sabato 17 luglio 2021
Una grande mostra al British Museum ripercorre la vicenda che portò all’uccisione del prelato. La sua figura fu segno di contraddizione per i regnanti inglesi
La miniatura che rappresenta il martirio del santo nel manoscritto “Cotton Claudius B II” (fine XII secolo)

La miniatura che rappresenta il martirio del santo nel manoscritto “Cotton Claudius B II” (fine XII secolo) - British Library

COMMENTA E CONDIVIDI

Quattro cavalieri avanzano minacciosamente verso una chiesa. Sullo scudo di uno di loro è raffigurato un animale, un orso. È un riferimento al suo nome, Reginald Fitzurse. La spada del cavaliere si abbatte sul capo dell’alto prelato in ginocchio davanti a lui, proprio davanti all’altare: l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket. Al suo fianco Edward Grim, il monaco che venne ferito mentre cercava invano di opporsi all’attacco. La miniatura racconta, senza che sia tralasciato alcun dettaglio degno di rilievo, un «evento inaspettato che ha cambiato la storia»: l’assassinio nella cattedrale. Figlio di un mercante londinese, poi protetto di Teobaldo, l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket si guadagnò presto la fiducia del re d’Inghilterra Enrico II, al punto che il sovrano lo scelse come cancelliere. Alla morte di Teobaldo, Tommaso divenne arcivescovo (1162). La sua consacrazione era stata favorita proprio da Enrico, che evidentemente sperava così di poter esercitare un controllo sulla Chiesa inglese. Ben presto, però, Tommaso divenne uno strenuo difensore delle prerogative ecclesiastiche e non esitò a opporsi al re e ai vescovi a lui vicini. I quattro cavalieri che lo uccisero il 29 dicembre 1170 nella cattedrale di Canterbury agirono confidando di compiacere il loro sovrano. Dopo l’assassinio, la fama della santità di Tommaso si diffuse rapidamente, i miracoli si moltiplicarono, la tomba del martire divenne meta di frequenti pellegrinaggi e papa Alessandro III lo canonizzò a poco più di due anni dalla sua morte, mentre Enrico II fece pubblica penitenza. La miniatura, che rappresenta il martirio del santo secondo un modulo poi divenuto tradizionale, proviene dal manoscritto Cotton Claudius B II (fine XII sec.) della British Library. Si tratta di uno dei pezzi pregiati di una nuova mostra, “Thomas Becket. Murder and the making of a saint” (fino al 22 agosto), con cui il British Museum vuole rac- contare la storia di uno dei santi più popolari di tutto il Medioevo. Originariamente prevista per novembre 2020 – per omaggiare l’850º anniversario del martirio di Becket e l’800º anniversario della sua traslazione – l’esposizione permetterà di ammirare, oltre ai manoscritti miniati, anche gioielli, reliquiari, sculture e persino una vetrata proveniente dalla cattedrale di Canterbury e la versione del 1225 della Magna Carta. «La mostra – ci racconta Lloyd de Beer, uno dei curatori insieme a Naomi Speakman – considera, lungo un periodo di 500 anni, tre temi correlati: il problema dell’autorità e di chi debba esercitarla, le conseguenze dell’opposizione al dispotismo, il potere di cambiare il corso della storia che hanno alcuni eventi imprevisti. Eravamo inoltre particolarmente desiderosi di dimostrare come Becket sia stato una figura europea sia in vita che dopo la sua morte, con il suo culto che divenne immensamente popolare anche nell’Europa continentale». La venerazione del santo martire ebbe in effetti un’immediata e capillare diffusione in Europa, cosa che fa di Becket un santo europeo. Un aspetto, questo, che stimola più di una riflessione se si considera il particolare momento storico che il Regno Unito sta vivendo e che conferisce alla mostra un’ulteriore connotazione: «La questione al cuore dello scontro fra Becket ed Enrico II – che, come ha sottolineato il prof. Nicholas Vincent (University of East Anglia), può essere considerato una disputa sulla sovranità – arriva fino ai giorni nostri e alla Brexit: l’Inghilterra (e oggi il Regno Unito) è un paese che si governa in autonomia o che accetta leggi e controlli dall’esterno? È un tema, da sempre fortemente politicizzato, su cui torniamo nell’ultima sezione della mostra, dedicata a Becket e i Tudor. Per Enrico VIII questo problema è stato altrettanto importante, al punto da cambiare il corso della storia». Più di 350 anni dopo l’assassinio in cattedrale, Enrico VIII considerava Becket un traditore. Del resto, le letture politiche di questa vicenda sono inevitabili e a giudizio di Lloyd de Beer i paragoni con figure contemporanee di oppositori, come quelle di Alexei Navalny o Jamal Khashoggi, non sarebbero azzardati: «La loro stessa esistenza minaccia – o ha minacciato, nel caso di Khashoggi – le strutture di potere dei regimi autocratici. La valenza leggendaria di Becket come difensore dei diritti delle Chiesa e del popolo è evidente oggi come allora. E non intendo affermare che la mostra sia a favore o contro Becket, ma semplicemente che nel raccontarne la vicenda mostriamo dei parallelismi interessanti per il mondo di oggi». Al centro della mostra, pertanto, non solo il drammatico evento dell’assassinio, ma anche le prospettive da cui questa storia è stata e continua a essere raccontata.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: