetti sonori dal palcoscenico. Senti che bello il carnevale della vita catanese… Zitti, zitti! ora c’è da avere paura, sentite i passi: arriva il Colera. Un requiem ». Il Colera è un omaccione scuro, tetro, con il mantello in spalla e un cappellaccio in testa «vomita minacce…Terrorizza il pubblico. Ed è l’effetto che volevamo dare, personificare il male è stata un’idea di Gianni, la gente si spaventerà. La paura del resto deve far riflettere, su ciò che succede di bello e di brutto nel mondo – continua Mogol – . Ma la nostra visione umana purtroppo è limitata dalla logica terrestre, è corta, difficile da conciliare con quella dell’Eterno. Nel mio ultimo libro di aforismi ( Le arance e i limoni Minerva Edizioni) ho scritto: “Senza Dio siamo al centro del nulla”. Il personaggio del Colera ha ricevuto ordine di spargere la malattia, di distruggere tutto per creare il nulla… Ma poi nel secondo atto si pente e Pertusi canta il pentimento struggente, sottovoce, in modo quasi innovativo». Nel primo atto il Colera mette il popolo in fuga. La gente scappa e per ritrovare la pace si deve entrare nel convento dove è appena entrata la novizia, la bella Maria. «Qui si respira un’aria delicata, celestiale… Senti che sinfonia, sembra Mozart. Gianni questa musica l’ha composta al di là delle possibilità umane». Gianni Bella ringrazia con il sorriso e con gli occhi dolci del maestro d’orchestra improvvisato. Idealmente sale sul podio e dirige, i passaggi più melodici, le romanze più ariose «che beneficiano degli arrangiamenti splendidi di Geoff Westley, uno dei più grandi arrangiatori mai esistiti», sottolinea Mogol.

La trama melodrammatica scorre via, intensa e romantica, come la storia contrastata tra Nino e Maria che Mogol ha risolto in maniera diversa rispetto all’opera di Verga. «Nel secondo atto c’è una preghiera struggente che Maria dedica al Signore al quale si rivolge dicendo: “Io ti ho sempre amato ma non ti avevo mai visto, perciò quando questo bellissimo giovane mi ha sorriso e mi ha abbracciata pensavo fossi tu Signore. Rispetto a Verga, per il quale l’amore tra Nino e Maria si consuma generando scandalo, io ho voluto che la bella Maria rimanesse pura e la storia d’amore con Nino si sciogliesse in un semplice, tenero, innocente abbraccio». Innocenti evasioni di un testo profondamente attuale («c’è tutto dentro, dall’amore terreno in ogni sua declinazione, a quello per il divino»), in cui Verga non viene assolutamente manomesso. Anzi, le liriche di Mogol che si fondono alla perfezione con la musica di Gianni Bella, rendono omaggio al capolavoro verista e rinfrescano un genere che respira aria nuova. «Io mi auguro che il melodramma torni di moda e che possa dialogare con tutti, specie con i giovani. La Capinera è pronta a volare nel mondo e le ali gliele hanno messe da tempo i giudizi estremamente lusinghieri di Roberto Grossi, ex direttore di Santa Cecilia e ora sovrintendente del Teatro Bellini di Catania, e dei maestri Gustav Kuhn e Luciano Pavarotti che l’ascoltò prima di morire».

Annuisce e sorride felice Gianni Bella al nome del grande Pavarotti, stimatissimo da Mogol, che però non lo inserisce nella sua ristrettissima e personale “hall fame” dei geni. «Nella mia lunga vita artistica, cominciata nel 1961, ho avuto la fortuna di conoscere due geni, una è la pittrice, la più irregolare delle artiste in circolazione, Grazia Cucco (ha dipinto il magnifico murales di 12 metri nel Cet e la Madonna del Rosario - ritratto di Daniela e ora realizzerà il manifesto de La Capinera). L’altro è seduto lì - indica Gianni Bella che ringrazia commosso - . Quest’uomo ha la musica dentro da sempre.. Gianni mi ha raccontato che da bambino alla domenica andava nella cattedrale di Catania, sì per pregare Dio ma soprattutto per osservare i chitarristi… E quelli, pare che vedendo i suoi occhietti attenti e interessati a carpire i segreti degli accordi gli voltassero le spalle e nascondessero i movimenti delle dita – Gianni ride di gusto con Mogol – . Ma non è servito a niente, non sapevano che lui era nato con la musica già dentro». Stesso discorso vale per Mogol: la sua poesia è innata. E questa vena poetica prestata al pop, da sempre gli fa scrivere liriche profonde, come quelle per la bella Maria de La Capinera alla quale “l’amore ruscella nel cuore”. «Senti che bella Gianni, “ruscella”... quante cose nuove abbiamo inventato io e te».

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