venerdì 29 luglio 2011
L'ex magistrato che indagò sulla P2 ed è stato pm all'Aja ricostruisce in un libro il caso del terrorista rosso. Parla Giuliano Turone.
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«Se all’estero gli Anni di Piombo non sono stati analizzati e percepiti in tutta la loro tragica complessità, come dimostra il caso Battisti e la decisione del Brasile di non estradarlo, bisogna ammettere che neanche l’Italia ha avviato una vera e profonda riflessione storica. Come possiamo far comprendere quelle vicende ai Paesi amici se quel periodo non lo abbiamo capito noi per primi?».Non avesse fatto il magistrato, Giuliano Turone sarebbe stato un grande attore di teatro civile (una passione, questa, coltivata più di recente). Ma per fortuna questo straordinario giudice istruttore scelse da giovane il suo domani, fino ad arrivare in Cassazione. Così come ha deciso di anticipare il tempo della pensione, non solo per portare in scena pièce da lui scritte come La diritta via, ma per scalare montagne di polverose scartoffie alla ricerca di quella che ama definire «verità dei fatti».Con l’arguzia dell’inquirente vecchia maniera e il puntiglio del giudice che ausculta, Turone ha ripreso in mano i 53 faldoni che racchiudono gli atti della decina di processi contro i “Proletari armati per il comunismo”, i Pac. Ne è nato Il caso Battisti (Garzanti, pagine 180, euro 16,60), nel quale ricostruisce – lui che per primo si occupò di mafia al nord, e poi di terrorismo, di Sindona e della P2 – le motivazioni ideologiche, riscoprendo i trascurati rapporti tra criminalità comune ed eversione. Attualmente docente di Tecniche dell’investigazione all’Università Cattolica, è stato pubblico ministero al Tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini nell’ex Iugoslavia. Per alcuni, come il filosofo Bernard-Henri Lévy, la scrittrice Fred Vargas e molti intellettuali italiani, Cesare Battisti è un perseguitato. Per altri, solo un criminale. E per lei?«La mia analisi delle carte mi ha portato a concludere che il quadro probatorio relativo ai delitti per cui Battisti è stato condannato è un quadro solido (a parte il ferimento di due medici). Comunque questo non è un libro scritto “contro” qualcuno: ho voluto ricostruire in maniera documentata delle circostanze di fatto, da mettere a disposizione dei lettori, perché siano loro a trarne le proprie conclusioni».Perché ha sentito questa esigenza?«C’è in giro molta disinformazione. All’estero, ma anche in casa nostra. Ho pensato perciò di contribuire a mettere a disposizione informazioni che non sono accessibili se non a qualche addetto ai lavori».Qual è il suo messaggio a Battisti?«Al suo posto non starei molto tranquillo. Lo invito a pensare a questo, a mettersi una mano sulla coscienza, a ravvedersi. Gli consiglierei, magari, di prendere contatto con Giuseppe Memeo, che era forse il compagno che a quell’epoca sentiva più vicino, e chiedergli come mai lui e Masala [altro componente dei Pac, ndr] hanno detto nel 2009 che il suo atteggiamento complessivo “non aiuta a distanza di anni il dibattito per il superamento di quella tragica storia che tanti lutti e sofferenze ha provocato”. Tanto più che le cose nel tempo sono cambiate in Francia, dove sembrava che la dottrina Mitterrand avrebbe protetto per sempre la sua latitanza. Ma la situazione potrebbe cambiare anche in Brasile. Più avanti va, più l’estradizione diventerebbe pesante. Qui c’è la legge Gozzini [quella sui benefici carcerari, ndr] e l’ergastolo non è più uno spauracchio così tremendo». Perché questo caso è così importante a oltre trent’anni dai fatti? «È emblematico per la disinformazione che ha scatenato e che ha portato a mettere in dubbio a livello internazionale la qualità della democrazia nel nostro Paese, che invece rimane uno Stato di diritto dove i processi si svolgono nel rispetto dei diritti della difesa». Riesce a spiegarsi perché lontano dai nostri confini il nostro sistema giudiziario viene a volte considerato iniquo?«Un esempio? Su Cesare Battisti l’Italia ha proceduto correttamente nella domanda di estradizione, ma poi succede che il presidente del Consiglio non perda occasione per attaccare la magistratura fino a scomodare il presidente Usa Obama per sostenere che qui “abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra”. La credibilità del nostro Paese è, insomma, minata proprio da coloro che dovrebbero difenderla. Lo stesso Battisti tentò di ingraziarsi Berlusconi prendendosela, in una intervista al settimanale “Brasil de Fato”, con i “magistrati comunisti” dai quali anche lui sarebbe stato perseguitato».Ci sono anche altri capitoli della nostra storia rimasti nell’oscurità. È il caso della P2. Lei insieme a Gherardo Colombo scoprì l’elenco dei piduisti, riuscendo a colpire duramente i poteri occulti dell’epoca. Quanto pesa non aver “fatto memoria” anche di quella vicenda?«Nell’81 riuscimmo a mettere in crisi la P2 e ciò che essa rappresentava. Poi, a poco a poco, da potere occulto il sistema P2 si è trasformato in potere “semi-palese”, per arrivare ai giorni nostri, quando quelle forze agiscono alla luce de sole. Basta leggere le cronache di queste settimane, che ci riferiscono di trame che vedono protagonista un personaggio [Luigi Bisignani, ndr] già iscritto alla P2. Adesso, per stare a una definizione giornalistica, si parla di P4. La sostanza, però, è che per guardare avanti, e per preservarci da altri pericoli, dobbiamo deciderci a fare i conti con la nostra storia. L’oblio fa il gioco dei nemici della democrazia»
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