venerdì 27 dicembre 2019
Un volume evidenzia la passione per la racchetta dello scrittore che nell’opera più nota descrive il luogo dei match da “ghetto” per i tennisti ebrei ferraresi epurati
Una scena di “Il giardino dei Finzi Contini” il film di Vittorio De Sica tratto dal romanzo di Bassani

Una scena di “Il giardino dei Finzi Contini” il film di Vittorio De Sica tratto dal romanzo di Bassani

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«La radura, il tennis, il cieco sperone della magna domus, e poi, là in fondo, incombente sopra le cime fronzute dei meli, dei fichi, dei susini, dei peri, lo spalto delle Mura degli Angeli…». Così Giorgio Bassani nel suo romanzo più acclamato, Il giardino dei Finzi- Contini (pubblicato da Einaudi nel 1962) descrive il campo da tennis della villa dell’eroina, Micòl Finzi-Contini. Il luogo dei match da “ghetto”, per i tennisti ebrei ferraresi epurati dalle leggi razziali promulgate dal fascismo nel 1938. Per l’anonima voce narrante del romanzo di Bassani, quelle partite erano il pretesto della sfida sentimentale dal verdetto segnato, ben oltre quel campo dalle righe di gesso: una passione non ricambiata per lo “sconfitto”, Giorgio (nella versione cinematografica diretta da Vittorio De Sica), perché di notte è lì che segretamente Micòl si incontra con il “vincitore”, Giampi Malnate, il chimico «con gli occhi grigi d’acciaio, da uomo forte ». Bassani proviene da una famiglia di sportivi, suo padre gli ha trasmesso l’amore per il calcio e soprattutto per la squadra della loro città, Ferrara: la Spal. Papà Enrico fu presidente del nobile club ferrarese - il cui acronimo indica la Società Polisportiva Ars et Labor - nel quadriennio 1921-’24. Uno scudetto sfiorato nel ’22 con la semifinale persa contro la Sanpierdarenese e poi dopo il delitto Matteotti (10 giugno 1924) la decisa presa di posizione antifascista, ereditata dallo stesso Giorgio e da suo fratello Paolo.

Giorgio classe 1916, coltivava studi classici ed eccelleva in tutti gli sport, ma la sua seconda casa era il Club Tennistico Marfisa d’Este, anch’esso fondato dal padre. Il campionato Sociale che vi si disputava, dal 1933 al ’37 vide alternarsi alla vittoria (due titoli a testa) il futuro regista Michelangelo Antonioni e il futuro poeta, storico e narratore Giorgio Bassani. Finali da Storie ferraresi che lo scriba massimo dei “gesti bianchi”, Gianni Clerici, avrebbe voluto raccontare in presa diretta, anche per via delle tante affinità elettive che lo legano a Bassani. «Giorgio mi disse che quelli del tennis erano i soli momenti nei quali si poteva parlare in assoluto del “presente” all’interno de Il giardino dei Finzi-Contini, nel quale il presente non faceva altro che volgersi al passato, mentre ancora si svolgeva, quasi un accorato disfacimento, un’impotenza a vivere». Il tennis, come si legge anche nel volume appena edito Giorgio Bassani. Interviste 1955-1993 (Feltrinelli, pagine 404, euro 25) è stata la metafora della sua giovinezza spensierata, trascorsa, con gli amici e i primi amori, tra la Ferrara del Club e gli studi universitari a Bologna.

Abbandonare quel microcosmo rassicurante per scampare con la sua famiglia alla deportazione nazifascista, fu l’inizio di quella che nell’intervista concessa all’amico e scrittore Manlio Cancogni, per Bassani era stato il tempo del «rimorso, molto più forte del rancore verso chi l’aveva colpito». Dopo gli anni in incognita, vissuti sotto falso nome a Firenze, la rinascita avvenne a Roma alla direzione del periodico Mondo d’oggi dove Bassani assunse Cancogni, il quale ricorda con profonda nostalgia di quelle partite improvvisate e quasi surreali nella redazione di via Veneto. «Non so dove scovammo una palletta da tennis. Fu il pretesto per selvagge partite a calcio nella sala più grande della redazione. Un giorno arrivò Cassola e quella volta la battaglia fu così violenta che da basso salirono per protestare. Noi rispondemmo insolentemente e ce ne andammo a giocare a Villa Borghese». Al gruppo di Villa Borghese si aggiunse il nuovo acquisto della redazione, un poeta, anche del gol, Pier Paolo Pasolini, il quale tempo dopo, con il suo doppio passo alla Biavati avrebbe trascinato Bassani e Cesare Garboli sul campetto da calcio della borgata di Donna Olimpia per epiche sfide contro la formazione dei Ragazzi di vita. Bassani e Pasolini frequentavano lo stadio Olimpico ogni qual volta scendevano a Roma le loro squadre del cuore, la Spal e il Bologna. La loro poetica declinata al fonema calcistico con conseguente e prosaica invettiva, coinvolgeva non di rado anche lo juventino Mario Soldati, l’urbinate ma di fede rossoblù bolognese Paolo Volponi e l’interista Vittorio Sereni, ma l’habitat naturale di Bassani rimase per tutta la sua esistenza, conclusasi il 13 aprile 2000, lo stadio del tennis.

Al caffè del Foro Italico strinse amicizia con la leggenda vivente del nostro tennis, Nicola Pietrangeli, e assistette in diretta, esaltandosi anche in questo caso con spirito amicale, all’ascesa del nuovo astro: Adriano Panatta, vincitore, nel 1976, degli Internazionali di Roma e del Roland Garros a Parigi. Trionfi di cui Bassani amava bearsi da un osservatorio privilegiato. «Giorgio sceglieva sempre una posizione un po’ defilata, d’angolo, un po’ perché stare vicino, in quel settore, ai giocatori gli piaceva, un po’ perché gli angoli del campo sono i soli luoghi in cui non si muove la testa “a tergicristallo” », racconta ancora Clerici. Il Foro Italico, in quei primi anni 70, gli ispirò anche delle poesie. La casa del tennis romano divenne un altro luogo affettivo dove poteva rifugiarsi quando ne aveva desiderio, ma niente di paragonabile all’estasi provata sui prati regali di Wimbledon. Nell’intervista di Gianni Corbi ( Pacem in tennis) Bassani concorda con Clerici che considera Wimbledon «il Vaticano del tennis». Siamo nel 1974, il Foro Italico inizia a dargli fastidio in quanto ridotto a «volgare canea» e allora tirato in ballo nel dibattito su Wimbledon e il cambiamento “industriale” del tennis, l’ex giovane tennista nato e cresciuto nel remoto Club estense, difende a spada tratta la gloria e la «religio britannica».

Viva l’elitarismo dei gesti bianchi, specie in un tempo in cui l’industria tendeva già a ridurre il tennis a mero mercato e ad esperienza folkloristica, sembra urlare da fondo campo Bassani che poi, scende a rete, e sprigiona il suo smash potente: «Il tennis è un gioco ecologico, quindi l’hanno capito bene gli inglesi che continuano a circondarlo di verde vegetale, è un gioco che si fa in silenzio…». Fino a che le ginocchia gli hanno retto, Bassani non solo disquisiva di tennis ma lo praticava, e con discreti risultati. Clerici lo annovera come «giocatore molto geometrico, dotato di un diritto molto penetrante… Una volta che d’un tratto mi inventò una smorzata al volo, in contropiede, mi gridò: “Ma tu non ricordi che ho cominciato da poeta. E finirò, da poeta”».

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